Italiani
I sette re di Roma: Adriano Panatta
Nella settimana in cui si sarebbero dovuti giocare gli Internazionali d’Italia, un articolo per ognuno dei sette migliori giocatori della storia del torneo. L’ultimo è dedicato ad Adriano Panatta, unico italiano a vincere a Roma in Era Open

Dall’10 al 17 maggio, se non fosse intervenuto il coronavirus a complicare tutto, si sarebbero giocati gli Internazionali BNL d’Italia. Per lenire un po’ la nostalgia, e sperando che il torneo possa essere recuperato quest’anno, abbiamo preparato una serie di articoli sui Sette Re di Roma da pubblicare fino a domenica, il giorno in cui si sarebbe disputata la finale. Abbiamo selezionato i sette tennisti che più degli altri hanno contribuito a scrivere la storia di questo torneo in Era Open.
Il settimo e ultimo re di Roma non poteva che essere Adriano Panatta, l’unico italiano capace di vincere gli Internazionali d’Italia in Era Open.
Pensi ad Adriano Panatta e non puoi non pensare innanzitutto al 1976, il suo anno d’oro, con la vittoria al Foro Italico, a Parigi e culminata poi nella vittoria in Cile nella Coppa Davis. Pensi ad Adriano e alle sue voleé, alle sue smorzate che mandavano al manicomio Bjorn Borg costretto a lasciare la presa bimane per arrivare su quelle palle, al suo servizio certo poderoso per l’epoca.
Adriano aveva anche un gran diritto con il quale si apriva il campo per le sue discese a rete e lo mascherava benissimo, perchè con lo stesso movimento dell’attacco in chop poteva invece giocare a sorpresa micidiali smorzate favorite dal tocco delicato e sopraffino. Il rovescio, nelle giornate migliori, era un’ottima arma per venire a rete. In quelle peggiori diventava un handicap. Lui soffriva inevitabilmente chi era capace di attaccarlo sul rovescio nelle giornate in cui il passante lo aveva abbandonato. Di fatto era facile individuare le giornate in cui si presentava in campo il miglior Adriano: erano quelle in cui il passante di rovescio andava subito a segno.
Panatta è rimasto impresso nella mente dei tanti appassionati di quell’epoca soprattutto per la sua abilità istintiva e straordinaria a improvvisarsi portiere di razza. I suoi tuffi spettacolari sotto rete lo trasformavano in un Dino Zoff con racchetta. E come dimenticare, poi, la famosa “Veronica”, termine inventato da Rino Tommasi, mutuandolo dal gergo della tauromachia, anche se in realtà con tori e toreri non c’entrava per nulla tanto che spesso Gianni Clerici all’udirla se ne mostrava quasi infastidito? A dispetto di Clerici e della sua idiosincrasia quel termine improprio è entrato nel lessico popolare del tennis. Cosa era, vi chiederete, la “Veronica”? Era il termine con il quale, Rino dixit, si indicava la voleé alta di rovescio con spalle alla rete nelle quali Adriano era un vero straordinario maestro. Nelle corride era in realtà quel movimento che il torero fa verso il toro quando volteggia la muleta.
Insomma Adriano è sempre stato considerato da tutti l’erede naturale di Nicola Pietrangeli, talento cristallino ma anche (solo male lingue?) poco propenso a sacrificarsi con duri allenamenti, a prepararsi fisicamente giorno dopo giorno con la consistenza di tanti altri giocatori assai meno talentuosi di lui. Dove sarebbe mai giunto se si fossero, Pietrangeli e Panatta, allenati quanto gli altri migliori tennisti della loro epoca?
Ma la forza di Panatta era proprio quella: prendere il tennis con leggerezza, divertirsi e far divertire, non lasciare mai l’iniziativa agli avversari, anche nelle giornate peggiori. Quando girava tutto per il meglio Adriano era un vero spettacolo e i tifosi del Foro Italico non riuscivano a contenersi, a volte esagerando fino a scandalizzare; le grida “Aaaaaaadrianooooooooooooo, Aaaaaaadrianoooooooooo! ” rimbombavano da una tribuna all’altra del Centrale del Foro Italico che ancora non si chiamava Pietrangeli ma aveva già quella cornice di magnifiche statue che ne fanno forse il più bel campo del mondo, certo unico.
