Interviste
Santopadre: “Il rovescio lungolinea? Berrettini ha dovuto proprio impararlo!”
Intervista all’allenatore di Matteo Berrettini, fresco vincitore del torneo di Budapest. “La miglior partita? Contro Cuevas, lì ‘è stato giocatore’. Son buoni tutti a vincere quando va tutto bene!”

Secondo una delle leggende più accattivanti sull’origine del tennis, questo affare di racchette sarebbe nato all’Inferno per rintuzzare un accesso di noia dei diavoli, che un giorno presero a tirarsi da una parte all’altro di un campo (appena ideato) le teste dei dannati, proprio come oggi si fa con le palline di feltro. Da qui l’epopea dello ‘sport del diavolo’, i cui sintomi da ossessione hanno portato sull’orlo della pazzia fior di talenti, passati e presenti. Il tennis troppo, il tennis troppo poco, il susseguirsi apparentemente illogico di colpi così simili eppure mai identici.
Checché se ne dica, perché tutti siamo affascinati dagli eccessi, c’è un solo modo per ‘domare’ davvero il tennis e si chiama equilibrio. Se non vi fidate, lasciamo che a raccontarvelo sia Vincenzo Santopadre, l’allenatore di quel Matteo Berrettini che vincendo il secondo titolo della sua carriera a Budapest, e raggiungendo a soli 23 anni la 37esima posizione in classifica, può già fregiarsi di essere diventato – relativamente ai best ranking – il 19esimo miglior tennista italiano della storia. Niente male, se consideriamo che Matteo ha fatto il suo ingresso in top 100 appena tredici mesi fa e in top 50 lo scorso febbraio, per uscirvi e farvi prepotente rientro con il titolo ungherese.
Raggiunto telefonicamente mentre era in aeroporto, pronto per partire alla volta di Monaco di Baviera – dove Berrettini giocherà il suo prossimo torneo – Vincenzo ci ha raccontato cosa l’ha spinto a cominciare a lavorare con Matteo, quando nel 2011, ancora quindicenne, il ragazzo si presentò munito di racchetta al Circolo Canottieri Aniene. “Quando dai un consiglio a un allievo, ti accorgi quando cerca davvero di farlo proprio, di memorizzarlo, di attuarlo. Matteo ha sempre avuto una determinazione e una volontà piuttosto spiccate, oltre a una buona dose di equilibrio che non guasta“.
“Matteo“, completa il suo allenatore, “ha una forte capacità di applicazione, è molto ‘spugnoso’ nell’apprendimento. Queste sono le qualità che ho visto in lui, e per me sono fondamentali“. Ma come, verrebbe da pensare, possibile che non sia vera quella storia sul servizio e dritto che raccontano tutti, addetti ai lavori compresi? “Certo, lui deve ricordare che i suoi punti di forza sono il servizio e il dritto, ma fin da quando era ragazzo l’intenzione è stata quella di conferirgli un bagaglio tecnico-tattico utile a giocare in tutte le zone di campo e in tutte le situazioni, con più soluzioni possibili. Questa è una cosa che ha allenato“.
IL TITOLO IN UN MOMENTO DIFFICILE
Kukushkin, Bedene, Cuevas, Djere e Krajinovic: questi gli avversari battuti da Berrettini per sollevare il trofeo di Budapest. “Matteo veniva da un momento un po’ diverso dal solito, nelle settimane precedenti ha dovuto gestire delle situazioni per lui nuove. È stato un percorso molto faticoso rispetto ad altre situazioni in cui si era districato con più facilità. Ha dovuto metterci tanta forza, tanta determinazione. Ci sono state tante difficoltà e ce ne saranno tante altre, ma ben vengano; se ti poni in maniera costruttiva, sono proprio quelle che poi ti rafforzano“. Un torneo che ha una particolarità non troppo simpatica per il ragazzo di Roma: ogni anno prende una storta alla caviglia e rischia di farsi male, lo ha ricordato col sorriso anche durante la premiazione. Quest’anno gli è successo contro Cuevas, nel corso della partita più difficile del torneo, ma il piccolo incidente non l’ha fermato.
