Santopadre: "Il rovescio lungolinea? Berrettini ha dovuto proprio impararlo!"

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Santopadre: “Il rovescio lungolinea? Berrettini ha dovuto proprio impararlo!”

Intervista all’allenatore di Matteo Berrettini, fresco vincitore del torneo di Budapest. “La miglior partita? Contro Cuevas, lì ‘è stato giocatore’. Son buoni tutti a vincere quando va tutto bene!”

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Vincenzo Santopadre (foto Adelchi Fioriti)
 

Secondo una delle leggende più accattivanti sull’origine del tennis, questo affare di racchette sarebbe nato all’Inferno per rintuzzare un accesso di noia dei diavoli, che un giorno presero a tirarsi da una parte all’altro di un campo (appena ideato) le teste dei dannati, proprio come oggi si fa con le palline di feltro. Da qui l’epopea dello ‘sport del diavolo’, i cui sintomi da ossessione hanno portato sull’orlo della pazzia fior di talenti, passati e presenti. Il tennis troppo, il tennis troppo poco, il susseguirsi apparentemente illogico di colpi così simili eppure mai identici.

Checché se ne dica, perché tutti siamo affascinati dagli eccessi, c’è un solo modo per ‘domare’ davvero il tennis e si chiama equilibrio. Se non vi fidate, lasciamo che a raccontarvelo sia Vincenzo Santopadre, l’allenatore di quel Matteo Berrettini che vincendo il secondo titolo della sua carriera a Budapest, e raggiungendo a soli 23 anni la 37esima posizione in classifica, può già fregiarsi di essere diventato – relativamente ai best ranking – il 19esimo miglior tennista italiano della storia. Niente male, se consideriamo che Matteo ha fatto il suo ingresso in top 100 appena tredici mesi fa e in top 50 lo scorso febbraio, per uscirvi e farvi prepotente rientro con il titolo ungherese.

Raggiunto telefonicamente mentre era in aeroporto, pronto per partire alla volta di Monaco di Baviera – dove Berrettini giocherà il suo prossimo torneoVincenzo ci ha raccontato cosa l’ha spinto a cominciare a lavorare con Matteo, quando nel 2011, ancora quindicenne, il ragazzo si presentò munito di racchetta al Circolo Canottieri Aniene. “Quando dai un consiglio a un allievo, ti accorgi quando cerca davvero di farlo proprio, di memorizzarlo, di attuarlo. Matteo ha sempre avuto una determinazione e una volontà piuttosto spiccate, oltre a una buona dose di equilibrio che non guasta“.

Matteo“, completa il suo allenatore, “ha una forte capacità di applicazione, è molto ‘spugnoso’ nell’apprendimento. Queste sono le qualità che ho visto in lui, e per me sono fondamentali“. Ma come, verrebbe da pensare, possibile che non sia vera quella storia sul servizio e dritto che raccontano tutti, addetti ai lavori compresi? “Certo, lui deve ricordare che i suoi punti di forza sono il servizio e il dritto, ma fin da quando era ragazzo l’intenzione è stata quella di conferirgli un bagaglio tecnico-tattico utile a giocare in tutte le zone di campo e in tutte le situazioni, con più soluzioni possibili. Questa è una cosa che ha allenato“.

IL TITOLO IN UN MOMENTO DIFFICILE

Kukushkin, Bedene, Cuevas, Djere e Krajinovic: questi gli avversari battuti da Berrettini per sollevare il trofeo di Budapest. “Matteo veniva da un momento un po’ diverso dal solito, nelle settimane precedenti ha dovuto gestire delle situazioni per lui nuove. È stato un percorso molto faticoso rispetto ad altre situazioni in cui si era districato con più facilità. Ha dovuto metterci tanta forza, tanta determinazione. Ci sono state tante difficoltà e ce ne saranno tante altre, ma ben vengano; se ti poni in maniera costruttiva, sono proprio quelle che poi ti rafforzano“. Un torneo che ha una particolarità non troppo simpatica per il ragazzo di Roma: ogni anno prende una storta alla caviglia e rischia di farsi male, lo ha ricordato col sorriso anche durante la premiazione. Quest’anno gli è successo contro Cuevas, nel corso della partita più difficile del torneo, ma il piccolo incidente non l’ha fermato.

