Quel che resta del doppio

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Quel che resta del doppio

Disciplina sempre più in declino, che i tornei sembrano tenere in vita ‘artificialmente’. E diversi numeri le confermano. Come può essere invertita la tendenza?

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Mike Bryan e Jack Sock - US Open 2018 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

È opinione diffusa nel mondo del tennis che se la televisione non esistesse il doppio sarebbe ormai da tempo estinto. Secondo gli addetti ai lavori questa specialità sopravvive infatti solo grazie agli sponsor che mediante generose elargizioni inducono gli organizzatori dei tornei a tenerlo artificialmente in vita, nonostante sotto il profilo tecnico abbia ormai ben poco da dire. Davvero il gioco più praticato nei circoli di tennis da uomini di mezza età in sovrappeso, a livello professionistico, è così decaduto? Ha ragione Jamie Murray, uno dei migliori interpreti della specialità dell’ultimo decennio, ad affermare che il doppio è diventato una specialità alla quale i migliori interpreti del singolare si dedicano solo per allenamento o per arrotondare i guadagni?

Per aiutare i nostri lettori a rispondere a queste domande, e cogliendo al balzo la notizia del ritiro imminente di uno dei più forti doppisti in attività, Leander Paes, partiamo da un’esperienza personale fatta alle ultime ATP Finals, nel corso delle quali abbiamo avuto modo di assistere ad alcune partite disputate dalle otto coppie più forti della stagione 2019. Confessiamo apertis verbis che in più di una circostanza l’impulso di andarsene dopo pochi minuti è stato forte, onde evitare che qualcuno inciampasse nella barba che ci stava crescendo. Non neghiamo che di tanto in tanto abbiamo visto qualche scambio sbalorditivo, nel quale i protagonisti in campo sembravano giocolieri con la racchetta, ma nella netta maggiorana dei casi il punto era costituito da due situazioni tipo: 1) servizio vincente, 2) servizio-risposta abborracciata-volée facile.

Secondo noi la colpa di questo stato di fatto è principalmente attribuibile all’evoluzione dei materiali. Rendendo di fatto la battuta un’arma quasi letale, le nuove racchette hanno reso molto difficile il compito del ribattitore che, se non azzecca una grande risposta, mette l’avversario appostato dall’altra parte della rete in condizione di chiudere il punto con una facile volée. In parte minore, ma non trascurabile, c’è da considerare la non eccelsa qualità tecnica della maggior parte dei giocatori che da un paio di decenni si dedicano prevalentemente a questa disciplina. A sostegno della nostra tesi ci sono i numeri. I nomi degli specialisti del doppio da circa vent’anni sono infatti quelli di ex buoni singolaristi incanutiti o di tennisti che nel singolare non sono riusciti a emergere. Esistono delle eccezioni a questa regola, come quella costituita dai fratelli Bryan che al singolare non si sono praticamente mai dedicati. Ma, appunto, sono eccezioni.

Nell’elenco che segue abbiamo riportato il best ranking in singolare e l’età dei sedici partecipanti al torneo londinese, che attualmente costituiscono l’eccellenza assoluta. Le coppie sono esposte in ordine di assegnazione delle teste di serie:

1. Cabal/Farah – Best Ranking/Età: 184/33 – 163/32
2. Kubot/Melo – Best Ranking/Età: 41/37 – 273/36
3. Krawietz/Mies – Best Ranking/Età: 211/27 – 781/29
4. Ram/Salisbury – Best Ranking/Età: 56/35 – 559/27
5. Klaasen/Venus – Best Ranking/Età: 208/37 – 274/32
6. Rojer/Tecau – Best Ranking/Età: 218/38 – 326/34
7. Herbert/Mahut – Best Ranking/Età: 36/28 – 37/37
8. Dodig/Polasek – Best Ranking/Età: 29/34 – 555/34

Pierre-Hugues Herbert e Nicolas Mahut con il trofeo – ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)

Alcune considerazioni:

  • Il best ranking medio è il 247; la mediana 209.
  • L’età media è di 33 anni; la mediana 34.
  • Il giocatore più giovane è il 27enne Joe Salisbury.
  • Il giocatore che ha raggiunto la posizione più alta in singolare è il trentaquattrenne Ivan Dodig, che è stato 29 del mondo nel 2013
  • Attualmente il tennista meglio classificato in singolare è Pierre Hugues Herbert, numero 65. I restanti 15 sono ampiamente fuori dalla top 100.

