Tennis in giallo: la pallina vagante (prima parte)

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Tennis in giallo: la pallina vagante (prima parte)

A ciascuno il suo (giallo): il nostro è in tre puntate, è ambientato a Napoli e ovviamente c’è di mezzo il tennis. Ma non come pensate voi…

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In tempi di quarantena e con i nostri beniamini a riposo forzato, proviamo a tenervi compagnia con le avventure del Commissario Caruso, che si destreggia tra tennis giocato, crimini e una finale in sospeso. Un racconto in tre puntate, dove ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale…o quasi!


Il commissario Caruso pensava di averla portata a casa. Il primo set era volato via liscio, un 6-2 senza troppe storie. Il Notaio Priscilla non poteva creargli troppi problemi con il suo tennis da pallettaro da fondocampo, con colpi senza alcun peso. La finale del torneo del circolo Tennis Eden, quattro campi in terra rossa che di paradisiaco avevano solo il panorama sul golfo, era ormai dietro l’angolo.

Il problema è che superati i quarantacinque, in una vita e in un fisico non proprio da atleta, il primo dolorino può essere sintomo di un disastro imminente. E così, quella maledetta caviglia che si era distorto un paio di settimane prima, inseguendo un fesso di rapinatore che aveva avuto la brillante idea di scippare una povera vecchietta davanti ai suoi occhi, cominciò a fare il suo dovere a vantaggio del Notaio. Il quale, accortosi della menomazione del suo avversario, aveva subito messo in atto la tattica infallibile della palla corta e pallonetto. Morale della favola: dopo un’altra oretta abbondante di sudore, lacrime e bestemmie (di Caruso ovviamente), il caro Priscilla aveva ripreso la via del suo studio tronfio di gloria.

“Buon pomeriggio Dottó. E che è successo? Tutto a posto?” lo aveva accolto l’Ispettore Fragiacomo appena varcata la soglia del Commissariato, osservando lo sguardo decisamente accigliato e l’andatura zoppicante del suo superiore. “Tutto bene Gennaro, non passarmi telefonate che ho da fare”. “Ah vabbè ho capito, siete andato a giocare a tennis in pausa pranzo. E avete perso. Ma lo volete capire che tenete un’età?”. “Gennà, a parte che ho dieci anni meno di te, ma te li vuoi fare un paniere di cavoli tuoi? E ti ho trattato con i guanti perché sono un signore”. “Madó Dottó e come siete permaloso!” e gli voltó le spalle scimmiottando Lucio Dalla: “Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere…”.

Una lampadina si accese nella mente vendicativa di Caruso: il riferimento alla vittoria e alla sconfitta gli fece ricordare che in serata il Napoli avrebbe affrontato l’Inter in un match chiave per la lotta al secondo posto. Non che gli interessasse molto il calcio, ma un Commissario di Polizia in un posto come Napoli non può di certo ignorare il calendario della prima occupazione del 90% della popolazione maschile cittadina. Contò fino a dieci e dopo che il suo sottoposto canterino ebbe completato il terzo giro di ritornello, candidamente gli si rivolse. “Ah Gennaro, mi raccomando stasera non prendere impegni. Come avrai notato, l’agente Cacciuottolo è in malattia e quindi bisognerà sostituirlo nel turno di appostamento fuori a quel negozio di articoli sportivi, dove c’è qualche giro strano di sera tardi. Giusto 2-3 ore per vedere chi entra e chi esce, per mezzanotte sarai a casa”.

La mazzata fu tremenda per l’ispettore tifoso che già immaginava le prodezze di Mertens e compagni sul suo 60 pollici schermo piatto in dolby surround. A quel punto, giocò la carta della disperazione. “Dottó! Ma non ci può andare Salerno che sta sempre senza fare niente e si lamenta che non lo impieghiamo per le sue immense conoscenze e qualità?”. “Gennà ti voglio bene, hai presente l’agente Salerno? Ma secondo te posso mai affidargli un compito così delicato? Quello capace che si mette a filosofeggiare sul mondo e lo scibile umano e si addormenta proprio mentre quei quattro delinquenti fanno i loro comodi. Ma perché, Gennaro che problemi tieni? Ti sto facendo un favore, è domenica sera e tua moglie di sicuro ti costringerebbe a spendere una bella 100 euro in qualche pizzeria sul lungomare…”.

