I numeri di una settimana per numeri uno. Ma gloria ai secondi

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I numeri di una settimana per numeri uno. Ma gloria ai secondi

Rafael Nadal e Simona Halep consolidano la leadership anche sul cemento, dopo la continuità dimostrata su terra. Tsitsipas suggerisce grandeur, Stephens invece è già grande

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1- sola la finale vinta (Montreal 2016) in tornei Premier sul cemento all’aperto negli ultimi tre anni da Simona Halep, quando è arrivata la scorsa settimana a giocare il Canadian Open. Alla suddetta vittoria, da agosto 2015 vanno poi aggiunte solo altre tre finali raggiunte dalla numero 1 al mondo in tornei di questa categoria. Dopo aver perso contro Serena Williams la finale di Cincinnati nel 2015, Halep aveva appunto poi vinto a Montreal nel 2016 (in finale su Keys) e perso nel 2017 la finale del Western&Southern Open prima (da Muguruza) e di Pechino poi (contro Garcia). In totale dalla seconda metà del 2015 sono da contarsi solo altre due finali di Halep sul cemento, tutte lo scorso gennaio: nell’International di Shenzhen (vincitrice in finale su Siniakova) e a Melbourne (perdente a un soffio dal titolo contro Wozniacki). Un buon rendimento, ma ben diverso da quello avuto su terra battuta nello stesso periodo, nel quale ha raggiunto ben quindici finali. A Montreal ha ritrovato un buon rendimento dopo dopo aver deluso a Wimbledon (eliminata al terzo turno) e sul cemento a Miami e Indian Wells: dopo una battaglia di oltre tre ore ha sconfitto Pavlyuchenkova, 28 WTA, mentre poi ha sconfitto con minor patemi Venus (duplice 6-2), 14 WTA; Garcia (7-5 6-1) 6 WTA; e Barty (6-4 6-1), 16 WTA. Al termine di una bella finale ha poi conquistato il secondo titolo in Canada, il quinto del 2018 e il 18° della carriera, sconfiggendo Stephens col punteggio di 7-6(6) 3-6 6-4. Ennesima conferma di quanto sia attualmente meritata la sua leadership.

3 – le semifinali raggiunte da Karen Khachanov nel circuito ATP prima del suo exploit canadese. Il classe ’96 russo era arrivato così avanti in un torneo ATP a Chengdu nel 2016 e a Marsiglia lo scorso febbraio, coronando in entrambe le circostanze il suo cammino con la vittoria del titolo (rispettivamente su Ramos e Pouille). Terza semifinale ad Halle nel 2017, fermato però da Federer. Nel 2017 Karen sembrava pronto a salire il famoso ultimo gradino: a fine agosto entra nella top 30 per la prima volta, ma una sola vittoria negli ultimi sei tornei stagionali gli costa la chiusura della scorsa stagione in 45° posizione. Karen, mostratosi quest’anno competitivo su ogni superficie (ottavi al Roland Garros e a Wimbledon, oltre al titolo sul duro indoor di Marsiglia), ancora doveva compiere il salto di qualità nei tornei che contano. Non aveva raggiunto nemmeno una volta i quarti nei Majors e nei Masters 1000, avendo la meglio solo una volta (su Goffin a Barcellona 2016) in tredici partite giocate contro un top ten. A Toronto il russo ha però superato alcuni di questi suoi tabù sconfiggendo nell’ordine Kraijinovic (6-3 6-2), 30 ATP, Carreno Busta (6-4 7-6), 13 ATP, Isner (duplice tie-break), 9 ATP, e Haase (6-3 6-1), 39 ATP.

4- le sconfitte contro tennisti non presenti nella top 50 rimediate da Dominic Thiem dopo la finale al Roland Garros 2018. Il numero 8 al mondo è arrivato in Canada avendo vinto appena tre partite dopo Parigi e con quattro sconfitte evitabili (Sugita ad Halle, Baghdatis a Wimbledon, Jarry ad Amburgo e Klizan a Kitzbuhel). Contro Tsistipas, già affrontato quattro volte (e sconfitto tre) nel 2018, il quasi 25enne (compie gli anni il 3 settembre) austriaco ha perso nettamente in due set confermando, oltre al non brillante stato di forma, i soliti problemi fuori dalla terra: appena due titoli (sul cemento di Acapulco e sull’erba di Stoccarda, e una finale sull’indoor di Metz, tutti nel 2016), nessun quarto di finale raggiunto nei Major non giocati sul rosso di Parigi e nessuna semi nei Masters 1000 che non si giocano sul mattone tritato (e in questa categoria di tornei appena quattro volte ha raggiunto i quarti). In un tennis oramai universale, Thiem resta al momento l’esempio anacronistico di specialista sul rosso.

