Cecchinato, semifinale e n.18. Federer piega l'erede Tsitsipas (Carrella). Il Djoker batte anche il pubblico (Semeraro). Lei non sa chi è mio fratello. Djokovic jr sogna a fianco di Nole (Semeraro)

Rassegna stampa

Cecchinato, semifinale e n.18. Federer piega l’erede Tsitsipas (Carrella). Il Djoker batte anche il pubblico (Semeraro). Lei non sa chi è mio fratello. Djokovic jr sogna a fianco di Nole (Semeraro)

La rassegna stampa di venerdì 4 gennaio 2019

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Cecchinato, semifinale e n.18. Federer piega l’erede Tsitsipas (Franco Carrella, La Gazzetta dello Sport)

Marco Cecchinato prosegue la sua corsa al torneo di Doha. Nei quarti del Qatar ExxonMobil Open, in un’ora e 15 minuti, il ventiseienne palermitano stende Dusan Lajovic tra gli applausi: «Sono felicissimo, da un anno vivo momenti speciali. Ho giocato con la giusta concentrazione e naturalmente spero di continuare così» racconta dopo la sfida col serbo. Con questa vittoria si garantisce almeno il numero 18, suo best ranking (ora è al 20). Una battaglia nel primo set (ma il tie-break è dominato, 7-2), poi un monologo nel secondo, chiuso sul 6-2. «Ringrazio il sostegno degli italiani presenti qui, avrò ancora bisogno di loro contro uno dei più bravi su questi campi», continua il siciliano, che oggi affronterà Tomas Berdych. Il ceco, dopo un 2018 contrassegnato da tanti guai fisici, è in gara a Doha grazie a una wild card. Avanza anche Novak Djokovic, in Qatar vincitore nel 2016 e nel 2017: batte in rimonta un tenace Nikoloz Basilashvili, 4-6 6-3 6-4 in un’ora e 56 minuti. Al termine, il serbo si sofferma sulla rinuncia di Rafa Nadal (elongazione muscolare alla coscia sinistra): «Ha recuperato così tante volte dagli infortuni — ha osservato a proposito dello spagnolo — che ti aspetti lo faccia per sempre. Ha uno stile di gioco aggressivo e fisico che ovviamente stressa molto le articolazioni e i muscoli. Rafa è una leggenda e vogliamo vederlo giocare». Oggi, Djokovic è atteso da Roberto Bautista Agut. Intanto la classe senza tempo di Roger Federer, 37 anni, per ora ha ancora la meglio sui talentuosi vent’anni di Stefanos Tsitsipas. A Perth, nella sfida tra Svizzera e Grecia che decide la prima finalista della Hopman Cup, il Divino la spunta con due tie-break: 7-6(5) 7-6(4). Nel primo, Tsitsipas allunga fino al 4-1, poi non sfrutta il servizio e subisce la rimonta. La Svizzera, che ha vinto la scorsa edizione, è quindi ancora in finale. Ininfluente la rivincita di Tsitsipas nel doppio assieme a Maria Sakkari contro Federer e Belinda Bencic: 4-3(4) 2-4 4-3(3). «Con Stefanos è stato un match emozionante. Ho cotnmesso qualche errore di troppo e potevamo anche andare al terzo set. Nel complesso sono contento del livello del mio gioco», ha dichiarato l’elvetico dopo il match. Oggi si decide l’altra finalista (si comincia alle 10.30 italiane): Australia o Germania.


Il Djoker batte anche il pubblico (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

