Che fine ha fatto l’IPTL? Non si è quasi più sentito parlare dell’ambizioso progetto dell’ex campione di doppio e neo-imprenditore indiano Mahesh Bhupathi, nato ben cinque anni fa e cestinato nel 2016, dopo sole tre edizioni. Negli ultimi giorni si sono delineate con più chiarezza le cause del fallimento dell’International Premier Tennis League. Bhupathi è stato infatti accusato di frode da molti fornitori, che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento nel 2016. Ma andiamo con ordine.
Il progetto partì coi migliori propositi e calamitò le attenzioni degli appassionati anche per un regolamento innovativo (no ad e il power point). Grazie a grossi contributi economici, nella prima edizione del 2014 Bhupathi riuscì a inserire il meglio del tennis mondiale (Roger Federer, Novak Djokovic e Serena Williams su tutti) nelle quattro franchigie partecipanti (forte debito alla ben più scafata – e soprattutto ricca – NBA), Manila Mavericks, Singapore Slammers, Indian Aces e UAE Royals. Nonostante il boom mediatico iniziale, spuntarono subito dei problemi, che si son rivelati insuperabili per la manifestazione. Capo primo, la collocazione in calendario (prime settimane di dicembre), non era affatto invitante per i giocatori, che si trovavano costretti a rimodulare la preparazione per la stagione incombente, ma dall’altro lato colmava la fame dei fans offrendo un grande evento in piena off-season. È stata la logistica a far affondare l’IPTL. Il torneo si svolgeva in quattro sedi diverse (Manila, Singapore, Nuova Delhi e Dubai) e i giocatori si spostavano con jet privati.
La presenza di sponsor facoltosi come Coca Cola e Qatar Airways garantiva un’iniziale copertura per l’ambizioso investimento, ma col passare del tempo la rete organizzativa ha ceduto. Già nell’edizione 2015 i segnali furono tutt’altro che positivi, a partire dagli incassi alla voce “spettatori”, assai inferiore alle aspettative e alle cifre della prima edizione. Tuttavia partecipò al torneo anche una quinta franchigia (i Japan Warriors) e le presenza di Federer e Murray furono sufficienti per salvare la baracca. Nel 2016 l’IPTL fu una delusione totale: i Mavericks decisero di lasciare la competizione, Federer non partecipò a causa dell’infortunio al ginocchio e per problemi di ingaggio Serena Williams decise di non prendere parte al torneo, un preoccupante campanello d’allarme per Bhupathi. Per un lungo periodo si aspettarono notizie attendibili sull’IPTL 2017, ma nonostante qualche voce riguardo un cambio di format che avrebbe permesso al progetto di restare in vita, non fu possibile ripetere l’evento, che tramontò definitivamente dopo tre edizioni.
Col tempo arrivarono conferme sull’ingente buco finanziario che causò la fine dell’IPTL, argomento che è riemerso qualche giorno fa grazie alla società di produzione televisiva Broadcast Sports News. Attraverso un comunicato, condiviso sulla rete dei social media dall’addetto alle statistiche per l’ATP Steph Trudel, la compagnia ha denunciato il mancato pagamento di diversi fornitori, impegnati nell’organizzazione dell’ultima esibizione giocata (2016). In sostanza si sottolinea il fatto che venti mesi dopo la chiusura del torneo giudici di sedia, fornitori di servizi tecnologici, di distribuzione satellitare e dei campi da gioco risultano ancora non pagati. “Ciò che è più fastidioso è che l’IPTL 2016 si è disputata regolarmente, nonostante i direttori sapessero che che i fondi non avrebbero garantito tutti il pagamento di tutte le spese.” C’è grande amarezza e rimpianto nelle parole del portavoce di BSN, che accusa di “investimento irresponsabile” Bhupathi e i suoi collaboratori.
Non si è fatta attendere la risposta dell’ex doppista e attuale capitano di Davis della nazionale indiana (che sfiderà l’Italia nel 2019 per l’accesso al World Group). “Ci sono quote in sospeso per un totale di cinque milioni di dollari” ha detto Bhuphati. “La maggior parte di loro sono anche miei colleghi. In qualche modo risolveremo il problema, ma questo processo richiede del tempo.” Ha poi puntato il dito sul principale responsabile del crollo finanziario del 2016: “Il gruppo Legendari, che possedeva i Japan Warriors si è rivelato una frode e ha mancato il pagamento di circa otto milioni di dollari. Questa è la ragione per cui la situazione è precipitata.”
Che si creda o meno nella buona fede dell’imprenditore indiano il debito – in un modo o nell’altro – verrà comunque colmato, come sembra evincersi dalle dichiarazioni di Bhupathi, mentre è assai meno probabile che riprenda piede il progetto IPTL. L‘esperimento di Bhuphati, tuttavia, con tutti i suoi pro e contro, ha aperto la strada a nuovi progetti, come la Laver Cup e le Next Gen ATP Finals. Infatti la ricerca di un torneo che sia innovativo e coinvolgente è diventata un’attività costante all’interno del panorama tennistico mondiale e gli intoppi logistici (e di conseguenza economici) dell’IPTL hanno contribuito all’ideazione di proposte più semplici dal punto di vista del format e meglio collocate nel calendario.
La Laver Cup, che ha avuto un enorme successo nelle due edizioni disputate, si svolge in un solo weekend, non in due settimane, come accadeva invece nell’IPTL. Il campo da gioco è uno solo, non c’è necessità di spostare i giocatori in location diverse e distanti parecchi chilometri. Il torneo va in scena in settembre, periodo di transizione tra la stagione su cemento americano e lo swing asiatico, in cui il calendario ATP propone solo tornei di livello 250, sicuramente meno attraenti rispetto alla sfilata di campioni del Team World e del Team Europe. I giocatori non devono ritardare la preparazione o annullare il periodo di riposo per essere sballottati da una città all’altra e giocare dei set d’esibizione.
Pochi eccessi e molta concretezza. La semplicità del format, la scelta della sede unica e di una data ragionevole sono la chiave del successo della Laver Cup, poco sfarzosa, ma molto più coinvolgente dell’IPTL. E questo vale sia per i giocatori (vedi l’affiatamento di Federer e Nadal un anno fa) che per gli appassionati. Attenzione però. Mantenere una solidità economica di base è comunque fondamentale per la vitalità dell’evento, altrimenti il crack è dietro l’angolo, come ci ha insegnato lo sfortunato (e imprudente) caso di Mahesh Bhuphati e la sua IPTL.