5- le partite vinte da Jack Sock nel 2018. Un bilancio misero, ancor più se si nota che solo uno dei successi è arrivato contro un top 50 (Ferrer a Roma) e appena altre due contro top 100. Numeri impietosi, come le ben dieci eliminazioni al primo turno rimediate in questi primi otto mesi dell’anno. Una incredibile crisi di risultati, il cui ultimo episodio si è verificato a Toronto: lo statunitense, rientrato nel circuito dopo lo stop al primo turno di Wimbledon patito contro Berrettini, si è arreso in tre set a Medvedev, 68 ATP. Non accenna così a terminare la crisi di Sock, il quale, grazie al successo al Masters 1000 di Parigi Bercy e alla semifinale al Masters aveva chiuso il 2017 come ottavo giocatore del mondo e che ora rischia di uscire dalla top 20. Non sono certo problemi fisici quelli che attanagliano il 26enne del Nebraska, che in doppio nel 2018 ha invece vinto ben quattro titoli (tra i quali Indian Wells con Isner e, soprattutto, Wimbledon, con Mike Bryan).

8- i tornei giocati da Sloane Stephens e appena tre le partite vinte dopo gli US Open 2017, prima di imporsi a inizio aprile al Premier Mandatory di Miami, in finale su Ostapenko. Il grande successo professionale ed economico, specie se inaspettato, è difficile da gestire e la venticinquenne statunitense deve averlo provato duramente sulla sua pelle. Tra ottobre e febbraio, mesi nei quali aveva preso parte ai Premier di Zhuhai, Pechino e Sydney, ai due singolari della finale di Fed Cup persa con la Bielorussia e agli Australian Open, aveva dimenticato completamente il gusto della vittoria, perdendo tutti i match disputati. In cinque di queste sconfitte le avversarie non erano comprese nemmeno nella top 50. In Florida cinque mesi fa arrivava però la resurrezione: il ritorno nella top ten era solo il primo passo. Stephens si issava sino al terzo posto del ranking grazie a un’ottima stagione sulla terra, con il culmine della finale del Roland Garros persa di un soffio contro Halep. Dopo le grande delusione vissuta a Wimbledon (eliminata nettamente al primo turno da Vekic) e il brutto passo falso di Washington (sconfitta da Petkovic al secondo turno) a Montreal è arrivata in finale in scioltezza e mostrando di aver ritrovato fiducia e condizione. Sloane in Canada ha estromesso dal torneo, nell’ordine, Abanda (6-0 6-2),191 WTA; Suarez Navarro (6-2 7-5), 27 WTA; Sevastova (duplice 6-2), 19 WTA; e Svitolina (6-3 6-3), 5 WTA. In finale ha avuto diverse chance, ma si è arresa in tre set alla numero 1 del mondo. Ormai non vi sono dubbi: Sloane Stephens non è una meteora.

25 – le partite vinte da Rafa Nadal sul cemento all’aperto, da quando lo scorso fine agosto iniziò il trionfale cammino che lo portò alla vittoria degli US Open. Nello stesso periodo Rafa è incappato in appena due sconfitte: contro Federer in finale al Masters 1000 di Shanghai e in semifinale a Melbourne (si è ritirato sotto 2-0 nel quinto set contro Cilic). Un bilancio più che positivo per il campione maiorchino, anche allargando il periodo analizzato e facendolo iniziare con gli Australian Open 2017: in questo caso, si registrano 45 successi e 7 sconfitte (quattro contro Federer, una rispettivamente contro Cilic, Kyrgios e Shapovalov). Nell’ultimo anno e mezzo il numero 1 al mondo, su una superficie da lui mai troppo amata, oltre al Major newyorkese ha vinto l’Open del Canada la scorsa settimana, l’ATP 500 di Pechino e raggiunto la finale a Shanghai e Miami. Risultati ottimi per il tennista più forte di sempre sulla terra battuta, tornato a disimpegnarsi molto bene sul cemento dopo tre anni e mezzo di calo. Prima di Shanghai 2017, nei Masters 1000 sull’hard outdoor non arrivava infatti in finale da Miami 2014 e non vinceva un titolo dalla doppietta nell’estate americana 2013, quando si impose a Montreal (su Raonic) e Cincinnati (su Isner). Anche considerando uno spettro più ampio di tornei, dopo la magica estate 2013 culminata con la vittoria degli US Open, prima dell’agosto scorso, aveva vinto un solo titolo sul cemento, a Doha 2014 in finale su Monfils. Non è più il giocatore esplosivo e ingiocabile di qualche anno fa ma è altrettanto dominante: la parola fenomeno con lui non è sprecata.