Molti imputano la svolta del 1976 nella carriera di Adriano Panatta all’arrivo sulla panchina della nazionale di Coppa Davis di Nicola Pietrangeli, capace nel suo ruolo di dare maggiore sicurezza al campione romano. Questo aspetto poteva forse valere per la storica competizione a squadre, nella quale peraltro Corrado Barazzutti si dimostrò spesso perfino più solido di Adriano che però restava sempre il leader carismatico della squadra, colui al quale veniva attribuita la maggior parte dei meriti di un successo della squadra anche perché in coppia con Paolo Bertolucci formava un doppio fantastico e vincente. Se poteva capitare che Adriano perdesse un punto in singolare contro un giocatore battuto da Barazzutti, Adriano poteva vincere il doppio e conquistare due punti come Corrado. E se i due punti finali della vittoria, quello del doppio più il singolare della terza giornata li portava lui, l’eroe del match, quello che finiva in copertina era lui.
In copertina Adriano finiva sempre, perché era personaggio, bello, elegante nel giocare come nel vestire, simpatico, romano de Roma, a suo agio con il mondo dello spettacolo, le belle donne, attrici, cantanti, da jet-society. Con Barazzutti non aveva nulla, ma proprio nulla in comune. E poi la verità era un’altra. A 26 anni Adriano aveva raggiunto la sua maturità agonistica e quell’anno (perché funziona quasi sempre così nella realizzazione delle grandi imprese), anche più di un pizzico di fortuna (peraltro assolutamente cercata e meritata) lo aiutò nel raggiungere i risultati da sempre agognati.

ADRIANO AL FORO
Ma visto che stiamo celebrando il Foro Italico, quale era stato il rapporto con il torneo di casa per Adriano fino ad allora? Si sa che per il tennista italiano giocare a Roma è un sogno che si avvera. Se da un lato assicura la spinta dei tifosi (soprattutto nel vecchio Centrale), dall’altro comporta il peso di una grossa responsabilità, la dannata pressione di dover fare bene.
Figurarsi per il romanissimo Adriano, nato e cresciuto al TC Parioli, figlio di Ascenzio, indimenticato custode del circolo. Dalla prima partecipazione – giovanissimo – nel 1968, fino al 1975, Adriano non era mai andato oltre il terzo turno, battuto in qualche occasione anche da giocatori abbondantemente alla sua portata (uno fra tutti il mancino egiziano Ismail El Shafei).
E quell’anno, non ancora magico, la musica pareva proprio non voler cambiare. I famosi 11 match point annullati a Kim Warwick al primo turno (di cui 10 sul servizio dell’avversario!) si rivelarono essere proprio un segno del destino. Adriano trovò la forma (come avviene sempre in questi casi) strada facendo, battendo con fatica Zugarelli nel derby, liquidando Franulovic, venendo fuori nei quarti da una partita arroventata e piena di polemiche contro Harold Solomon, ritiratosi sul 5-4 in suo favore nel terzo set.
Il dettaglio di tutti questi match e le relative cronache dell’epoca la troverete negli articoli del nostro Direttore pubblicati a suo tempo sui giornali dei quali era inviato, La Nazione, il Resto del Carlino, e poi ripresi in una serie di libri (poi saccheggiati da chiunque in casa FIT) confluiti in un sito web creato per la massiccia parte statistica insieme a Luca Marianantoni. Troverete la ricostruzione del direttore dello strepitoso percorso di Adriano in questo articolo: ‘Dagli 11 match-point annullati, alla furia di Solomon, al trionfo con Vilas’.
Sta di fatto che Adriano avrebbe poi travolto in semifinale John Newcombe in tre set (semifinali e finali si giocavano al meglio delle 5 partite) e vinto la resistenza di Guillermo Vilas in finale, su un campo preparato ad arte, un po’ più veloce del solito per il “nostro”. Dopo una comprensibile partenza ad handicap figlia dell’inevitabile tensione, Panatta dette però il meglio di sé. Perso il primo parziale 6-2, Adriano seppe ritrovare la magia dei suoi colpi e dettare la sua legge, quella del gioco d’attacco, delle smorzate, delle voleé incredibili, delle veroniche spettacolari, trascinando con sé l’entusiasta pubblico del Foro. Quella è stata purtroppo anche l’ultima vittoria di un italiano a Roma e solo Dio sa quanto manchi agli appassionati italiani il replay di un momento del genere.
