Di che stile sei?

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Di che stile sei?

Viaggio storico… ed evoluzionistico, da Darwin a Federer e Nadal, passando per Agassi e Sampras, Borg e Kuerten. L’idea eterea di Henin

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Rafa Nadal e Roger Federer - Wimbledon 2008 (foto via Twitter, @Wimbledon)
 

Lui è Charles Robert Darwin, biologo, zoologo e botanico di fama vissuto nell’Ottocento. Loro sono Nadal, Djokovic, Federer e Murray, tennisti di spicco dell’era moderna. In comune hanno l’origine della specie, un’infinità di dati raccolti qua e là dallo scienziato per formulare, sfidando le ire del clero, che le specie animali e vegetali variano i caratteri e si evolvono secondo un processo di “selezione naturale”. Il luminare britannico pensò di teorizzare che membri dello stesso gruppo finiscano per inseguire pensieri diversi pur provenendo da un antenato comune.

Chissà chi fu il primo ominide colto a brandire in modo improprio qualcosa che somigliasse a una futura racchetta; quello a cui addossare l’onere di essere l’avo di tutti i tennisti. Forse non andava oltre una clava, l’oggetto agitato dal preistorico Homo, e quei movimenti esibiti con fanatica veemenza rincorrevano più la necessità di sfamarsi che non la boria di ambizioni sportive. Vabbè, amen: chiunque egli fosse, sappia che da lui hanno preso spunto fiotte di randellatori che, a seguito di selezione naturale, giungono a noi sotto evolute spoglie di giocatori ricchi e famosi. Dice Darwin: “Esiste una lotta continua per la sopravvivenza all’interno della stessa specie. Sopravvivono soltanto gli individui più favoriti, quelli meglio strutturati per giungere alle risorse disponibili, ottenendo un vantaggio riproduttivo sui soggetti meno adattivi”.

Non c’è dubbio che anche nel tennis la teoria abbia fatto il suo corso approdando a giocatori di grande tecnica, alti, muscolosi e dalle menti indistruttibili. La selezione è rimasta fedele al suo copione proponendo, ai giorni nostri, qualcosa che attiene più a un videogame che non a uno sport di manovra com’era alle origini. Tutto in un ventaglio di stili che nel tempo ha riprodotto tipologie di gioco diverse tra loro e modelli di riferimento ai quali far risalire il processo evolutivo. Così osserviamo che Nadal è un mancino meno evoluto rispetto a Laver e McEnroe, mentre è il modello avanzato di Connors, Vilas e Muster. Da par suo, Djokovic è una mutazione in meglio di Borg senza avere la magia di Andre Agassi. E se Federer ha replicato in meglio la perfezione regale di Pete Sampras, Murray potrebbe essere l’esaltazione di Gattone Mecir.

La storia racconta di folgorazioni arrivate a Darwin osservando uccelli alle Galapagos. Noi i nostri bravi fulmini li abbiamo guadagnati ai bordi di cento, mille campi, spiando match di ogni risma allo scopo di assortire giocatori per analogie e scovare il nesso tra un tennis e l’altro.

Wimbledon 2019 (foto via Twitter, @Wimbledon)

L’abito o il monaco?

Tutta questa filippica per confermare che, anche nel tennis, la storia dell’abito e del monaco gode di una sua verità. Questione di stili! Così non sembri bizzarro che taglie extralarge alla Nadal siano inchiodate al catenaccio invece che andare a rete a mostrare muscoli in esubero. O che, al contrario, uno come Laver si sia proiettato in avanti con aria da gigante pur essendo a malapena un mid-size. Accade quando l’abito è ingannevole rispetto al monaco che ci sguazza dentro. Non faceva una grinza, invece, la tonaca di Higueras, Solomon e Dibbs indossata a pennello nel seminato di un tennis pedalato che metteva d’accordo anima e corpo. E più che un umile saio, trattasi di sciccoso frac quello indossato da Sampras e Federer, nel loro gioco a tutto tondo.