“Dottore ho capito, va bene, ci devo andare io. Però… secondo voi stasera che può succedere a Bagnoli? Ci sta Napoli-Inter a Fuorigrotta. Ma va bene, così avete deciso, il capo siete voi e io mi adeguo” provò Fragiacomo a muovere a pietà il Commissario. “Ancora con sto calcio Gennaro! Ma basta! Ma tanto il campionato lo vince sempre la stessa squadra, ma che lo guardi a fare…”. Duro a morire Fragiacomo la buttò in provocazione: “Dottore scusate, ma visto che del pallone non ve ne importa niente, perché non ci andate voi a fare l’appostamento? Magari con il vostro intuito riuscire a prenderli con le mani in pasta! Visto che avete la serata libera…”

“Eh no! Eh no, Gennaro! È qui che ti sbagli”. “Ah vabbè Dottó, se tenete un movimento…” disse accompagnando l’espressione con un sorriso di approvazione maschile e con un gesto eloquente della mano con le dita raccolte verso il basso a girare in senso orario. “Gennà, il movimento me lo fai venire tu, ma di stomaco. Io stasera ho la finale del Masters 1000 di Indian Wells, di cui tu ignori l’esistenza da bravo italopiteco pallonaro, come direbbe Gianni Clerici che ovviamente, come sopra, non sai nemmeno chi è. E quindi a meno che non ci siano 3-4 cadaveri freschi freschi io da casa non mi muovo, è chiaro?”.

Sconfitto Fragiacomo piagnucoló: “Va bene dottore non vi prendete collera. E chi gioca, tanto per sapere?”. “Federer contro del Potro”. “Ma ancora campa sto Federer? Ma quanti anni tiene? Vabbuó ma tanto voi tiferete per Del Potro che è italiano, no?”. Brandendo un ombrello a mó di racchetta il Commissario eruttó: “Fragiacomo preferisci che ti colpisca con un rovescio bimane in cross della Nalba o con un diritto a sventaglio di Mano de Pedra Gonzalez?”. A quel punto, capita l’antifona (ma non tutto il resto), l’ispettore lasció la stanza preparandosi alla visione dei suoi beniamini in maglia azzurra in versione mignon sul suo smartphone.

Arrivato a casa dieci minuti prima delle venti e dell’orario di inizio del match, Caruso mise in atto il suo piano diabolico. La partita non andava vista in diretta, ma in leggera differita, così da poter ammortizzare i tempi morti dei cambi campo, andando avanti veloce con la registrazione. Tutto ciò ovviamente comportava: a) il necessario silenziamento della chat “tennis” nella quale altrimenti sarebbe arrivato lo spoiler di ogni colpo di Rogerino suo e non avrebbe potuto incazzarsi come si deve per ogni palla break sprecata dal Divino; b) ordinare pizza e birra a volontà per gustarsi lo spettacolo.

Sul primo punto nessun problema, sul secondo, hai voglia: domenica sera, partita del Napoli… l’ordinazione della pizza da asporto avrebbe comportato lo scatenarsi di un pititto lupigno come avrebbe detto il suo illustre collega Montalbano, che avrebbe saziato solo verso mezzanotte. Reindossato il piumino leggero, Caruso decise di percorrere a piedi i settecento metri che lo separavano dalla Pizzeria “Anema e core” per portarsi a casa una capricciosa e una birra ghiacciata. Alle quali, immaginando che la partita potesse andare per le lunghe, decise di aggiungere una porzione di panzarotti, una di paste cresciute e, per concludere l’opera in trionfo, un calzoncino fritto appena sfornato che però non ebbe la fortuna di arrivare fino a casa Caruso, venendo divorato, come si tramanda da generazioni, frijenno magnanno.

Rientrato in casa e predisposta la postazione divano-tavolino-tv, schiacciò il tasto play e un sorriso di soddisfazione si disegnò sul suo volto. Al secondo quindici della partita il tanto amato De Andrè risuonò dal suo cellulare con la suoneria prescelta: “La chiamavano bocca di rosa metteva l’amore, metteva l’amore…”, e il Commissario Caruso, Gaetano per tutti, tranne per colei che stava chiamando, si armò di santa pazienza, pigiò il tasto stop sul telecomando e azionò il vivavoce del telefono per evitare l’insorgere di una precoce sordità. “Pronto mamma”.