Dal punto di vista della tenuta mentale e della reazione, la partita più importante è stata proprio quella con Cuevas” assicura Vincenzo. “Non ha giocato benissimo a tennis però ‘è stato giocatore’, che è la cosa più importante di tutte. Pur avendo difficoltà di gioco e di punteggio è rimasto lì. Quando va tutto bene è facile vincere, son buoni tutti! Devi essere bravo quando sei in svantaggio, quando ti tocca annullare palle break, quando i colpi non funzionano come dovrebbero. Le partite nelle quali incontra difficoltà sono quelle che mi piacciono di più, perché ha modo di mettersi alla prova“.

Matteo Berrettini – Budapest 2019 (foto via Facebook, @huntennis)

MIGLIORAMENTI, OBIETTIVI… E UN ROVESCIO DA IMPARARE

La top 30, obiettivo del team Berrettini già a inizio stagione, adesso è distante appena 130 punti. Ma Santopadre non vuole esagerare con l’ambizione, da pompiere navigato. “Sono abbastanza allenato a cogliere sia i segnali positivi che quelli negativi. Matteo sta facendo un percorso e ogni giorno aggiunge qualcosa, un’esperienza che lo possa arricchire, anche in caso di sconfitta. Non parlo solo di ottenere risultati, il percorso deve essere visto a lunga scadenza. Anche se lui avesse perso al primo turno a Budapest il percorso sarebbe andato avanti allo stesso modo, non ci saremmo disperati per la sconfitta e allo stesso modo non ci esaltiamo troppo per questa vittoria. Sicuramente è motivo di fiducia e di convinzione, per fare ancora meglio di quello che sta già facendo“.

Ma in cosa consiste, esattamente, la strategia di Vincenzo Santopadre? “La priorità è sempre il modo di stare in campo, che sia un modo ‘pronto’. Tutto viene pensato affinché lui possa diventare un giocatore completo, in grado di giocare su tutte le superfici. A me piace così e credo che un tennista moderno debba fare assolutamente una scelta di questo tipo” spiega l’ex numero 100 del mondo, interrogato sulla possibilità che Berrettini possa far bene anche sull’erba, la superficie che in calendario succederà alla terra battuta.

Passando invece dal cemento alla terra, invece, su cosa ha fatto lavorare Matteo?Abbiamo insistito sulla gestione della palla, che è diversa, abbiamo continuato a lavorare sul servizio e sulla risposta. Ha ripulito un po’ il servizio che si era ‘sporcato’. Poi abbiamo aggiunto qualche soluzione sul lato sinistro, abbiamo messo su qualcosa di più frizzante lavorando sulla varietà“. Il rovescio in back, per esempio, che già a Marsiglia si era rivelato stato cruciale per battere Khachanov? “A proposito di quel colpo: ricordo che anni fa, quando ha avuto un problema al polso sinistro e non poteva giocare il rovescio a due mani, abbiamo lavorato tantissimo sul back di rovescio che secondo me è un colpo utilissimo, spesso sottovalutato, che gli può dare variazioni e tempi diversi“.

A volte, per Berrettini, utilizzare il taglio diventa un modo per evitare il pressing sul suo lato debole. Questa settimana, però, qualche miglioramento si è visto. Persino qualche vincente in lungolinea, in assoluto il colpo più complesso per un bimane. Anche qui c’è lo zampino di Santopadre? “Sì, hai colto nel segno. Anzi, sei stato fin troppo tenero! In realtà lui non aveva proprio questo colpo: non gli ho dovuto dire qualcosa, l’abbiamo proprio dovuto allenare. È stata una delle cose che abbiamo allenato di più nell’ultimo periodo. Avendo preso una certa confidenza con il colpo, anzi, per dirla in maniera un po’ più cruda, avendolo imparato, ora è in grado di eseguirlo. Gli mancavano delle capacità per giocarlo, poi lui è stato bravo perché riuscirci in partita è tutta un’altra cosa“.

Il futuro ci dirà se e quanto Berrettini potrà salire rispetto all’ottimo livello sul quale ha già dimostrato di potersi assestare. Una cosa appare certa: difficilmente avrebbe potuto scegliere un allenatore migliore.

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