“Dal punto di vista della tenuta mentale e della reazione, la partita più importante è stata proprio quella con Cuevas” assicura Vincenzo. “Non ha giocato benissimo a tennis però ‘è stato giocatore’, che è la cosa più importante di tutte. Pur avendo difficoltà di gioco e di punteggio è rimasto lì. Quando va tutto bene è facile vincere, son buoni tutti! Devi essere bravo quando sei in svantaggio, quando ti tocca annullare palle break, quando i colpi non funzionano come dovrebbero. Le partite nelle quali incontra difficoltà sono quelle che mi piacciono di più, perché ha modo di mettersi alla prova“.

MIGLIORAMENTI, OBIETTIVI… E UN ROVESCIO DA IMPARARE
La top 30, obiettivo del team Berrettini già a inizio stagione, adesso è distante appena 130 punti. Ma Santopadre non vuole esagerare con l’ambizione, da pompiere navigato. “Sono abbastanza allenato a cogliere sia i segnali positivi che quelli negativi. Matteo sta facendo un percorso e ogni giorno aggiunge qualcosa, un’esperienza che lo possa arricchire, anche in caso di sconfitta. Non parlo solo di ottenere risultati, il percorso deve essere visto a lunga scadenza. Anche se lui avesse perso al primo turno a Budapest il percorso sarebbe andato avanti allo stesso modo, non ci saremmo disperati per la sconfitta e allo stesso modo non ci esaltiamo troppo per questa vittoria. Sicuramente è motivo di fiducia e di convinzione, per fare ancora meglio di quello che sta già facendo“.
Ma in cosa consiste, esattamente, la strategia di Vincenzo Santopadre? “La priorità è sempre il modo di stare in campo, che sia un modo ‘pronto’. Tutto viene pensato affinché lui possa diventare un giocatore completo, in grado di giocare su tutte le superfici. A me piace così e credo che un tennista moderno debba fare assolutamente una scelta di questo tipo” spiega l’ex numero 100 del mondo, interrogato sulla possibilità che Berrettini possa far bene anche sull’erba, la superficie che in calendario succederà alla terra battuta.
Passando invece dal cemento alla terra, invece, su cosa ha fatto lavorare Matteo? “Abbiamo insistito sulla gestione della palla, che è diversa, abbiamo continuato a lavorare sul servizio e sulla risposta. Ha ripulito un po’ il servizio che si era ‘sporcato’. Poi abbiamo aggiunto qualche soluzione sul lato sinistro, abbiamo messo su qualcosa di più frizzante lavorando sulla varietà“. Il rovescio in back, per esempio, che già a Marsiglia si era rivelato stato cruciale per battere Khachanov? “A proposito di quel colpo: ricordo che anni fa, quando ha avuto un problema al polso sinistro e non poteva giocare il rovescio a due mani, abbiamo lavorato tantissimo sul back di rovescio che secondo me è un colpo utilissimo, spesso sottovalutato, che gli può dare variazioni e tempi diversi“.
A volte, per Berrettini, utilizzare il taglio diventa un modo per evitare il pressing sul suo lato debole. Questa settimana, però, qualche miglioramento si è visto. Persino qualche vincente in lungolinea, in assoluto il colpo più complesso per un bimane. Anche qui c’è lo zampino di Santopadre? “Sì, hai colto nel segno. Anzi, sei stato fin troppo tenero! In realtà lui non aveva proprio questo colpo: non gli ho dovuto dire qualcosa, l’abbiamo proprio dovuto allenare. È stata una delle cose che abbiamo allenato di più nell’ultimo periodo. Avendo preso una certa confidenza con il colpo, anzi, per dirla in maniera un po’ più cruda, avendolo imparato, ora è in grado di eseguirlo. Gli mancavano delle capacità per giocarlo, poi lui è stato bravo perché riuscirci in partita è tutta un’altra cosa“.
Il futuro ci dirà se e quanto Berrettini potrà salire rispetto all’ottimo livello sul quale ha già dimostrato di potersi assestare. Una cosa appare certa: difficilmente avrebbe potuto scegliere un allenatore migliore.
