Djokovic, febbre americana. Ma ora insegue il Grande Slam (Crivelli). Rafa-Roger, ombre su Djokovic (Zanni). ATP Finals, oggi la scelta. Torino sogna il grande evento (Guccione)

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Djokovic, febbre americana. Ma ora insegue il Grande Slam (Crivelli). Rafa-Roger, ombre su Djokovic (Zanni). ATP Finals, oggi la scelta. Torino sogna il grande evento (Guccione)

La rassegna stampa di giovedì 28 marzo 2019

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Djokovic, febbre americana. Ma ora insegue il Grande Slam (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Scelta. L’etimologia greca della parola crisi è evocativa: le avversità possono trasformarsi in opportunità. Lo sa bene Novak Djokovic, che dopo il tonfo dal piedistallo di più forte giocatore del mondo fino agli abissi di una carriera in bilico è stato capace di rigenerarsi e tornare mostruoso. Dunque, riuscirà senz’altro a maneggiare con perizia il momento complicato culminato nell’amara campagna sul cemento americano, con l’eliminazione immediata contro Kohlschreiber a Indian Wells e la fragorosa caduta agli ottavi di Miami contro Bautista […] Un calo mentale più che atletico, testimoniato dalle difficoltà con i due colpi più sensibili a una condizione psicofisica rivedibile, cioè quello di apertura (appena il 57% di prime con il servizio) e quello più debole (nel suo caso il dritto, disastroso nel terzo set). Nole non si è neppure attaccato alla sosta per pioggia di 40 minuti sul 5-4 del secondo set. Pungolato, il serbo ha liberato i pensieri: «Forse troppe cose extra campo mi hanno influenzato negativamente». Eccolo, il punto dolente: le ultime non sono state settimane facili per il Djokovic presidente del Council dei giocatori in seno all’Atp. La battaglia sotterranea contro i quattro tornei dello Slam che non dividerebbero più equamente le ricchezze, contro l’Itf e contro il calendario compresso è deflagrata. Novak è stato additato come il responsabile occulto dell’allontanamento di Chris Kermode, ceo dell’Atp, reo di favorire i tornei e non i giocatori, e la sua posizione gli ha attirato critiche da Federer e Nadal. Insomma, è stato distratto dalle ambizioni politiche e dal progetto di dare più potere ai tennisti. Altre due frasi, però, completano il quadro: «Ero arrugginito, nel 2020 giocherò qualche torneo intermedio tra l’Australia e Indian Wells». Per un giocatore di ritmo come lui, sei settimane senza tennis hanno presentato il conto, anche se non cambieranno (per adesso) il calendario 2019: lo rivedremo a maggio (Madrid). E soprattutto: «Gli Slam hanno la priorità». Djokovic sa che il Roland Garros diventa uno snodo epocale: un successo a Parigi, con Nadal e Federer ammaccati e la Next Gen non ancora pronta, potrebbe schiudergli le porte del Grande Slam dopo Budge e Laver. Alla faccia della piccola crisi americana.

Rafa-Roger, ombre su Djokovic (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Forse, c’è qualcosa che non quadra. Appena la settimana scorsa Novak Djokovic, al taglio del nastro dei rinnovatissimi Miami Open, si era detto felice del maggior interesse mostrato da Roger Federer e Rafa Nadal per le cose dell’Atp. Ed era solo un particolare (anche se di fondamentale importanza) che questa attenzione dei due grandi rivali andasse in senso opposto alla sua. Ora, passati pochi giorni e arrivata un’altra bocciatura, la seconda di fila dopo Indian Wells, ecco che Nole ha trovato i colpevoli dei suoi inattesi ko, che non sono gli avversari. Non li nomina, ma ci vuol poco a capire che la causa della sconfitta negli ottavi contro Roberto Bautista Agut (1-6, 7-5, 6-3) per l’attuale numero 1 del ranking porti i nomi di Roger e Rafa. «Voglio dire – ha spiegato – che ho avuto troppe cose fuori dal campo e penso che abbiano condizionato negativamente le mie partite». Djokovic, presidente dell’Atp Players’ Council, da una parte, Federer e Nadal dall’altra, divisi da Chris Kermode, presidente dell’associazione con il mandato in scadenza. L’aspetto anche ironico della situazione è che le tre superstar non sono riuscite a trovare il tempo per parlare a Indian Wells e lo stesso sembra stia capitando a Miami (assente lo spagnolo). «Non ci stiamo inseguendo…» aveva dichiarato Federer col sorriso quando gli era stato chiesto se il summit poteva svolgersi sotto il sole (e anche un po’ di pioggia) della Florida. E almeno finora pare proprio che non ci sia stato nessun contatto. Intanto Miami, dove Djokovic ha vinto sei volte (primato assoluto condiviso con Andre Agassi), ha visto un altro numero 1 uscire di scena. «Non avrei dovuto perdere – ha poi aggiunto il serbo – Tante opportunità sprecate, questo succede quando non si capitalizza a tempo». Una volta va bene, ma due fila… «Ho solo perso un paio di incontri – si è giustificato – due giorni che non hanno funzionato». Forse, oltre alle questioni politiche, Federer e Nadal, sono anche gli obiettivi che Djokovic si è posto quest’anno ad averlo rallentato? È dal 1969, l’immenso Rod Laver, che il tennis maschile non celebra il Grand Slam… «Gli Slam sono i tornei che contano di più – ha aggiunto dopo la sconfitta – e naturalmente rappresentano le mie priorità. Ma ciò non ha cambiato di molto la mia routine, nel senso che sono anni che ho questo tipo di calendario. Ma è anche lo sport e devi fare i conti con queste cose. Non è infatti la prima volta che esco in anticipo sia a Indian Wells che a Miami, mi è capitato in queste ultime due stagioni, quindi l’anno prossimo dovrò ripensare al modo in cui gestisco la preparazione di questi tornei» […] Dal veloce adesso si passa alla terra e alla luce degli ultimi risultati del Number One, può essere visto come un cambio che arriva al momento giusto. «Lo spero. Staremo a vedere. Io sono cresciuto sulla terra – ha concluso – mi piace giocare su quella superficie. Anche se statisticamente è sul veloce che ho ottenuto il maggior numero di successi. Ma non c’è dubbio che d’ora in poi dovrò giocare meglio di quanto abbia fatto a Indian Wells e Miami».

