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Mikhail Youzhny: “Nel 2002 il momento peggiore della mia vita”
Un toccante ricordo del rapporto con il padre nelle parole dell’ex top ten russo
Behind The Raquet, il profilo Instagram creato da Noah Rubin, continua a raccogliere storie di giocatori e giocatrici che si raccontano al di là del campo da tennis. L’ultima pubblicata porta la firma di Mikhail Youzhny, il moscovita classe 1982 che ha dato l’addio alle competizioni un anno fa e dallo scorso agosto siede nell’angolo del ventenne canadese Denis Shapovalov.
Il “Colonnello” torna con la memoria al 2002, in quella sua quarta stagione da professionista che lo ha visto irrompere fra i più forti 50 giocatori del mondo, poi conclusa con il trionfo nella finale di Coppa Davis contro la Francia a Bercy, quando fu proprio lui a portare l’ultimo punto alla Russia rimontando due set di svantaggio a Paul-Henri Mathieu nel quinto rubber. Ma non è solo di questo che vuole parlarci l’ex numero 8 ATP. Perché quell’anno è stato segnato dalla morte del padre, Mikhail senior, con cui condivideva il compleanno e un rapporto molto importante.
“Era il 2002, due mesi prima della finale di Coppa Davis, avevo vent’anni e mio padre morì. Quello fu il momento peggiore della mia vita, il periodo più duro che ho attraversato. È stato mio padre a spingere il tennis nella mia vita portando me e la mia famiglia negli stadi a guardare il tennis ogni volta che potevamo. Ha fatto tutto quello che poteva per noi. Prima che mio fratello e io sapessimo la minima cosa sul tennis, andavamo agli incontri. Fu una grossa sorpresa per me e la mia famiglia, nessuno lo aveva previsto. Sapevamo che la sua salute non era ottima, ma nessuno se lo aspettava.
Due giorni prima avevo giocato contro Chela nella semifinale contro l’Argentina. Non era chissà cosa perché eravamo già avanti 3-1 quando l’ho affrontato. Stavamo già parlando della finale contro la Francia, che era la prima volta che la Russia ci arrivava. Dopo che ho perso mio padre, tutti – anche io stesso – mi dissero di tornare a giocare immediatamente. Dicevano che dovevo continuare con quello che avevo in quel momento, era quello che mio padre avrebbe voluto, che continuassi a migliorare. Stavo giocando bene quell’anno, con buoni risultati a Madrid dove battei Andy Roddick. Continuai quello slancio perfino all’inizio del 2003, dopo che vinsi l’incontro decisivo che valse alla Russia il primo titolo in Coppa Davis. Ho disputato un ottimo Australian Open giocando alla giornata e sapendo che era ciò che mio padre avrebbe desiderato per me.
Dopo l’Australia, vidi un calo nei miei risultati. Attorno a febbraio, ero davvero deluso da me stesso. Fu un periodo difficile, mesi dopo che mio padre se n’era andato, e non avevo dei buoni risultati che mi distraessero. Non era rimasto molto nel mio corpo e nella mia mente, cosa che portò a molte sconfitte al primo o al secondo turno. La mia classifica precipitava, erano momenti duri per me. Certo, vincere aiuta, ma lui era nei miei pensieri comunque il match andasse. Mi domando sempre cosa mi avrebbe detto in quell’istante, come mi sarebbe stato d’aiuto e cosa potrebbe dirmi adesso. Quel rapporto era davvero importante per me. Sto cercando di averne uno uguale con i miei figli. Giochiamo insieme un po’ a tennis e a calcio. Nessun torneo ancora perché non voglio fare troppa pressione. È una decisione che spetta solo a loro alla fine”.