Impressioni dalle ATP Finals: il pubblico è stato ingiusto con Djokovic

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Impressioni dalle ATP Finals: il pubblico è stato ingiusto con Djokovic

L’OPINIONE – Uno dei nostri inviati a Londra è rimasto particolarmente colpito da come il pubblico ha ‘trattato’ Djokovic nella sfida con Federer. E ha raccontato la sua versione

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Novak Djokovic - ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)
 

Tutti gli appassionati di tennis almeno una volta nella vita dovrebbero provare l’esperienza di vedere dal vivo una partita tra professionisti. Lo schermo televisivo impedisce infatti di apprezzare pienamente due elementi fondamentali di questo sport: la velocità della palla e l’atmosfera che si respira sugli spalti.

Chi scrive ha avuto il privilegio di assistere alle ATP Finals in veste di inviato e, quindi, ha avuto un ulteriore vantaggio: potere prendere parte alle conferenze stampa post-partita dei giocatori (e in subordine ma non troppo mangiare gratis al ristorante; companatico ottimo e abbondante e una squisita birra prodotta in un birrificio di Greenwich, la Meantime). Queste conferenze rappresentano momenti di aggregazione imprescindibili per gli addetti ai lavori e di sicuro interesse per i sociologi.

Esse sono regolate da un protocollo ferreo che non ha nulla da invidiare a quello della casa reale inglese. Alle Finals il protocollo funziona così: tramite WhatsApp, pochi minuti dopo la fine dell’incontro, l’ATP informa tutti i giornalisti dell’ora in cui i giocatori si presenteranno nella saletta adibita alle conferenze (di regola a distanza di circa 15 minuti l’uno dall’altro). All’ora convenuta, quindi, i giornalisti transumano dalla sala stampa e da quella ristorante alla sala conferenze, situata a pochi metri di distanza da entrambe.

I primi 10/15 minuti sono riservati alle domande in lingua inglese. Le persone presenti in sala che desiderano fare una domanda alzano la mano e il nume tutelare della conferenza- l’addetto ATP – a sua insindacabile discrezione assegna la parola all’uno piuttosto che all’altro. Se l’intervistato non è Federer o Djokovic o Nadal, le possibilità di riuscire a porre una domanda sono molto alte, dato che il numero di giornalisti presenti è relativamente modesto. Se invece tocca a uno dei magnifici tre le cose si complicano parecchio.

Roger Federer alle Nitto ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)

Ai giornalisti più affermati e conosciuti la possibilità di intervenire di regola viene data sempre; non ricordiamo un’occasione in cui al direttore non sia stata data la parola. Ai neofiti come il sottoscritto non sempre (e considerando la figura che ho fatto con Zverev forse sarebbe stato meglio non me l’avessero data mai!). In teoria non si può porre più di una domanda, ma il direttore, astutamente, in una frase a volte riesce a infilarne due o tre. Proprio con Zverev oggettivamente una sera ha un po’ esagerato e si è sentito rispondere così: “Senti, domani ho un’altra partita e non posso stare qui tutta la notte per rispondere a te”.

Alle domande in inglese seguono quelle fatte nella lingua madre dell’intervistato. Quando costui è Federer, è facile che rimanga in sala un piccolo esercito composto da giornalisti tedeschi, svizzeri, austriaci. Per Tsitsipas solitamente il drappello era composto da una sola collega alla quale il giorno della finale si è unito – in un moto di orgoglio ellenico – un altro giornalista greco.

Il sottoscritto a Londra ha assistito a 18 interviste, quattro al giorno da mercoledì a sabato e due domenica. Nella maggioranza dei casi la domanda di apertura è stata questa: “Puoi spiegarci cosa ti passa per la mente in questo momento?”; abbiamo atteso invano che uno sconfitto rispondesse ‘il desiderio che non mi venga fatta questa domanda del…‘, purtroppo senza fortuna. Il linguaggio non verbale però era inequivocabile. In ogni caso tutto finisce nero su bianco, poiché entro mezz’ora dalla fine dell’intervista l’organizzazione mette a disposizione la trascrizione integrale delle domande e delle risposte in lingua inglese.

IL DJOKOVIC FRASTORNATO   

Sono due le interviste che ci hanno maggiormente colpito: quella a Medvedev e a Djokovic rispettivamente dopo la sconfitta contro Nadal e Federer. Medvedev sembrava il gemello opposto di quello che avevo visto in campo pochi minuti prima in una partita per lui drammatica: pacato, riflessivo, gentile. Djokovic post Federer mi è sembrato un atleta profondamente scorato.

Sicuramente per la sconfitta che gli è costata l’eliminazione dal torneo e il primo posto nel ranking, ma altresì, a mio parere, per essere stato oggetto di un comportamento profondamente ingiusto da parte del pubblico. Dal momento in cui il serbo è entrato in campo al momento in cui ha messo in rete l’ultima volèè non c’è stata una sola volta in cui i suoi errori non siano stati sottolineati da boati di giubilo e applausi scroscianti, inclusi quelli sulla prima di servizio nei momenti topici del match.

Novak Djokovic – ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)

Dalla tribuna stampa (in ottima posizione rispetto al campo) si è avuta la netta sensazione che a un certo punto della partita Djokovic fosse non solo schiacciato dalla performance di Federer ma anche avvilito e frastornato da un’ostilità così marcata. Possiamo garantire che 18000 persone rinchiuse in un palazzo indoor a distanza ravvicinata dal campo possono fare un frastuono ed esercitare una pressione psicologica formidabile e inimmaginabile dal salotto di casa propria. Il frastuono era assordante anche in finale, ma c’era una sostanziale differenza: in quella partita il tifo è sempre stato a favore dell’uno o dell’altro contendente (con prevalenza per il tennista greco) e mai contro.

Cosa ha fatto di così grave Djokovic per meritare tutto ciò? A volte in campo assume atteggiamenti poco graditi e gradevoli che fanno pensare a un personaggio di Ettore Petrolini, “Giggi er bullo”. Tuttavia l’elenco dei giocatori che sul terreno di gioco si comportano molto peggio di lui è lungo. L’imperdonabile peccato di Djokovic agli occhi della maggioranza non silenziosa consiste probabilmente nell’avere più volte “rovinato” la trama di una fiaba: quella dell’eroe al crepuscolo che regala al mondo un’ultima prova della sua classe immensa contro il giovane atleta arrembante.  

Le fiabe però esistono solo nel mondo della fantasia. Nella realtà risentirsi perché un giocatore sui match point dell’avversario in una finale di Wimbledon non fa rispondere in sua vece l’arbitro Lahyani è assurdo. Eppure, per quanto assurdo, è proprio così che stanno le cose. Djokovic lo sa e sa pure che non potrà cambiarle sino a quando Egli sarà in attività; quindi a Nole non rimane che rassegnarsi e trovare il modo di volgere a sua favore questa ostilità, come ha saputo fare mirabilmente a Wimbledon. Il fatto che il cigno di Basilea abbia appena rinnovato un accordo sino al 2023 con il torneo esibizione di Hangzhou potrebbe costringerlo a provarci ed eventualmente riuscirci ancora per un po’ di tempo.

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