Rublev, lavoro e piedi per terra. Su Berrettini: "È un giocatore fantastico"

Interviste

Rublev, lavoro e piedi per terra. Su Berrettini: “È un giocatore fantastico”

Esclusiva di Ubitennis con il russo, che oggi alle 18:30 sfiderà l’azzurro negli ottavi di finale degli US Open. “I quarti nel 2017? Ho indovinato la settimana, ora è diverso: so giocare a ritmi più bassi e mi difendo meglio”

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Andrey Rublev - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

Andrey Rublev è il redivivo dell’estate 2019. Superati i problemi alla parte bassa della schiena del 2018 (e i suoi corollari psicologici), il moscovita ha vinto 15 delle ultime 20 partite (compresi i match di qualificazione), e si prepara ad affrontare, non prima delle 18:30 italiane, il nostro Matteo Berrettini per un posto nei quarti di finale degli US Open, risultato già ottenuto nel 2017.

I due si sono già affrontati in un paio di occasioni nel circuito maggiore (una vittoria a testa), a Gstaad nel 2018 e a Marsiglia lo scorso febbraio, partite in cui Rublev ha avuto un saggio delle doti del suo prossimo avversario. “Mi ricordo bene quelle partite! Berrettini sta giocando la sua miglior stagione, è davvero un giocatore fantastico, ha un grande servizio e buoni colpi, sarà un altro match duro in cui dovrò rimanere sempre concentrato e provare a fare del mio meglio. A Gstaad l’anno scorso mi aveva distrutto facile in due set [6-3 6-3] e poi aveva vinto il torneo, quest’anno a Marsiglia ho vinto io ma è stato complicato, lui mi è sempre stato vicino nel punteggio [6-3 7-6 (2)]”.

In quel periodo Rublev aveva toccato il punto più basso della post-degenza, ritrovandosi al N. 115 delle classifica. Da allora, però, la sua stagione ha preso una piega completamente diversa, e lui non ha mancato di farlo notare, pur cercando di mantenere un equilibrio fra la volubilità dei risultati e la presenza evergreen del lavoro fuori dal campo. “Fino a poche settimane fa questa sarebbe stata una stagione negativa per me, poi è cambiato tutto molto in fretta. Prima c’è stata la finale ad Amburgo, poi ovviamente Cincinnati, dove non avrei dovuto nemmeno giocare perché avevo dimenticato di iscrivermi, e invece sono entrato come alternate e ho avuto una settimana fantastica”, ha detto. “Anche settimana scorsa a Winston-Salem ho fatto i quarti, e ora sto facendo bene qui, ma in realtà non si può mai sapere se i risultati arriveranno, bisogna solo lavorare duro ed essere pazienti”.

Andrey Rublev – US Open 2019 (foto via Twitter, @ATP_Tour)

Rublev era reduce dalla vittoria con Nick Kyrgios, superato al terzo turno senza mai perdere il servizio. Ciò che ha sorpreso molti addetti ai lavori è che nella partita con l’australiano Andrey ha commesso solo nove non forzati nei primi due set, apparentemente un grosso cambiamento rispetto al tennis di pressione cieca della sua prima ribalta pro, anche se lui stesso è il primo a soppesare il dato alla luce della natura del match: “Con Nick non ci sono molti scambi, serve così bene! I miei turni di battuta avevano dei punti da 2-3 colpi, i suoi erano principalmente ace, ace, ace, magari colpo in più di tanto in tanto, infatti abbiamo giocato tre set in due ore [un’ora e 51]. Ci sono altri giocatori che invece non servono forte ed entrano maggiormente negli scambi, quindi con loro finirei per sbagliare di più perché dovrei osare di più”.

