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Al femminile

Andreescu contro Williams, finale da record

La partita di Flushing Meadows tra Serena Williams e Bianca Andreescu non è stata solo la finale Slam con più differenza di età fra le protagoniste (quasi 19 anni), ma anche una eccezionale occasione di confronto generazionale

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Serena Williams e Bianca Andreescu - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

Alla scoperta delle doti (e degli eventuali limiti) di Andreescu, la partita contro Serena rappresentava un momento speciale. Non occorre nemmeno spiegare la ragione: fino a che Williams sarà in attività, nessuna giocatrice emergente può esimersi dall’esame rappresentato dal confronto con una delle leggende della storia del tennis. A causa dei problemi fisici di Serena era saltato l’appuntamento in Canada, ma il destino ha voluto che si riproponesse qualche settimana dopo, addirittura nella finale Slam. E Andreescu ne è uscita con la vittoria.

Del suo match sul piano tecnico sottolineerei due aspetti. Il primo è per il colpo in cui ha meritato il massimo dei voti: la risposta. Serena nella conferenza post match ha dichiarato di non essere soddisfatta di come ha giocato e di come ha servito. Ma nel primo set era scesa in campo una ottima Williams, e se poi ha perso il filo del discorso, andando incontro a una parte centrale deficitaria, va riconosciuto il merito anche a chi aveva di fronte.

Serena non ha esordito servendo male; e ad abbassarle la percentuale di prime (scesa dal 50% del primo set al 37% del secondo) ha contribuito il fatto che di fronte ha trovato una giocatrice non solo in grado di replicare alle sue battute con notevole regolarità, ma anche di riuscire a farlo con una profondità spesso eccezionale. E se l’avversaria ti prende le misure, uno dei rischi è quello di chiedere troppo ai propri colpi, andando fuori giri. Quando poi Williams doveva ricorrere alla seconda palla, erano dolori, visto che riusciva a vincere solo un punto su tre.

Non ricordo negli ultimi anni una prestazione alla risposta contro Serena di questo livello. Occorre forse tornare alla Azarenka del 2012-2013 per ritrovare una performance simile contro Williams in termini di efficacia e di aggressività sul secondo colpo dello scambio. Non dimentichiamo che nel secondo set a fare la differenza nel game finale hanno pesato due risposte direttamente vincenti di Andreescu; in questo modo è riuscita a chiudere un match che stava prendendo una piega per lei pericolosissima.

L’altro aspetto tecnico straordinario di Andreescu è stata la capacità di reggere il confronto una volta entrate nello scambio, rimanendo incollata alla linea di fondo. Anche quando Serena riusciva ad avere il controllo del palleggio è capitato che perdesse il punto per la rapidità con cui le tornava indietro la palla. Specie nel primo set, alcuni scambi hanno assunto un ritmo mostruoso: Serena spingeva con grande potenza, ma Bianca assorbiva e rilanciava colpendo in controbalzo. Tanto che in alcuni casi Williams ha finito per sbagliare per semplice mancanza di tempo: la palla le tornava indietro così in fretta da non avere letteralmente il tempo di coordinarsi per eseguire il colpo successivo correttamente.

E quando invece era Andreescu a comandare, allora la posizione di Bianca diventava ancora più aggressiva; in alcuni casi l’ulteriore passo avanti che eseguiva dentro il campo per chiudere con il dritto la rendeva incontenibile.

Ecco, dovessi identificare il colpo che più mi ha impressionato della finale, sceglierei come “Signature Shot” il dritto lungolinea eseguito in avanzamento: alcuni sono stati di una qualità semplicemente straordinaria. Gli Highlights della finale oggi disponibili sono scandalosamente brevi, ma è presente un quindici che riassume in pochi secondi ciò di cui parlavo: una risposta molto profonda al servizio di Serena e l’immediato avanzamento nel campo per la conclusione di dritto.

Ma non si può chiudere su Andreescu tralasciando gli aspetti caratteriali, che sono stati non meno determinanti delle qualità tecniche. Lo ha confermato Serena in due momenti della conferenza stampa post-finale: “Oggi le ho dato poche opportunità di mostrare la sua versatilità (nel senso delle soluzioni di gioco), ma lei ha comunque mostrato tutta la sua intensità agonistica”.