ATP Finals, oggi la scelta. Torino sogna il grande evento (Gabriele Guccione, Corriere Torino)

«Dita incrociate», scongiura la sindaca Chiara Appendino. Che esagera: «Non ci dormo da tre notti». Per lei, ma soprattutto per i torinesi, la snervante attesa durerà ancora qualche ora, almeno fino alle 15 di oggi, fuso orario italiano. A quell’ora la riunione del board dell’associazione mondiale dei tennisti professionisti, a Miami, sarà finita e si conoscerà se a ospitare le Atp Finals dal 2021 al 2025 sarà ancora Londra, oppure Manchester, Tokyo, Singapore o ancora, «dita incrociate», Torino. Ci spera la prima cittadina: «Ora abbiamo tutte le carte in regola». Ci spera il presidente della Camera di Commercio, Vincenzo lotte, che fino all’ultimo ha cercato di raccogliere quelle sponsorizzazioni necessarie ad ammorbidire la linea del sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti. Ci spera, soprattutto, il presidente della Federazione italiana tennis, Angelo Binaghi, volato in Florida per sostenere da vicino il dossier. Da questo lato dell’Oceano, insomma, si respira un certo ottimismo. «Fumata bianca per le Atp Finals a Torino? Lo spero veramente perché l’impegno del governo è stato grande, abbiamo lavorato giorno e notte», ha auspicato ieri il sottosegretario pentastellato Simone Valente, l’uomo che a Palazzo Chigi ha cercato fino all’ultimo di convincere l’omologo Giorgetti a dare la garanzie, finché, a inizio marzo, non è arrivata la firma sul decreto del presidente del consiglio dei ministri […]

Il tennis? Dite agli inglesi che è nato a Jesi (Stefano Semeraro, Stampa)

Il Lawn Tennis, più o meno lo stesso sport in cui eccelle Roger Federer, lo ha brevettato un ex militare inglese alla fine dell’800, con una astuta operazione di marketing. Ma quando il tennis si chiamava ancora Pallacorda, 500 anni fa o giù dì, era roba nostra. Il primo a scrivere un «Trattato del giuoco della palla» è stato Antonio Scaino, da Scalò, che nel 1555 lo dedicò al Principe Alfonso D’Este. Allora il «jeau de paume», come lo chiamavano i francesi – Carlo IX ne organizzò il primo torneo nel 1571 -, o il Royal/Real Tennis, che piaceva tanto a Enrico VIII d’Inghilterra, era un passatempo che re e nobili avevano importato dai monasteri medievali. Si giocava utilizzando una parete, racchettine ricurve e «balette» di cuoio che oggi sono sopravvissute solo in Italia: sei a Mantova, una a Urbino e ben nove nella Pinacoteca di Jesi, la città che da ieri ufficialmente punta alla rinascita della Pallacorda. Gianni Clerici, lo Scriba del tennis, che ieri era a Jesi per presentare il suo ultimo libro («Il Tennis nell’Arte», con Milena Naldi), da anni si batteva per la nascita di un «Club della Baletta». Ora con il progetto dell’ex pro Luca Bottazzi si pensa ancora più in grande: un campo – come ne esistono in Inghilterra e Francia – un museo, addirittura un Circuito Italiano della Pallacorda […]

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