Flash
Roland Garros, il capitano azzurro Garbin: ” Bilancio positivo, ci vuole pazienza, in Italia si matura più tardi”
Tathiana Garbin fa il bilancio del torneo delle azzurre. Bene Cocciaretto ed Errani, dispiacere e preoccupazione per gli infortuni di Trevisan e Giorgi. Le finali di novembre e il futuro del tennis italiano

da Parigi, il nostro inviato
Il capitano di Billie Jean King Cup azzurro Tathiana Garbin ha incontrato la stampa italiana per un bilancio del torneo delle italiane con un occhio alle finali di Fed Cup di novembre che vedranno l’Italia affrontare Germania e Francia nel girone di qualificazione.
Il primo commento è per Elisabetta Cocciaretto che ha da poco perso la sua partita di terzo turno contro Bernarda Pera. “ E’ arrivata a Parigi già con qualche problema fisico, ma credo che abbia avuto tantissime chance anche oggi, le è mancata un po’ di esperienza. Sono partite difficili da un punto di vista mentale, da un punto di vista del gioco, sta esprimendo un livello altissimo come si è visto anche nel match contro Kvitova”.
Il bilancio del torneo delle azzurre è comunque positivo per Garbin. “ Abbiamo avuto un sorteggio molto duro, Svitolina, Kvitova, Jabeur. Dobbiamo essere contenti, stanno crescendo anche le juniores, ne abbiamo portate tre in tabellone ed è una cosa molto importante, stiamo facendo un bel lavoro al centro tecnico giovanile, ma c’è da avere pazienza”.
Le abbiamo chiesto un’opinione su Sara Errani e sul suo ritorno ad alti livelli: “ E’ un esempio di come la passione ti possa portare, nonostante l’età, a competere e a porti degli obiettivi sempre più alti. Non ì facile ripartire quando sei stata ai vertici, non è da tutti”.
Abbiamo sollecitato il Capitano sulle potenzialità delle Juniores azzurre considerando che la sedicenne Andreeva oggi ha giocato il terzo turno strappando un set a Gauff. “ Beh a Il Cairo la Uggesi l’ha battuta in finale, giocando un match perfetto mentre la russa ha giocato male, però c’è spazio. Certo, lei è una ragazza precoce e già matura, noi abbiamo una cultura diversa, maturiamo più tardi. Non bisogna avere fretta, bisogna avere rispetto delle ragazze facendole crescere in modo giusto. Abbiamo visto ragazze come la Anisimova che arrivano presto ma poi non riescono a reggere la pressione. E’ importante crescere prima la persona e poi la tennista. D’altra parte la nostra generazione ha dimostrato che i migliori risultati li abbiamo raggiunti intorno ai trenta anni.
Se è vero che non bisogna avere fretta, va però fatto notare come la prossima numero uno d’Italia, Elisabetta Cocciaretto, ha solo ventidue anni. “Non è mai successo così giovane infatti, ed è sicuramente una buona notizia”.
Per quanto riguarda la nazionale, il Capitano ha gli occhi puntati sull’obiettivo di novembre. “ Seguirò le ragazze il più possibile nei tornei, sono molto fortunata perché ho un gruppo molto competitivo, sono tutte molto forti sul cemento a differenza di un po’ di tempo fa quando arrivai a ricoprire questo ruolo e sul cemento facevamo fatica”
Il nostro Vanni Gibertini ha sottoposto a Tathiana una riflessione sul fisico più minuto delle italiane rispetto a quello di molte tenniste di vertice e se nelle selezioni alla base del movimento ci sia un criterio riferito all’altezza come ad esempio è avvenuto negli anni scorsi nella pallavolo. “Partiamo dal presupposto che la media nazionale nostra è più bassa della media europea, ma questo significa che le nostre sono ancora più brave a sopperire con la tecnica a questo gap. E’ chiaro che ci sono delle ragazze giovanissime che hanno un’altezza maggiore, ma il bacino d’utenza è quello e dobbiamo lavorare con quello che abbiamo a disposizione, formandole tecnicamente. In ogni caso più piccole vuol dire brevilinee e più veloci”.