In passato la situazione era molto diversa. Se guardiamo l’albo d’oro dei quattro tornei dello Slam e delle Finals nell’Era Open, constatiamo che storicamente al doppio, a fianco di buoni singolaristi specializzatisi poi nella seconda fase della carriera in questa disciplina (Bob Hewitt per fare un esempio celebre), si dedicavano anche i migliori singolaristi. Limitandoci a quelli che hanno occupato il primo posto nella classifica ATP dal 1973 ad oggi troviamo:

Ilie Nastase – 1 Roland Garros, 1 Wimbledon, 1 US Open
Jimmy Connors – 1 Wimbledon, 1 US Open
John McEnroe – 7 Finals, 5 Wimbledon, 4 US Open
Mats Wilander – 1 Wimbledon
Stefan Edberg – 2 Finals, 1 US Open, 2 Australian Open
Yevgeny Kafelnikov – 3 Roland Garros, 1 US Open

Se all’elenco aggiungiamo alcuni dei più celebri giocatori che per motivi anagrafici non hanno mai occupato la prima posizione da quando esiste il ranking ATP, ma che a nostro parere lo avrebbero meritato, troviamo:

Ken Rosewall – 2 RG, 2 Wimbledon, 2 US Open, 3 Australian Open
Rod Laver – 1 RG, 1 Wimbledon, 4 Australian Open
Lew Hoad – 1 RG, 3 Wimbledon, 1 US Open, 3 Australian Open
John Newcombe – 3 RG, 6 Wimbledon, 3 US Open, 5 Australian Open
Pancho Gonzales – 1 RG, 1 Wimbledon
Arthur Ashe – 1 RG, 1 Australian Open

A partire dagli anni ’90 il doppio inizia il proprio declino. I tre giocatori più a lungo al comando del ranking in quella decade (Sampras, Agassi, Courier) vi si dedicano poco e con scarso successo: nessuno dei tre riesce mai ad andare oltre il terzo turno in un Major. Nel nuovo millennio questa tendenza si consolida. Esso diventa quasi esclusivamente il terreno di caccia di specialisti e – con poche eccezioni – viene evitato dai migliori interpreti del singolare, a cominciare dai Fab Four. Rafael Nadal ottiene due soli risultati degni di nota giungendo in semifinale nel 2004 allo US Open e vincendo l’oro olimpico nel 2016; Roger Federer ha al suo attivo l’oro olimpico del 2008 e i quarti di finale di Wimbledon nel 2000. Non pervenuti Novak Djokovic e Andy Murray.

Più in generale nessun torneo dello Slam, oltre alle Finals, dal 2001 ad oggi ha visto il trionfo di un giocatore classificato al primo posto in singolare. Gli unici top 10 in grado di vincere un Major sono stati:

Jonas Bjorkman – 2 RG, 3 Wimbledon, 1 US Open, 3 Australian Open
Jack Sock – 2 Wimbledon, 1 Australian Open
Fabio Fognini – 1 Australian Open

Davvero poco rispetto ai fasti del passato. Il doppio parrebbe quindi avviato ad un malinconico tramonto. Ma, prima di abbandonarlo al suo destino, crediamo che valga la pena fare qualche tentativo per invertire questa tendenza. Si potrebbe – ad esempio – introdurre qualche modifica al regolamento quali le seguenti:

  • un solo servizio a disposizione del battitore
  • obbligo per i primi trenta giocatori del mondo di singolare a prendere parte anche al doppio in almeno uno dei 4 Major

E i lettori cosa ne pensano? Hanno a loro volta qualche ricetta da proporre?

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