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Rassegna stampa

«Io, scampato a una strage, mi sono rifugiato nel tennis» (Cocchi). Tennis finto tutto d’oro (Grilli)

La rassegna stampa di venerdì 29 novembre 2019

Last updated: 29/11/2019 9:40
By Alessia Gentile Published 29/11/2019
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6 Min Read

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«Io, scampato a una strage, mi sono rifugiato nel tennis» (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Resurfacing. Una parola, due significati. Il resurfacing dell’anca è l’operazione subita quasi un anno fa da Andy Murray, ma in inglese resurfacing vuoi dire tornare in superficie, a galla. Proprio quello che sta cercando di fare lo scozzese ex numero uno al mondo, che ha presentato il documentario dal titolo appunto “Resurfacing” , in uscita oggi su Amazon Prime video. Il docufilm racconta gli ultimi due anni di Andy, le due operazioni all’anca, la riabilitazione, il ritorno in campo. Ma non solo. E’ il viaggio di un uomo nel dolore, nell’introspezione. Lo scozzese racconta per la prima volta dello shock subito da bambino a Dunblane, quando un folle entrò nella sua scuola sparando all’impazzata e uccise 17 persone. L’idea era nata dal voler documentare il recupero di Andy («non riuscivo più a camminare, a vestirmi», racconta) e la lenta ripresa della carriera che fino a pochi mesi prima pareva impossibile. Andy ha parlato non solo della strage di Dunblane, dalla quale lui e il fratello sono scampati, ma anche del divorzio dei genitori e della separazione dal fratello, che aveva lasciato casa per trasferirsi in un’accademia di tennis. Ha risposto inoltre alla domanda sul perché il tennis fosse così importante per lui: «Quello che accadde a Dunblane, quando avevo circa 9 anni… Per tutti i bambini sarebbe difficile. Il fatto che conoscevamo il ragazzo che sparò, andavamo al suo club per ragazzi, era stato nella nostra auto, lo avevamo accompagnato alla stazione ferroviaria e cose del genere… è stato un trauma difficile da superare. Nei 12 mesi successivi, poi, i nostri genitori hanno divorziato. È stato un momento molto complicato per noi bambini. Lo vedi e non sai bene cosa sta succedendo. E poi anche mio fratello poco dopo andò via di casa. Facevamo tutto insieme io e lui. Quando si è trasferito è stato difficile anche per me». Da lì, un periodo di ansia, di attacchi di panico. Il tennis come luogo protetto, come fuga dalla realtà e dai problemi. Stordirsi di allenamenti, viaggi, routine, per non pensare: «La mia sensazione nei confronti del tennis è che in qualche modo sia una fuga. Tutto ciò che mi è accaduto l’ho tenuto dentro. Sul campo da tennis io mostro dei lati positivi della mia personalità, ma faccio vedere anche quelli peggiori, quelli che odio di più. Il tennis mi permette di essere quel bambino, che ancora oggi si fa domande. Ecco perché non posso stare senza tennis».

Tennis finto tutto d’oro (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)

Gli eroi sono stanchi, ma neanche tanto. Giocano troppo, certo, ma lontani dalla racchetta – e da certi lauti ingaggi – non possono stare. E così, un po’ esploratori e un po’ oculati amministratori del proprio conto in banca, in questi quaranta giorni che ci separano dai primi tornei del 2020, i grandi campioni tornano in campo, di preferenza in Paesi caldi ed esotici (sempre vacanze dovrebbero essere, in fin dei conti). Un tennis “light”, dove dare spettacolo è il primo comandamento. L’apripista è stato Roger Federer, che se ne è andato in giro nel Sudamerica, per un tour di quattro esibizioni con Alexander Zverev, neo-acquisto di Team8 Sports e Entertainment, la società fondata da Tony Godsick, storico manager di Roger. Quindicimila chilometri in sei giorni, tra Cile, Argentina, Colombia (dove però non si è giocato, per gravi motivi di ordine pubblico, con tanto di coprifuoco imposto dal presidente Marquez), Messico ed Ecuador. Quattro partite caratterizzate dalla presenza di un pubblico sempre entusiasta e devoto. Nella Plaza de Toros di Città del Messico sono arrivati addirittura in 42.517, cosa che scolpirà questa tournée nei libri di storia del tennis, perché tanti spettatori per un singolo incontro non si erano mai visti. […] Un record, quello messicano, che potrebbe essere ritoccato il 7 febbraio, quando a Città del Capo 50.000 spettatori sono attesi per la sfida tra Roger e Nadal, che servirà a raccogliere fondi in beneficenza per i bambini delle township. Tomando al Sudamerica, Federer ha indossato il classico sombrero, provato l’ebbrezza di giocare ai 2800 metri di Quito, promesso che nel 2020 tornerà in Colombia e soprattutto intascato 10 milioni tondi tondi. Un circolo quasi esclusivo, quello dei campioni appetiti dal circuito delle competizioni, fenomeno in grande espansione. Tra questi c’è Fabio Fognini, che sarà protagonista – dal 12 al 14 dicembre, insieme a Goffin, Isner; Medvedev, Pouille e Wawrinka – del primo grande evento tennistico in Arabia Saudita, a Diriyah, sito patrimonio dell’UNESCO, in uno stadio da 15.000 posti costruito per l’occasione. «Il Medio Oriente ha fame di tennis e credo che dovremmo giocare più spesso in questa regione – ha dichiarato il nostro – Aiuterebbe il tennis a svilupparsi, e io sono contento che mi abbiano scelto per giocare in questa nuova sede. Il caldo, poi, e i campi in cemento sono un buon test per l’Australia». […]


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