In chiusura, abbiamo chiesto un pronostico su chi vincerà il torneo femminile del Roland Garros:“ Mi piace molto come gioca Jabeur, ma credo che la favorita sia Swiatek che sta giocando ad un livello altissimo”.
Flash
Roland Garros, Djokovic punta al bersaglio grosso: “Negli Slam voglio raggiungere il picco del mio livello”
Novak Djokovic in versione fatalista in merito ai problemi fisici che lo stanno martoriando: “A volte hai bisogno del fisio, altre del sostegno di Dio e degli angeli”, ma poi rilancia: “possiedo ancora la qualità del tennis per sfidare tutti i migliori per la conquista dei Majors”

Novak Djokovic ha dovuto faticare per due set contro il finalista del Masters 1000 di Montecarlo 2022 Alejandro Davidovich-Fokina, prima di ingranare la marcia giusta. E’ una versione di Nole che sta soffrendo a decollare, non hai mai perso alcuna frazione però è sempre stato costretto a ricorrere al tie-break in almeno un singolo parziale delle sue tre sfide parigine fin qui disputate al Roland Garros 2023.
Dopo aver fatto scalpore con le dichiarazioni sul Kosovo, nella conferenza stampa post partita del match vinto al 2°T con l’ungherese Marton Fucsovics, questo nuovo incontro del serbo con i media è stato decisamente più interessante sul piano prettamente tennistico con il 22 volte campione Slam che ha parlato dei problemi fisici, con cui adesso a 36 candeline suonate è più complicato convivere, ma anche della propria irriducibile motivazione che non cenna a placarsi nonostante l’età che avanza, fino a dire la sua sul tanto chiacchierato pubblico francese.
D. Ho visto diversi giocatori vincere prove del Grande Slam e non avere la tua reazione alla fine del secondo set. Puoi descriverci quanto siano stati duri per te i primi due set, quanto tu abbia sofferto internamente per poi liberarti di tutto alla fine di quel secondo parziale vinto ancora una volta al tie-break?
Novak Djokovic: “E’ stato estremamente difficile vivere ed affrontare quei due set iniziali, per svariati motivi. Primo fattore sicuramente il dispendio di energie fisiche e mentali, tre ore per due set non è per nulla banale, anzi sinceramente non ricordo minimamente quando sia stata l’ultima volta che io abbia dovuto giocare ben 3 ore per completare due frazioni. Magari, forse, contro Nadal in una delle nostre partite. Inoltre ho avuto la chiara sensazione alla conclusione dei due tie-break, che se avessi perso uno dei primi due set la partita sarebbe andata sicuramente per le lunghe con una durata complessiva da quattro o cinque ore. Tuttavia queste giornate particolari che presentano condizioni di gioco a livello di adattamento, ma anche ambientali, molto impegnative per entrambi i giocatori soprattutto poi sul piano fisico, capitano frequentemente in questo sport. Fa parte del nostro lavoro. Un match in cui ci sono stati veramente tantissimi scambi logoranti. Poter servire non è stato un vantaggio per nessuno di noi due. Sembrava che fossimo come il gatto ed il topo ogni singolo punto, cercando di superare in astuzia l’avversario. Ho parlato di una partita durissima fisicamente, perché abbiamo dovuto correre veramente molto. Non solo per coprire il campo orizzontalmente, ma anche verticalmente con l’ulteriore difficoltà rappresentata dal momento in cui si giocava dalla parte di campo dove le raffiche di vento soffiavano contrarie. E questo inevitabilmente comportava di dover necessariamente, spendere tante energie extra su ogni palla per lavorarla affinché fosse produttiva. Quindi per tutte queste complessità che si sono palesate, quando mi ritroverò a fine giornata per tracciare un bilancio della mia performance odierna non potrò che ritenermi assolutamente molto contento e soddisfatto di aver vinto questa