Adriano in quel suo anno magico trionfò anche a Parigi (anche lì annullò un match point al primo turno con il ceco Hutka e lo fece in maniera spettacolare, prima “Veronica” e poi voleé in tuffo) battendo in finale ancora una volta Solomon che avrebbe tanto voluto vendicarsi della sfida all’OK Corral di un paio di settimane prima. Poi come detto trascinò Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli alla vittoria in Davis con Pietrangeli che si battè come un leone, andando contro tutto e tutti per portare gli azzurri in Cile quando si susseguivano le manifestazioni della sinistra dell’epoca al grido: “No alle volée con il regime di Pinochet“. Il punto decisivo arrivò nel doppio contro Cornejo e Fillol, quando Panatta aveva convinto Bertolucci ad indossare la famosa maglietta rossa – e il rosso era il colore simbolico (Bandiera Rossa,,,) contro il regime ‘nero’ del generale e dittatore Augusto Pinochet.
Da quell’anno il rapporto di Adriano con il Foro cambiò in positivo. Nel 1977 Adriano fu sconfitto ai quarti da Gerulaitis (che poi vinse il torneo battendo Tonino Zugarelli), nel 1978 invece arrivò di nuovo in finale, quella più bella che il pubblico potesse desiderare, contro l’amico Bjorn Borg. Quell’edizione degli Internazionali fu parzialmente macchiata dal comportamento del pubblico che diede il peggio di sé nella sfida di Adriano contro José Higueras in semifinale. Accadde che lo spagnolo, trovatosi avanti 6-0 5-1, si ritrovò ad essere bersagliato dai fischi del pubblico quando i fan di Adriano si accorsero che finalmente stava reagendo e rimontando anche in quella situazione quasi disperata.
L’errore commesso da Higueras fu quello di riscaldare ancor di più gli animi rispondendo in un’occasione ad urla e sberleffi con un plateale gesto dell’ombrello. In queste condizioni la partita divenne una corrida, con Adriano che tra lancio di monetine, lattine e panini verso il suo avversario vinse in maniera inimmaginabile il set 7-5. Qui Higueras capì che oramai l’atmosfera era compromessa e lasciò il campo (“Avrei ammazzato qualcuno se fossi rimasto lì“), così come il giudice di sedia che dichiarò finito il match, scappandosene via quasi di corsa.
Messa alle spalle cotanta tensione, la finale tra Adriano e Borg del giorno successivo ebbe per tre set uno strano andamento, per diventare bellissima negli ultimi due. Adriano, complice anche una puntura di un’ape a Borg – che cercò di liberarsene roteando la racchetta come uno spadaccino – stravinse il primo set 6-1, ma perse secondo e terzo 6-1 6-3. Nel quarto Panatta con una grande prova salì 5-1 40-0, ma sprecò incredibilmente i tre set point e chiuse solo 6-4, consumando però così tante energie fisiche e mentali che probabilmente gli costarono il quinto set e la vittoria finale. Anche quel giorno il pubblico fece fatica a controllarsi, a comportarsi civilmente. Tanto che, a seguito di un lancio di monetine in direzione dello svedese da parte di un esagitato, Borg arrivò a rivolgersi all’arbitro e a dire: “O li fate smettere oppure esco dal campo!“. Di monetine non ne volarono più e alla fine la superiore condizione atletica e la proverbiale pazienza dell’”orso svedese” Borg ebbero il sopravvento.
Adriano non sfigurò nemmeno negli anni a seguire, giocando almeno altre due splendide partite, purtroppo entrambe perse ai quarti. Nel 1979 ancora contro Guillermo Vilas, vincitore in tre set. Una partita incredibile, con Vilas che si vide annullati due match point nel secondo set, ne annullò a sua volta due nel terzo prima di vincere il match. Nel 1981 invece fu un altro argentino a fermarne la corsa nei quarti, José Luis Clerc, grande amico e coetaneo di Claudio, il fratello d’arte di Adriano. Panatta cedette soltanto al tie-break del terzo set, vinto dalla fatica contro un avversario che era ben più giovane di lui. Adriano aveva quasi 31 anni, Clerc 23.
