Diriyah Tennis Cup, il primo tennis dell'Arabia Saudita

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Diriyah Tennis Cup, il primo tennis dell’Arabia Saudita

DIRIYAH – Medvedev, Monfils, Fognini, Goffin, Wawrinka, Isner, Pouille e Struff prenderanno parte alla prima competizione di tennis della storia del paese nella storica cornice che fu residenza dei reali sauditi

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Foto di gruppo, Diriyah Tennis Cup (via Twitter, @DiriyahCup)
 

da Diriyah, il nostro inviato

Il tennis dei più forti ricomincia, o quantomeno inizia a far mostra di sé. Lo fa in un posto insolito, che non solo non ha mai ospitato un torneo ufficiale ma neanche uno scambio di palle amichevole tra tennisti professionisti. La Diriyah Tennis Cup è infatti l’esordio assoluto del tennis in Arabia Saudita. Non che la cosa stupisca più di tanto alla luce del risultato che si ottiene cercando un tennista saudita nel ranking ATP: una stringa candida come le vesti indossate dai suoi abitanti e oggi, per l’occasione, anche dagli otto partecipanti a questa esibizione.

In mezzo a loro, nell’ultima foto di rito a seguito del sorteggio che ha sistemato Fognini con Isner, Wawrinka con Monfils, Medvedev con Struff e Pouille con Goffin, tra le vesti bianche degli atleti campeggia il dishdasha scuro del principe Abdulaziz bin Turki Al Saud, ex pilota automobilistico e attuale ministro dello sport saudita. Viene il sospetto che lui, membro della famiglia reale, abbia obblighi cromatici diversi e per questo stia indossando la veste scura, ma un collega nato in Bahrein ci informa che sta solo seguendo meglio degli altri la moda stagionale; in autunno e inverno capita più spesso di vedere indossati dishdasha (qui non li chiamano kandura, come negli Emirati) di colore scuro. Il principe-pilota-ministro poco prima aveva provato – con risultati modesti – a farsi insegnare il servizio da Ammar Alhaqbani, un ventunenne che nell’aprile 2018 è stato numero 1580 del mondo e ancora oggi è la cosa più vicina a un tennista che abbia l’Arabia Saudita.

Sabato il ragazzino giocherà un match amichevole con il coetaneo Michael Mmoh, che pur statunitense è nato a Riyadh – la capitale, che dista da Diriyah venti minuti d’auto – e ha un padre nigeriano che ha fatto il capitano di Davis saudita ‘part-time’. Incroci bizzarri a seguito dei quali Mmoh si è ritrovato a prendere la racchetta in mano per la prima volta proprio da queste parti, dove è cresciuto, motivo per cui si vede invischiato pure lui in questa faccenda di lunghi abiti bianchi. Che cadono maluccio a tutti, tocca dirlo, ma soprattutto sui duecentootto centimetri di John Isner; il povero gigante di Greensboro è decisamente oversize per la veste che gli hanno fornito e con le cavigliette scoperte – sulle quali è impossibile non soffermarsi – pare la padrona di casa di Tom & Jerry, quella di cui appunto solo le caviglie vedevamo.

Proprio lo statunitense giocherà con Fognini il primo quindici della storia saudita, giovedì alle 16 locali, nella stessa arena che quattro giorni fa ha ospitato il ring della rivincita per Joshua contro Ruiz (un match di boxe che ha assegnato circa un trilione di titoli, per i profani della materia). L’arena è stata costruita a tempo di record nel bel mezzo di Diriyah, una sorta di enorme sito archeologico che tre secoli fa ha fatto da cittadella fortificata alla prima dinastia reale saudita e probabilmente avrebbe oggi tutt’altro potenziale storico-turistico se gli Ottomani non l’avessero saccheggiata in una guerra di inizio Ottocento. Tra i fiori all’occhiello del programma Vision 2030 ideato dal principe Mohammad bin Salman Al Sa’ud che erediterà il trono di re Salman, comunque, ci sono proprio la riqualificazione e la restaurazione di quest’area che è tra i patrimoni UNESCO meno conosciuti al mondo.