partita in tre set. Anche se per onestà intellettuale, devo riconoscere che sarebbe stato probabilmente più giusto, vedendo il tipo di partita, le modalità con cui si è sviluppata e gli oggettivi di meriti di Alejandro [Davidovich Fokina, ndr] che io avessi vinto almeno quattro set, perché comunque lui si è ritrovato a servire per il primo set e successivamente ha avuto le sue occasioni anche nel secondo. Io, da parte mia, mi sono costruito le mie possibilità. Entrambi abbiamo avuto diverse occasioni nei games di risposta e tutti e due non siamo stati costanti dentro la partita esprimendo un rendimento ad alti e bassi. Ad un certo punto, per esempio, ho smarrito completamente la mia seconda di servizio. Ho commesso tre doppi falli in un singolo set, ho concesso il break quando ero in un frangente di rottura prolungata con il servizio. Sono accadute situazioni abbastanza strane, ad essere onesto. Ma come ho dichiarato in precedenza, questo è il tennis, soprattutto quello nei tornei del Grande Slam ed in particolare quando giochi al meglio dei cinque set e sulla superficie più lenta che il nostro sport conosca. Ho ascoltato l’opinione ed il parere di molti altri giocatori, ho parlato con loro e tutti pensiamo che le palle siano più lente rispetto agli anni precedenti. Quindi questo aspetto rende ancora più difficile trovare il vincente, devi lavorare di più su ogni punto. Questo poi fatalmente allunga la durata della partita, esigendo più energie sul campo da parte di noi giocatori. Ma alla fine della giornata non posso che affermare comunque, al di là di tutto, che sia stata una vittoria importante. Sono davvero contento, infine, di essere riuscito a ingranare come avrei voluto dall’inizio nel terzo set, ora mi concentro esclusivamente sul recupero per prepararmi al meglio per il prossimo incontro“.
D. Abbiamo visto che hai chiamato il fisioterapista alla fine del secondo set per ricevere un trattamento alla coscia. È stato dovuto soltanto alla stanchezza, o c’è qualche tipo di infortunio oppure fastidio fisico di cui non siamo a conoscenza. Sei preoccupato di come potresti presentarti in campo sul piano aerobico per il prossimo round?
Novak Djokovic: “Non abbiamo, ora qui, il tempo per poter anche soltanto cominciare a nominare i diversi piccoli infortuni che ho in questo momento, la lista è piuttosto lunga. Inoltre, non voglio sedermi qui davanti a voi e parlare dei miei problemi fisici perché comunque non mi impediscono di giocare. Ho continuato a giocare, e sto continuando a farlo. Queste sono le circostanze che ogni giocatore, come atleta professionista, deve affrontare. Fa parte del mestiere, bisogna accettarlo. A volte hai bisogno di aiuto da parte del fisioterapista durante la partita, a volte invece hai semplicemente bisogno di alcuni antidolorifici. A volte ancora puoi necessitare del sostegno di Dio o degli angeli, o di chiunque altro tu desideri. In sostanza, devi essere capace di fare i conti con la realtà. La mia personale realtà al giorno d’oggi è che, sì, il mio corpo sta rispondendo in modo diverso rispetto a qualche anno fa. Perciò devo adattarmi a questa nuova realtà, non posso fare altrimenti. Ma se poi realizzo che alla fine della giornata, sono riuscito a finire la partita e a vincere non posso che ritenermi soddisfatto di me stesso. Perché in campo cerchi sempre di fare del tuo meglio, tutto il possibile, in modo da poter finire prima la partita e vincere. Questo è quello che è successo“.
D. In queste condizioni fisiche precarie, è possibile valutare il livello in cui ti trovi attualmente? C’è un aspetto specifico di valutazione di ciò o si tratta semplicemente di fare il meglio che puoi con quello che hai nel serbatoio in questo preciso momento di forma?