E alla richiesta se trovava alcune affinità fra lei e Bianca, Serena ha risposto riferendosi innanzitutto alle doti mentali: “Tutte e due siamo delle grandi combattenti e siamo davvero intense. Entrambe amiamo quello che facciamo e siamo, come dire, super-intense nel farlo”.

Nella finale di Flushing Meadows 2019, Andreescu si è ritrovata nella stessa situazione ambientale di Naomi Osaka lo scorso anno: contro la giocatrice di casa con tutto il pubblico da una sola parte, e ha reagito a modo suo. Diversamente dall’atteggiamento distaccato e introverso di Naomi nel 2018, Bianca ha accettato a viso aperto il confronto anche con gli spettatori. E la sua sicurezza, al limite della sfrontatezza, è apparsa ai miei occhi del tutto naturale: profonda e spontanea; quella convinzione non appariva una maschera indossata per affrontare le difficoltà ambientali, ma il suo autentico e naturale modo di stare in campo.

E che Andreescu si trovi bene nel confronto psicologico totale, senza esclusione di colpi, lo dimostra la tendenza a giocare meglio nei testa a testa, come se a volte avesse bisogno dello stimolo della competizione e delle difficoltà massime per dare il meglio di sé. Contro Bencic in semifinale è risalita da una situazione quasi impossibile nel secondo set: dal 7-6, 2-5 ha vinto cinque game consecutivi e ha chiuso il match sul 7-6, 7-5.

Contro Serena dopo aver avuto un match point sul 6-3, 5-1 ha perso quattro game di fila, e quando ormai lo stadio sembrava essere in grado di spingere Williams all’impresa di rovesciare un match quasi perso, Bianca ha invece ritrovato la sicurezza delle fasi iniziali vincendo i due giochi conclusivi, strappando nuovamente la battuta a Williams nell’ultimo game.

Se teniamo presente il modo con cui Andreescu ha vinto a New York e lo integriamo con tutti i record che ho ricordato prima, la conclusione sembra inevitabile: ci troviamo di fronte a una nuova campionessa di primo livello. Forse anche a una fuoriclasse. Ma c’è un ma, che è doveroso ricordare per non presentare la situazione in modo parziale, dimenticando cosa ci ha insegnato la storia del tennis, anche recente.

Occorre cioè ripetere un concetto che spesso ha avuto conferme nel tempo. Non sempre il carattere sicuro e sfrontato che mostra una teenager nel periodo del debutto ad alti livelli professionistici si conferma nel tempo.

Quando si esordisce in WTA con successo, si viaggia sulle ali dell’entusiasmo, con nulla da perdere e tutto da guadagnare. Non si è obbligate a fare risultato, e le responsabilità sono molto inferiori rispetto a quando si diventa tenniste affermate, attese al varco torneo dopo torneo, da tutti: dal proprio team, dagli appassionati, dagli sponsor, e anche dalle avversarie. Allora sì che emerge il vero carattere, negli aspetti di forza e solidità ma, a volte, anche di fragilità.

Ricorderete per esempio la sicurezza mostrata da Ostapenko al Roland Garros 2017, o da Muguruza l’anno precedente, sempre a Parigi e proprio in finale contro Serena Williams. Partite vinte grazie a una forza mentale e una convinzione eccezionali. Se pensiamo alla crisi di fiducia che entrambe attraversano in questo momento, abbiano l’idea di quanto più difficile sia confermarsi nel tempo rispetto alla primo periodo degli esordi.

Questo non significa che Bianca non abbia le doti per fare una grande carriera nel tennis. Del resto già quello che ha saputo ottenere in questi mesi è straordinario. Ma la prima “magica” fase di carriera prima o poi si chiude, e solo in futuro potremo misurare a fondo il suo valore, sotto tutti gli aspetti. Una cosa però è certa: scoprire fino a che punto Andreescu saprà spingersi, renderà i prossimi tornei e le prossime stagioni ancora più interessanti.

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