52- settimane, l’arco temporale nel quale Stefanos Tsitsipas, autore della brillante cavalcata che lo ha portato a Toronto a sconfiggere nello stesso torneo quattro top 10 (Thiem, Djokovic, Zverev e Anderson) non aveva ancora vinto una partita nel circuito maggiore. Il greco esattamente un anno fa si era già qualificato per cinque tornei (tra cui Roland Garros e Wimbledon) ma non aveva ancora vinto un incontro ATP  (a fine marzo 2017 perdeva addiritura una semifinale all’ITF di Santa Margherita di Pula dal nostro Giustino). Stefanos è stato autore di una crescita eccezionale dallo scorso settembre, quando ha vinto il Challenger di Genova e poi è arrivato in finale in quello di Brest. Nei mesi finali della passata stagione, soprattutto, ha sconfitto tre top 50 (Struff, Kachanov e Cuevas) e ad Anversa addirittura il beniamino di casa David Goffin, che nelle settimane successive sarebbe assurto ad assoluto protagonista del tennis mondiale con la finale al Masters e in Davis.

Nel 2018 erano sin qui arrivate la finale all’ATP 500 di Barcellona (sconfiggendo Thiem), le semifinali all’Estoril (vittoria su Anderson) e a Washington (sconfitta contro Zverev). Anche molto importanti potevano considerarsi i successi conseguiti contro top 20 (Schwartzmann e Carreno Busta a Barcellona, Pouille ad Halle, nuovamente Goffin nella capitale statunitense). In Canada è arrivata la conferma di essere di fronte a un talento cristallino. Per giungere in finale, Tsitsipas ha mostrato soprattutto carattere e coraggio: sia contro Zverev (due) che contro Anderson (uno) ha dovuto annullare match point dopo aver rimontato un set di svantaggio. Contro Nadal, dopo aver regalato il primo set al numero 1 al mondo, ha avuto la chance di portare la finale al terzo e decisivo set ma non l’ha colta. Il greco giocherà Cincinnati da n.15 del mondo e si prepara agli US Open con la fiducia di chi sa di essere già pronto a giocarsela con qualunque campione.

129 – il best ranking raggiunto da Ashleigh Barty nella sua “prima” carriera professionistica. L’australiana classe ’96, dopo un brillante percorso tra gli Juniores (finale a Wimbledon e semi agli US Open nel 2011) tra i pro aveva inizialmente brillato solo in doppio (finali nel 2013 in tre Major su quattro: a Melbourne, Londra e New York). Una pressione troppo forte le aveva tolto la gioia di stare in campo: dopo un 2014 molto deludente, trovava il coraggio di abbandonare il circuito. “Amo il tennis ma ero diventata una robot, e non era ciò che volevo“, spiegava alla stampa. Provava così a diventare giocatrice professionista della sua altra grande passione, il cricket, ma nei primi mesi del 2016 ci ripensava e tornava al suo primo amore, tornando dopo diciotto mesi nuovamente su un campo di tennis. Nel 2016 da n.623 WTA raggiungeva i quarti all’International di Nottingham. Tuttavia è il 2017 l’anno della svolta: parte da 271 e termina in top 20, grazie al titolo a Kuala Lumpur e due finali nei Premier di Birmingham e Wuhan, torneo nel quale sconfigge ben tre top 10 (Pliskova, Ostapenko e Konta).

Nel 2018 sta confermando tutto il suo potenziale. Giunta a Montreal col best ranking (16 WTA) ha impiegato quasi tre ore per avere la meglio su Begu, 55 WTA. Fino alla semifinale persa contro Halep non ha poi perso più un set per avere la meglio su Van Uytvanck (7-6 6-2), 31 WTA, Cornet (7-6 6-4), 44 WTA e Bertens (6-3 6-1) 18 WTA.

1881 – l’anno della prima edizione del torneo maschile degli Open del Canada (il 1892 è la data iniziale del torneo femminile): una competizione con un albo d’oro pieno di campioni che hanno fatto la storia del tennis e che per numero di edizioni è inferiore solo a Wimbledon e US Open. Giocato a Toronto sino al 1979 su campi in terra, soprattutto nella versione maschile ha sempre avuto un grande prestigio, con Ivan Lendl mattatore (6 titoli e altre tre finali per lui). Dal 1981 il torneo maschile si tiene negli anni dispari a Montreal – quello femminile a Toronto – con inversione negli anni pari. Dal 2011, per ovviare a una calendarizzazione penalizzante dell’evento femminile precedentemente ‘incollato’ all’US-Open, i due tornei sono stati accorpati nella stessa settimana: una soluzione che ha garantito la continuità del prestigio del torneo. Per conferma consultare le entry list dell’ultima edizione. nella quale l’unico top ten – tra uomini e donne -assente è stato Roger Federer, vincitore nel 2004 e nel 2006 del Canadian Open.

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