Novak Djokovic: “Io sono molto autocritico, come sapete, quindi sono sempre convinto di essere in grado di poter fare meglio, di essere capace di mettere in mostra un gioco sempre migliore. Tuttavia cerco anche di ricordare a me stesso, così come fanno le persone del mio team cercando di farmelo presente ogni giorno, che ciononostante ci sono molti aspetti positivi, che devo cercare di rimanere ottimista, di guardare avanti ma allo stesso tempo vivere intensamente il momento provando a trarne il massimo che posso. E’ normale che durante il torneo, indipendentemente dalla mia storia personale o dall’esperienza su cui posso fare affidamento, sorgano alcuni dubbi quando le cose non vanno come vorresti. Tutti hanno le loro perplessità. Per cui è fondamentale comprendere appieno quali siano i tuoi punti di forza e concentrarti solo su quelli, affrontando il momento in questione. Quindi per tutto questo e per i problemi che sto incontrando, sono assolutamente contento del punto in cui si trova il mio gioco. Può essere migliore? Certamente, non ho ancora vinto un match senza avere difficoltà in almeno un set in ogni gara, finora nelle mie tre partite quantomeno un set si è sempre deciso al tie-break. Ma come detto, alla fine, è importante anche avere una visione d’insieme e guardare in prospettiva. Sono stato in questa situazione davvero molte volte nella mia carriera, so come affrontare una seconda settimana di uno Slam. Le partite devi aspettarti che diventino più difficili, più complicate. Poi se non si riveleranno così dure, allora sarà fantastico, ma io devo essere pronto per quest’eventualità“.
D. L’altro giorno hai parlato brevemente di un cerotto che portavi sul petto. Un’azienda italiana, Taopatch o Tao Technology credo si chaimi, ha detto che stai indossando un loro prodotto. Puoi condividere qualcosa di più su quali siano i benefici che ottieni indossandolo e anche da quanto tempo lo porti?
Novak Djokovic: “Ho già dichiarato qualche giorno fa che è tutto incentrato su Iron Man. Sto solo cercando di essere l’Iron Man del tennis“.
D. Novak, hai vinto 22 tornei del Grande Slam e sei l’unico giocatore rimasto nel tabellone maschile che ha già vinto il Roland Garros. Ti fermi mai a pensare a te stesso, a quello che hai conquistato, ottenuto e realizzato. Cos’è che ti rende diverso da tutti gli altri che gareggiano nel Tour in questo momento?
Novak Djokovic: “Ho ancora molta voglia di essere nel Tour, in particolare gareggiare negli Slam. L’ho già detto tante volte. Quindi, sai, cerco solo di focalizzare l’attenzione sulla mia preparazione fisica ed agonistica e su tutta la mia motivazione per presentarmi nella mia migliore versione possibile per gli Slam, che sono i tornei dove voglio raggiungere il picco del mio livello perché sono quegli eventi che veramente mi stimolano ancora tanto e mi spronano a dare il meglio di me affinché io possa mettere le mani su un altro titolo del Grande Slam. L’ho fatto quest’anno, quindi so che sono capace di farlo. Ovviamente superfici diverse, condizioni diverse, circostanze differenti rispetto all’Australia. Ma, sai, la vittoria di un Grande Slam è la vittoria di un Grande Slam e soprattutto poterla ottenere alla mia età o in questa fase della mia vita, rappresenterebbe un risultato straordinario e assumerebbe ancora più valore rispetto ai trionfi passati. Come detto, sono consapevole di essere ancora in grado di farlo, di possedere ancora il livello e la qualità del tennis necessari per sfidare tutti i migliori giocatori del mondo per la conquista dei titoli Slam. Tuttavia sono grato di essere dove sono, di tutto quello che di magnifico ho già ottenuto, anche perché non so quanto possa durare ancora. Davvero non lo so. Io nella mia testa non ho un’idea chiara di come vorrei finire, ma finché sentirò questa spinta motivazionale dentro di me, finché sarò capace di spingermi oltre i miei limiti su base giornaliera per potermi prefiggere obiettivi ambiziosi e che mi motivino a sufficienza ad alzarmi ogni giorno e dirmi, ok, sono pronto a fare tutto il necessario per raggiungere il mio scopo ancora una volta; andrò avanti. Poiché soltanto Dio sa, quante volte nella mia carriera, soprattutto al giorno d’oggi, sia stato impegnativo, più impegnativo di quando ero più giovane, ma è proprio per questo che credo che sia estremamente importante per un atleta porsi sempre nuovi obiettivi a lungo termine o a breve termine, perché quando fai un piano, quando fai una strategia e sai qual è il grande traguardo finale; allora immagino che sia più facile lavorare quotidianamente per svolgere le varie attività che ti sono richieste. Quindi cerco di trovare quella chiarezza dentro di me per delineare meglio quello che sto facendo, dove sono diretto, quali sono i tornei in cui voglio giocare al meglio e dare davvero tutto me stesso. E il Roland Garros è uno di ‘quei’ quattro tornei“.