Kyrgios è però solo l’ultimo avversario di schiatta battuto durante l’estate. Oltre alla vittoria in Germania contro Thiem, sul cemento nord-americano Rublev ha battuto anche Tsitsipas, qui al primo turno, e soprattutto Roger Federer, peraltro a Cincinnati, uno dei tornei preferiti del 20 volte campione Slam. Alla domanda su quale vittoria l’abbia reso più fiero, il moscovita si è fatto ecumenico: “Sono tre match completamente diversi con sensazioni completamente diverse. Con Tsitsipas abbiamo scambiato tantissimo e siamo stati in campo per quattro ore, quindi è stata una prova di resistenza. Con Kyrgios ho dovuto rimanere concentrato, perché perdere la battuta con lui significa perdere il set. Con Roger è difficile anche solo scendere in campo, è una leggenda, e finire la partita senza perdere la battuta è stato incredibile. Quindi sono tre partite diverse, e ho motivi per essere orgoglioso di ciascuna, e in ciascuna ci sono delle cose che avrei potuto fare meglio”.

Tutte le sue risposte danno l’idea di un atleta con le idee chiare e i piedi per terra. E d’altronde Rublev è stato il primo a fare riferimento alla sua nuova forma mentis, enfatizzando un atteggiamento molto più calmo in campo, laddove in precedenza tendeva a “dare di matto” se le cose non andavano bene – molti tifosi italiani ricorderanno le escandescenze durante la finale delle NextGen persa a Milano nel 2017 con Chung.

Più di tutto però l’attuale N. 43 del ranking ha sottolineato la progettualità del suo percorso, che sta includendo una maturazione fisica oltre che mentale. In particolare, ha affermato che due stagioni fa era senza gambe (non letteralmente, a scanso di equivoci), cosa che lo limitava ad un gioco à la Steve McQueen, scarsamente cerebrale e con solo le marce alte ingranate, non per scelta ma per obbligo.

Andrey Rublev – US Open 2019 (foto via Twitter, @ATP_Tour)

In questo senso, proprio i quarti raggiunti a Flushing Meadows due anni fa rappresentano un metro di paragone significativo per la sua auto-esegesi fisica e tecnica: “Per quanto riguarda il gioco, nel 2017 ho fatto i quarti perché ho indovinato la settimana, tentavo colpi difficili e stava tutto dentro. Ora, grazie al lavoro sulle gambe, posso giocare scambi lunghi senza problemi. Due anni fa non arrivavo su certe palle e non reggevo gli scambi, sapevo solo tirare forte, perciò se i colpi non entravano, o se giocavo con uno come Rafa [che lo eliminò nel 2017 per 6-1 6-2 6-2], con cui non importa quanto tiri forte, perdevo facilmente. Ora so giocare anche a ritmi più bassi, e mi difendo molto meglio, quindi posso vincere partite anche se il mio gioco non gira alla perfezione, e questo grazie alle gambe”.

Indicativo, in questo senso, e per certi versi sorprendente, è stato il riferimento a chi dovrebbero essere i modelli di continuità, soprattutto per uno che eufemisticamente non è mai stato un alfiere di un tennis d’attrito: “I numeri mostrano che i giocatori più concentrati e consistenti alla fine ottengono i risultati migliori. Gente come Schwartzman o Bautista Agut si impegna e combatte sempre, e quindi ha sempre delle buone settimane; magari non vincono uno Slam, ma riescono a essere continui”.

L’ultima domanda è stata su una sua potenziale vittoria del torneo, ma la risposta è stata altresì razionale: Non credo di poter vincere, e nemmeno ci penso. Ragiono partita dopo partita, e cerco solo di fare il mio lavoro e di dare il massimo. Se perdo non fa niente, mi rimetto al lavoro, se vinco meglio ancora, e mi concentro sulla prossima”. Difficile dargli torto, ma nel frattempo non resta che augurarsi, come ha fatto lui, che quella di oggi possa essere una partita interessante, gli interpreti hanno tutto per offrirla e per affrontarsi più spesso negli anni a venire.

Tommaso Villa

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