A dispetto di quell’unico avo armato di clava, siamo tutti diversi e scava scava, ognuno finisce col somigliare a un modello di gioco! Timido, esuberante, composto, istintivo, metodico e chissà quant’altro potrebbe suggerire una personalità agonistica. In mano a Freud lo stile sarebbe stato un connubio tra corpo e anima da consumare in un’alcova. Un connubio indissolubile che spinge l’istinto tra le braccia di uno stile prediletto. È la palla a far da tramite tra il dire e il fare e ogni uomo con racchetta in mano si completa in alcune geometrie piuttosto che in altre diversificandosi dagli altri.

Uno stile da indossare soprattutto in corso d’opera. “Fai il tuo gioco”, sentii urlare alle mie spalle al torneo di Montecarlo di qualche anno fa. Autore di tanto chiasso, un tifoso sulla cinquantina, nascosto dietro occhiali da sole e insaccato sotto un Panama beige, inviperito poiché a suo dire Guga Kuerten stava facendo un uso esagerato del dritto snobbando il suo bellissimo rovescio. Con entusiasmo misto a rabbia, l’acceso tifoso aveva gridato la più semplice delle verità: esaltare i punti forti limitando i deboli al minimo sindacale. Neanche l’avesse sentito, il brasiliano rientrò nei suoi panni usando al meglio l’arma più letale del suo arsenale. Alzò il ritmo sublimando aperture a tutto campo e gratificò il ritmo con fruttuose incursioni a rete. Riportò il match, mostrando che al proprio stile non si rinuncia neanche con una pistola alla tempia.

Guga Kuerten deve decidere in quale angolo far morire il suo fantastico rovescio

Storie di stili, storie di personalità!

Quando Chris Evert arginava le discese di Navratilova non andava in onda soltanto un duello tra attacco e passante ma soprattutto un confronto tra muscolarità e grazia, impeto e raziocinio. Così come, tra Panatta e Borg, scendevano in campo differenti filosofie di vita. Da un lato la curiosità di scoprire cosa bollisse a ridosso della rete, dall’altra l’emotività silenziosa districata nel garbuglio di rimbalzi giocati in fondo campo. Tra McEnroe e Lendl più che un confronto tra attacco e difesa era una guerra tra mondi agli antipodi: la genialità di un tennis pieno di riccioli iracondi contro quello metodico e monocorde di un volto senza età che richiamava da vicino quello del conte Dracula.

Tra Steffi Graf e Monica Seles si accendeva un duello dal sapore antico tra il gioco classico a una mano e quello ambidestro, talentuoso e dispendioso. E mentre Justine Henin inseguiva l’idea eterea che il tennis ortodosso di stampo vallone fosse migliore di quello bimane e fiammingo di Clijsters, Serena Williams azzerava ogni alter ego portando in campo il culto del primo colpo. Tra Agassi e Sampras andava in onda l’attacco da dietro contro quello in avanti ma anche i colori del gaudente Kid di Las Vegas, le sue macchine sgargianti, l’aereo personale e i flirt con sventole dello star system contro il talento cristallino di un eroe del Maryland, amante più del suo privato che di un mondo impiccione e gossipparo.

Oggi, dopo attenta selezione, il tennis si dimena tra quattro stili. In Federer alberga il lirismo più leggiadro mentre in Nadal trabocca l’impeto agonistico. Djokovic è figlio del pensiero razionale e guarda ai punti come a righe di un romanzo mentre Murray vede nel tennis teoremi di geometria pura.

I nuovi ominidi

Non c’è più Darwin a cui chiedere lumi sugli ominidi di domani ma la domanda è se Zverev, Tsitsipas, Medvedev e compagnia saranno l’evoluzione dei meravigliosi quattro Fab. Non azzardo previsioni, dico solo che se al processo selettivo continueranno a sopravvivere i più forti non è detto che siano comunque i più gradevoli. E se il domani sarà terra di conquista per supereroi oltremodo muscolati, speriamo almeno che la selezione naturale non ci privi della minoranza talentuosa che buca il video e delizia il tennis con la bellezza dei suoi gesti.

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