D. Posso solo chiederti del tuo rapporto con il pubblico qui a Parigi? Quest’ultima è stata descritta negli ultimi due giorni come uno dei luoghi più ostili per giocare a tennis. Poiché ti trovi ad essere quasi sempre il favorito in campo, gli spettatori spesso vogliono tifare contro di te e a favore dello sfavorito di turno affinché possa regalare una partita la più entusiasmante possibile. Mi chiedo quale sia il tuo rapporto con questo tipo di situazioni ambientali e come senti – e pensi – di poterli [ gli spettatori, ndr] conquistare durante la partita.
Novak Djokovic: “Mi hanno dato molto supporto per tutta la mia carriera, penso agli anni in cui stavo perdendo in finale o anche agli ultimi match prima di vincere un titolo. In quelle stagioni ho ricevuto molto sostegno e amore, ed ero molto grato per questo al pubblico francese. Ho ricordi meravigliosi. Ricevo ancora oggi supporto. Penso che la maggior parte delle persone venga a godersi il tennis piuttosto che a sostenere l’uno o l’altro giocatore. Poi ovviamente ci sono persone o gruppi di persone, che amano fischiare ogni singola cosa che fai. È qualcosa che trovo totalmente irrispettoso e che francamente non comprendo. Tuttavia è un loro diritto. Hanno pagato il biglietto. Possono fare quello che vogliono. A volte sono stato in silenzio, altre no. In realtà il 99% delle volte non reagisco in alcun modo ad eventuali fischi o provocazioni di altre genere. Però in alcune situazioni accade che io mi opponga, perché sento che quando qualcuno è irrispettoso merita di avere una risposta ad hoc al suo comportamento. Ecco di cosa si tratta“.
ATP
Roland Garros, la favola di Juan Pablo Varillas. Un peruviano agli ottavi slam dopo ventinove anni. Ora la sfida a Djokovic
Uscito vincitore dalla maratona contro Hurkacz, non aveva mai vinto un match in uno Slam prima di questo Roland Garros. Il sogno quello di far crescere il tennis nel suo paese: “Spero di poter essere un esempio per i ragazzi”

Una delle storie a sorpresa di questa prima settimana di gioco a Bois de Boulogne è quella di Juan Pablo Varillas. Il tennista peruviano, numero 94 delle classifiche mondiali, approda per la prima volta alla seconda settimana di un torneo del Grande Slam, superando sulla sua strada due teste di serie, Roberto Bautista Agut e Hubert Hurkacz. Per il peruviano adesso arriva un ottavo da brividi contro il serbo Novak Djokovic.
Quello contro Hurkacz è un successo storico per il tennis peruviano. L’ultimo tennista del suo paese a raggiungere gli ottavi di finale in un torneo del Grande Slam fu Jaime Yzaga, che nel 1994 si spinse agli ottavi a Parigi e sino ai quarti di finale allo US Open. L’ultimo peruviano che si spinse al terzo turno a Parigi fu invece Luis Horna nel 2005.
Tornano a Varillas, il momento storico è arrivato dopo tre ore e quarantacinque minuti di battaglia contro il numero 14 al mondo Hubert Hurkacz. Un match che ha mandato in estasi il tennista peruviano: “Credo sia stata una grande partita dall’inizio alla fine. È stata davvero dura perché lui stava colpendo molto forte e servendo così bene, ma sono riuscito a costringerlo ad entrare nello scambio per quasi tutto il tempo.”
Un successo figlio di una scelta strategica. Sfruttare le maratone di Hurkacz dei giorni precedenti per avere la meglio dal punto di vista fisico e psicologico: “Penso che sia stato mentalmente difficile per lui perché non stava portando a casa così tanti punti con il suo servizio. Inoltre, ha giocato due partite da 5 set prima di questa, quindi sapevo che forse giocando scambi più lunghi, facendo più set sulla terra battuta, fisicamente non sarebbe stato in grado di performare come fa sempre. Alla fine penso di aver giocato un quinto set davvero buono, e le due opportunità che dovevo sfruttare, le ho colte.”