Insomma, che il sottotesto di questa esibizione e in generale dell’intera Diriyah Season sia, a chiare lettere, ‘l’Arabia Saudita non è soltanto La Mecca e petrolio’ è chiaro, che a quest’affermazione si possa credere sin da subito è un altro paio di maniche nelle quali attenderemmo un attimo prima di infilarci, considerando che i tre milioni di dollari di montepremi della competizione sono stati iniettati quasi interamente dallo sponsor del torneo Saudi Aramco, una delle più grandi aziende petrolifere del mondo posseduta al 98,5% dal governo saudita. Quel punto e mezzo percentuale che sfugge al totale è stato quotata in borsa a mezzo di una IPO da oltre 25 miliardi, ça va sans dire la più grande di sempre.

Ecco, l’Arabia Saudita che apre al tennis è un negozio di lusso che poggia le sue fondamenta su un istituto di diritti civili assai discutibile, sebbene la propaganda della GSA – General Sport Authority , quella di cui è presidente sempre il solito principe-pilota – assicuri che i recenti programmi di modernizzazione sociale abbiano sensibilmente aumentato il numero di bambine e ragazzine che si dedicano allo sport. Giova però ricordare che qui le donne possono guidare da appena un anno e mezzo e che i primi visti turistici sono stati rilasciati due mesi fa. Che sia per distogliere l’attenzione dalla polvere che giace sotto al tappeto o per cordialità congenita – un po’ della seconda c’è di certo – l’accoglienza di cui possiamo beneficiare in questo contesto ludico è fenomenale, la piacevole tendenza al convivio dei sauditi sorprende almeno quanto il caffé arabo (che non è il nostro né quello turco) e il piatto di morbida carne immersa nello yogurt e sormontata da marmellata di ciliegie.

Faccende culinarie, queste, a cui si saranno dedicati anche gli otto tennisti invitati a mezzo di discreti dobloni dal paese più ricco del Golfo. Tutti parecchio divertiti dal contesto, con Struff un po’ intimorito dal maggior blasone degli altri sette e Pouille come al solito presenza silenziosa e vittima di una gag del solito Monfils, che per tutta la cerimonia del sorteggio – svoltasi con l’elegante formula di una tazzina di caffé servita a ognuno degli otto, sul rovescio della quale c’era segnato il numerello utile a definire gli accoppiamenti – si è messo a canzonarlo dicendo di voler essere sorteggiato con lui.

Fognini è stato l’unico a restituire il ‘come stai?‘ del presentatore della cerimonia, con tanto di pacca di rimando sulla schiena, ed è apparso di buon umore. Al suo seguito ci sono due terzi del suo nuovo team, il fisioterapista Giovanni Teoli e lo sparring Alberto Giraudo, mentre manca Barazzutti. Difficilmente deciderà di rilasciarci qualche dichiarazione in via ufficiale, anche se un incontro fortuito nella lounge dell’aeroporto – eh sì, Ubitennis ha viaggiato sullo stesso volo Roma-Riyadh di Fognini – ci ha fornito l’occasione di scambiare due parole a microfoni spenti. Si è parlato dell’Inter più che altro, che poi non si sarebbe qualificata per gli ottavi di Champions, e poco dopo Fabio si è dedicato a una videochiamata con Flavia e prole. Proprio la nascita imminente del secondogenito potrebbe costringerlo a saltare l’ATP Cup, dove la sua presenza sarebbe piuttosto importante per contrastare la Russia di Medvedev e gli Stati Uniti di Isner. Sfida della quale avremo, come detto, proprio qui in Arabia il primo assaggio.

Pouille, Wawrinka, Fognini e Goffin – Diriyah Tennis Cup (via Twitter, @DiriyahCup)
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