Nino come stai a mamma? Sono giorni che non ti fai sentire? Lo sai che mi preoccupo, con quel mestiere che ti sei scelto, in una città come Napoli poi… e poi se non ci penso io a te, chi ci pensa? Alla tua età ancora non te la sei trovata una brava ragazza, e per fortuna che non ti sei sposato una di quelle che mi hai portato a casa fino adesso, vabbè lasciamo perdere, hai mangiato? Ti è passata quella tosse brutta che tenevi? Sempre in giro senza una sciarpa e un cappello, eppure te li ho fatti con le mie mani! Qua a Sorrento tira un vento che non hai idea, come cantava il cugino di tuo nonno qui il mare luccica e tira forte il vento. Ma mica te ne sei andato a giocare a tennis in questi giorni? Tu tieni un’età bello di mamma, per me sei sempre nu’ uaglione, ma ti devi riguardare. Allora come stai? Vuoi dire qualcosa? Perché non parli, mi stai facendo preoccupare! Ma stai a casa o in mezzo a una strada a quest’ora? Ho capito, domani è lunedì, prendo l’autobus e ti vengo a trovare, così sistemo un po’…”.

No, questo era decisamente troppo. “Mamma, sto bene. A parte il fatto che Enrico Caruso, nato a Napoli il 25 febbraio del 1873, non era cugino del nonno e soprattutto non poteva cantare una canzone a lui dedicata da Lucio Dalla più di cento anni dopo. Per il resto sì, ho quarantasei anni, portati abbastanza discretamente…” – pensò per un attimo con disperazione alla caviglia gonfia e alle palle corte del Notaio Priscilla – “… e sono a casa davanti ad una pizza e alla tv in attesa di vedere una partita di tennis. Contenta? Domani avrò mille cose da fare, non potrei nemmeno venirti a prendere alla stazione e poi, come dici tu, fa freddo, quindi meglio che resti a casa”.

Attimo di silenzio offeso e poi via al secondo round. “Mamma mia e come sei! Ma poi sempre con sto tennis! Ma che ci trovi in due che stanno cinque ore a buttare la pallina di qua e di là sempre allo stesso modo…”. Era ora della exit strategy. “Mamma ho una chiamata in linea dal Commissariato, ti devo lasciare…”. “Ma Nino…”. “Ti richiamo domani, buonanotte”.

Sbuffo, sorso di birra purificatore e Play. Roger Federer, che dall’inizio dell’anno non aveva perso nemmeno una partita, annaspava sotto i colpi del diritto della Torre di Tandil, tornato quello di un tempo. I due comunque giocavano ad un gran livello, ma nonostante Federer si aggrappasse al servizio si intuiva che… “La chiamavano bocca di rosa metteva l’amore, metteva l’amore…”. “Sant’Antonio da Padova, Santa Rita da Cascia, San Francesco di Assisi, San Nicola di Bari, Santa Rosalia di Palermo, San Siro da Milano, San Paolo da Napoli… pronto!” 

“Ma che?…”. “Chi è che parla?”. “Ehm, Commissario buonasera scusate, sono Nicola dalla Pizzeria Anema e Core, penso che avete dimenticato qui da me il Bancomat. Perdonatemi, io non posso uscire, dovete venire voi”. Eh niente, non era serata per Gaetano Caruso. Tasto pausa, bestemmia, manata in fronte, piumino leggero e passeggiata veloce fino alla pizzeria. “Che ci vuoi fare Nicola, ho la testa tra le nuvole, grazie per avermi…”.

“Buonasera Commissario!” – ci mancava solo il dott. Eugenio Priscilla, Notaio in Cardito e neo-finalista dell’Open del Tennis Eden – “Vedo che la caviglia va meglio! Complimenti comunque per quel bel primo set, poi si sa, alla distanza il vero talento viene sempre fuori”.

Napoli: Commissario di Polizia fa fuoco in una nota pizzeria del centro. Rimasto gravemente ferito nella sparatoria il Notaio Priscilla, ancora da accertare le dinamiche dei fatti. Probabile che dietro l’intervento di Caruso ci sia stato un regolamento di conti.

Solo per evitare di dare adito ai soliti cliché che la stampa del Nord avrebbe messo in campo, Caruso preferì lasciare la pistola di ordinanza nella fondina e puntare sulla nota scaramanzia del Notaio. “Dottore, augurissimi per la finale! Sono certo che la vittoria del torneo non possa sfuggirle. Anzi, le faccio già le mie più vive congratulazioni per il trionfo”. E si voltò di spalle lasciando la pizzeria, ben sapendo che dietro di lui il Notaio Priscilla si stava adoperando in evidenti quanto inevitabili gesti apotropaici.

Ripiombato sul divano, il Commissario commise un grave errore. Accese il televisore ma si ritrovò sul canale sul quale era trasmessa in diretta la partita e così scoprì che Federer aveva perso il primo set per 6-4. “Vabbè, poco male, mi sono risparmiato un’incazzatura, vediamo ora come reagisce Roger” non fece in tempo a pensare che subito arrivò De Andrè a riportarlo con i piedi per terra.

To be continued…

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