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Al femminile

L’eredità tennistica di Maria Sharapova

Come giocava Sharapova e perché è diventata un modello tecnico di riferimento, anche se con un aspetto fondamentale quasi inimitabile

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Maria Sharapova - Wimbledon 2004
 

4. La componente mentale
Abbiamo visto come Sharapova fosse una giocatrice che costruiva il proprio tennis su pochi colpi, e su quelli si era concentrata per portarli al massimo rendimento possibile. Sicuramente a inizio carriera questo è stato un vantaggio: è più facile mettere in campo con successo un gioco senza troppe opzioni. La precocità di Maria lo conferma: poche variazioni significano tanta chiarezza e zero confusione nelle scelte da attuare. Del resto è una legge quasi inderogabile del tennis che conosciamo anche nella formulazione opposta: più si possiede un repertorio vasto, più è probabile che si avrà bisogno di tempo per metterlo a punto fino a renderlo produttivo.

Ma una volta che la carriera di Sharapova si è stabilizzata, e le avversarie hanno cominciato a conoscerla, Maria si è trovata di fronte a due conseguenze fondamentali, collegate ma opposte, come in una medaglia con il suo rovescio. Conseguenza negativa: la mancanza del cosiddetto “piano B”, vale a dire la possibilità di attuare soluzioni di gioco alternative quando le cose si mettono male.

Conseguenza positiva: disponendo solo del “piano A” non si doveva preoccupare di elaborare durante la partita troppe alchimie o variazioni. E questo le consentiva di concentrare le energie mentali soprattutto sugli aspetti agonistici. Con il suo tipo di tennis occorreva non avere paure né incertezze, perché in un gioco ad alto rischio ogni esitazione è fatale; e siccome il piano tattico perseguibile è uno solo, non sono permessi ripensamenti.

Anche per questo Sharapova è stata una agonista eccezionale, con caratteristiche molto personali. Il suo tratto agonistico infatti era in grado di comunicare all’interno dei match due aspetti apparentemente inconciliabili: freddezza e calore.

Nei confronti della avversaria comunicava freddezza, una indifferenza al limite del disprezzo. Nella Sharapova matura, non mancava mai tra un punto e l’altro quella breve camminata verso i teloni, dando le spalle all’avversaria. Era come se dicesse a tutti che per vincere pensava solo a se stessa, perché era lei l’artefice del destino dei match, mentre la contendente di turno era una specie di figura intercambiabile, quasi irrilevante, di cui non occuparsi più di tanto (con le dovute eccezioni naturalmente).

Ma poi, una volta che la palla era in gioco, Sharapova si trasformava in una lottatrice “calda” e indomabile, perché nella lotta metteva tutta se stessa, incluse le proprie emozioni, il grunting marcato e le esultanze a punto vinto. Maria amava la competizione e il calore emergeva in questo modo.

C’è un ultimo aspetto della sua qualità mentale che va sottolineato: così come sul piano tecnico-tattico il suo era un tennis costantemente ad alta intensità, senza colpi interlocutori, allo stesso modo funzionava l’atteggiamento agonistico: costantemente ad alta intensità, senza momenti interlocutori o cali di tensione.

Ogni quindici, ogni punto del match, erano affrontati con il massimo della carica, e alla lunga per le avversarie questo atteggiamento era sfiancante. Per le più deboli perché non potevano sperare in distrazioni o in regali imprevisti, e quindi erano molto probabili sconfitte severe. Per le più forti era costante il timore che bastasse distrarsi per uno-due game per vedere Sharapova approfittarne e spostare gli equilibri dei match in modo irreparabile.

5. La scoperta della terra rossa
E sono convinto che queste superiori qualità agonistiche siano state determinanti per rendere di successo la più sorprendente trasformazione della sua carriera, una trasformazione su cui nessuno avrebbe scommesso: l’adattamento alla terra battuta. Quando, dopo aver vinto lo Slam sull’erba e i due sul cemento, Sharapova ha dovuto affrontare gravi problemi alla spalla (con relativa operazione nel 2008), qualcosa è cambiato. Dopo il faticoso recupero, Maria aveva perso un po’ di incisività in battuta e aveva anche dovuto limitare certe esecuzioni di dritto in modalità reverse forehand (il dritto con lo swing concluso sopra la testa) su cui contava nei primi anni.

Ma invece che andare incontro a un precoce declino, nei primi anni ’10 ha saputo reinventarsi, diventando quasi una terraiola. Per la “prima Sharapova” la terra era una superficie indigesta, da cui aveva tratto pochissime soddisfazioni. Per la “seconda Sharapova” la terra si rivela la superficie di elezione, con il doppio successo al Roland Garros ma anche le vittorie a Madrid e Roma. Fino al 2010 non aveva mai vinto un torneo sul rosso; dal 2010 la terra europea le porta 10 titoli su 15 complessivi.

Probabilmente questa virata nel palmarès è stata aiutata anche dal calo o del ritiro di alcune specialiste della terra (su tutte Justine Henin); di fronte a una concorrenza un po’ meno qualificata, Sharapova è stata la più capace nell’approfittarne. Ma di sicuro un contributo fondamentale è arrivato proprio dall’aspetto mentale, dalla sua eccezionale “tigna” di combattente; e sappiamo che sulla terra la capacità di soffrire conta più che sulle superfici rapide.

Anche alla luce di questa evoluzione inattesa, si può capire come il modello tecnico-tattico che Sharapova ha rappresentato fosse in realtà meno banale e ripetibile di quanto potesse apparire superficialmente. Perché per quanto basico e facilmente analizzabile fosse il suo tennis, Maria lo rendeva vincente grazie a una forza mentale quasi inimitabile, davvero in grado di fare la differenza.

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