«Adesso potete fischiare, vediamo chi lo fa meglio». Scherza Djokovic (ma fino a un certo punto) alla fine della seconda partita da brividi in due giorni a Doha. Mercoledì aveva visto i fantasmi contro Martin Fucsovics, l’ungherese n. 36 del mondo che per quasi due set gli ha ballato davanti, rischiando di mandargli di traverso il 2019 appena iniziato. Contro il georgiano Nikoloz Basilashvili, picchiatore ordinato ma dai nervi un po’ sfrangiati, ieri il copione si è ripetuto, perlomeno nel primo set, quando il serbo è andato sotto addirittura di due break, prima di recuperarne uno e arrendendosi comunque 6-4 al corri e tira del suo avversario. Il match stavolta Novak Djokovic è stato capace di girarlo prima, con meno patema d’animo nel secondo, strappando la sua prima semifinale dell’anno che giocherà oggi contro lo spagnolo Roberto Bautista Agut Ma fino alla fine ha dovuto comunque restare sul pezzo, e quando il pubblico un po’ distratto, un po’ indisciplinato, del Khalifa Stadium ha esagerato con i sibili si è anche innervosito, lamentandosi e facendo la faccia cattiva ai disturbatori. Così alla fine, mulinato nell’aria il pugno e scaricata la tensione con un paio di urlacci, ha provato a recuperare sdrammatizzando come sa fare, da entertainer consumato qual è, mettendo in piedi un concorso per la zufolata più convincente fra chi era rimasto ad applaudirlo in tribuna. Il fatto è che a Doha, nella prima vera settimana dell’anno, a Nole toccano i doppi turni, nel vero senso della parola. Entrato in tabellone – con una wild card – anche in doppio, in coppia con il fratello minore Marko, n. 540 in singolare, si è ritrovato a fianco un compagno affidabile, concentrato. Con un po’ di fortuna ha passato due turni, arrivando in semifinale, e anche ieri sera, dopo aver sconfitto Basilasvili, gli è toccato tornare in campo per il doppio contro il duo Goffin-Herbert, perso dopo 1h06′ per 15-13 al super tie-break. «Nikoloz ha giocato benissimo fin dall’inizio», ha raccontato dopo il singolare, la maglietta zuppa e gli occhi ancora spiritati. «E me lo aspettavo. Negli ultimi dieci mesi ha messo in campo probabilmente il miglior tennis della sua vita, ed è sicuramente uno di quelli che tira più forte del circuito». Il match si è deciso in realtà all’inizio del terzo set, in una serie di scambi prolungati, un braccio di ferro da fondo campo da cui Nole, pescando energie nervose da serbatoi profondi e apparentemente inestinguibili, è uscito in testa dopo aver perso, ripreso e definitivamente strappato il servizio al georgiano, combattivo ma troppo discontinuo per sperare di piazzare il sorpresone. Comunque un’ora e 56 minuti di battaglia, che aggiunti agli straordinari del doppio familiare oggi rischiano di farsi sentire contro Bautista Agut, lo spagnolo più in forma del momento. I precedenti sono nettamente per il serbo (7-1), ma il ricordo della sconfitta incassata sul cemento a Shanghai nel 2016 è un ronzio (un fischio?) fastidioso nell’orecchio; e il sospetto di stare pescando troppo in profondità dalle sue riserve in vista degli Australian Open, che cominciano fra poco più di una settimana, può aggiungere ansia. Vincere a Doha, dopo aver fatto contento anche il fratello, significherebbe mettersi già in tasca almeno un torneo per il quattordicesimo anno filato, ma occhio al prezzo dell’impresa.


Lei non sa chi è mio fratello. Djokovic jr sogna a fianco di Nole (Stefano Semeraro, La Stampa)

L’anno scorso Jamie Murray e Marko Djokovic si sono fatti un selfie insieme. «Che tipo è tuo fratello? – diceva la didascalia, scritta da Jamie -. Se ci avessero dato una sterlina per ogni volta che ci hanno fatto questa domanda, oggi saremmo i più ricchi del mondo». Beh, il segreto della rivincita dei «fratelli di…», nel caso del tennis, sta nel doppio. Jamie tre anni fa è stato n. 1 di specialità e ha vinto gli Us Open, mentre l’anno prima si era preso la Coppa Davis in compagnia di Andy. Marko in questi giorni a Doha si sta togliendo qualche soddisfazione, anche lui in doppio col fratello Nole. Entrati in tabellone come wild card, hanno vinto due partite, le prime della loro carriera in comune, sfiorando l’accesso alla finale dell’Atp 250 in Qatar. Di luce riflessa «È la prima volta, in sei tornei giocati insieme, che portiamo a casa un match – aveva detto sorridente Novak dopo il primo successo -. Un giorno speciale che ricorderemo per sempre». Forse l’inizio di una nuova storia, un passo fuori dall’Ombra che in qualche caso, quando il divario di talento e ambizioni è troppo ampio, significa frustrazione, mentre in altri riparo e sollievo. Confrontarsi con il Numero Uno che ti è cresciuto accanto non è facile, per nessuno. Marko, che ha 27 anni, è n. 570 del mondo e Nole è stato molto bravo a dargli una mano in un periodo non facile della sua vita. Il minore dei fratelli Djokovic, il 23enne Djordje, ormai ha smesso. Patrick McEnroe, n. 28 nel 1995, se l’è cavata meglio anche se è rimasto lontano anni luce da John, ma i casi sono tanti anche fuori dal tennis. Hugo Maradona, «el Turco», e Raul – fratelli inutile dire di chi… – hanno vissuto una carriera più che onorevole, giocando in Argentina, Austria e Giappone (Hugo), Usa, Spagna e Canada (Raul). Hanno giocato a calcio anche Tommy Charlton – il fratello più giovane di Bobby e Jack -, John Rooney (il minore di Wayne) e Paul Terry (il maggiore di John), ma solo i compulsatori professionali di almanacchi sanno qualcosa delle loro carriere. E pochi, fuori dalla boxe, conoscono Rudolph Valentino Clay, che oggi ha 75 anni e si fa chiamare Rahman Ali. Come suo fratello Muhammad, ha fatto il pugile, anche lui peso massimo. Cinque anni fa ha pubblicato un’autobiografia dal titolo «Quello è il fratello di Muhammad Ali!». Scrive Rahman: «Nessuno ha preso più pugni di me da mio fratello in tutti gli allenamenti fatti insieme». A Marko e Jamie, forse, è andata bene.

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