Quelli conquistati a Parigi sono stati i primi match vinti nel main draw di un Grande Slam per il ventisettenne di Lima. Lo scorso anno a Parigi, dopo aver superato le quali, la sorte gli regalo un primo turno sullo Chartier contro Felix Auger-Aliassime. Avanti due set a zero, il peruviano, non abituato a questo tipo di match subì la rimonta del canadese. In Australia da lucky loser costringe agli straordinari Alexander Zverev che ebbe la meglio solo per 6-4 al quinto sulla Margaret Court Arena.
Per Varillas, i match nei tabelloni principali dello slam sembrano essere ormai delle maratone da cinque set. Anche contro Shang al primo turno e Bautista al secondo, il peruviano ha disputato il set decisivo. In entrambi i casi rimontando da uno svantaggio di due set a zero.
Una settimana da sogno che riporta il tennis peruviano in auge dopo diversi anni. Come non ricordare la vittoria di Luis Horna contro Roger Federer sulla terra parigina nel 2003. Horna che oltre ad essere il capitano di Davis, gestisce anche diversi tennisti, uno dei quali è lo stesso Varillas.
Il nome più di rilievo rimane Alex Olmedo, peruviano con passaporto statunitense, che vinse Australian Open e Wimbledon nel 1959 e la Coppa Davis con gli USA nel 1958 (il Perù non aveva una squadra e le regola di eleggibilità in passato erano diverse).
Varillas vuole fare da traino ad un movimento abbastanza povero in questo momento. “Penso che sia una grande cosa per il mio paese. Non ci sono così tanti tennisti professionisti. Essere un tennista professionista non è un’opzione in Perù. Quindi penso di poter essere un esempio per i ragazzi. Per dimostrargli che possiamo fare questo tipo di cose, possiamo giocare a questo tipo di eventi.”
Il tennista ventisettenne è l’unico peruviano nei primi quattrocento al mondo. Sebbene qualcosa si stia muovendo, basta pensare al diciannovenne Bueno, ai margini dei primi quattrocento al mondo e vincitore del Bonfiglio nel 2021. “Se lavoriamo, se manteniamo la giusta disciplina, se lo facciamo con costanza e credendo in noi stessi, diventare un tennista professionista penso sia sicuramente possibile. Penso che questa mia avventura sarà una buona spinta per i bambini a continuare il loro sogno di essere, un giorno, un giocatore di tennis professionista. Penso potrà aiutare anche per i genitori a non fanno pressione sui bambini perché vadano al college o qualcosa del genere.”
Per scalare la classifica e giocare in palcoscenici di questo livello, Varillas ha dovuto giocare molto nella palestra dei Challenger. Dieci finali disputate e cinque titoli messi in bacheca. Di recente ha giocato anche sul suolo italiano ed è stato intervistato a Sanremo dal nostro Giovanni Pelazzo. In quell’occasione lo stesso Varillas aveva evidenziato le difficoltà e la spinta nell’essere l’unico riferimento del suo paese. “Non ci sono riferimenti per quel che riguarda il tennis: in Sudamerica gira praticamente tutto intorno al calcio. Tutti gli altri sport sono accantonati in un angolino ed è come se non esistessero”
E proprio per questo fu un avvicinamento progressivo quello a questo sport: “I miei genitori mi hanno portato ad uno di quei campi estivi. Si praticava ogni tipo di sport e c’era il tennis, che insieme al calcio era lo sport che adoravo. Ho praticato entrambi gli sport sino ai 15-16 anni. Poi ho capito che ero più bravo a tennis ed ho continuato a lavorare ed eccomi qui.”
Una perseveranza che ha portato il tennista peruviano a battere in stagione gente del calibro di Delbonis, Thiem e il nostro Lorenzo Musetti. Una cavalcata da qualificato a Buenos Aires che gli ha permesso di raggiungere la prima semifinale ATP (persa contro Norrie) e il best ranking alla posizione 76. Ora arriva Djokovic, una sfida che il peruviano affronterà senza timore: “Quando si entra in campo, le chance sono 50-50. Si gioca l’uno contro l’altro“.