È innegabile che Adriano Panatta abbia scritto al Foro Italico le pagine più belle del tennis italiano a Roma dopo Nicola Pietrangeli e (anni prima) Fausto Gardini e Beppe Merlo. Ancora oggi, sia pure incoraggiati a sognare dalla vittoria di Fognini a Montecarlo e dai ripetuti exploit di Matteo Berrettini nel 2019 che gli hanno consentito subito dopo Fabio di raggiungere un posto nell’élite dei top-ten, non sappiamo se vivremo più emozioni azzurre così forti come quelle che Adriano ci permise di vivere in quell’indimenticabile 1976. Qui di seguito vi riproponiamo il video-racconto che Ubaldo Scanagatta ha dedicato a Panatta.
ATP
Jannik Sinner, è ritorno in top 10? Quasi: le proiezioni sul ranking dell’altoatesino

Mentre restiamo in più o meno trepida attesa del ritorno ai massimi livelli di Matteo Berrettini e della conferma dei risultati della scorsa stagione da parte di Lorenzo Musetti, godendoci nel frattempo gli incoraggianti segnali di ripresa che arrivano da Lorenzo Sonego, c’è qualcosa su cui possiamo sempre fare affidamento: la continuità di Jannik Sinner.
Dato per delusione del 2022 dall’Équipe, peraltro con qualche ragione (nel senso che nessuno può dirsi entusiasta di una stagione in cui è stato fortemente limitato dai guai fisici), il rosso di Sesto Pusteria ha appena raggiunto la seconda semifinale Masters 1000 consecutiva, impresa prima mai riuscita a un azzurro. Senza dimenticare che è anche la quarta di fila, tra il titolo a Montpellier e la finale di Rotterdam. Questo dove ci porta, anzi, dove lo porta?
In termini di classifica, a un passo dal ritorno fra i primi dieci tennisti del mondo. Era il 1° novembre 2021 quando Jannik vi aveva fatto il suo primo ingresso, toccando quel nono posto che al momento rimane il suo best ranking. Durante la scorsa stagione, è entrato e uscito dalla top 10 con una frequenza tale che sarebbe stata giustificata l’installazione di una porta girevole, ma ora Sinner manca all’appello da sei mesi e pare giunto il tempo di riprendersela. A poche ore dall’allineamento del tabellone alle semifinali, la classifica live lo vede proprio alla nona posizione. Diamo allora uno sguardo agli scenari perché il primo ranking di aprile non gli faccia lo scherzo di respingerlo.
Jannik ha 3105 punti live, vale a dire 40 più di Taylor Fritz, mentre l’altro tennista ancora in gara a Miami che può insidiarlo è Karen Khachanov a 2675. Sia Taylor sia Karen devono ancora giocare il loro quarto di finale. Fritz affronterà Carlos Alcaraz e, se dovesse perdere, la top 10 di Jannik sarebbe assicurata in ogni caso; in caso di vittoria, Jannik dovrebbe arrivare più avanti nel torneo per evitare il sorpasso statunitense.
Per quanto riguarda l’altro inseguitore (anzi, l’inseguitore in senso stretto), Khachanov deve affrontare la falsa rivelazione Fran Cerundolo e, anche qui, l’inciampo sarebbe determinante. Qualsiasi inciampo di Karen, a ben vedere, perché come finalista si fermerebbe a 10 punti dal nostro; dunque, l’unica possibilità che comporta uno Jannik ancora fuori dalla top 10 il prossimo lunedì è la vittoria del torneo da parte di Khachanov in finale su Fritz. Non lo scenario più probabile per i bookies, che danno il nostro come terzo favorito per il titolo, dietro ad Alcaraz e Medvedev.
ATP
Sinner e le semifinali Masters 1000: ci sono due primati per Jannik
Jannik è l’italiano con più semifinali in questa categoria con Fognini (3), ed è il primo azzurro a qualificarsi al penultimo atto in due Masters 1000 consecutivi

Con la vittoria sul finlandese Emil Ruusuvuori al Miami Open, Jannik Sinner ha raggiunto la dodicesima semifinale di un italiano ad un Masters 1000 dal 1990, la terza a livello personale. Arrivare nelle fasi finali di un torneo 1000 è già di per se un’impresa, figuriamoci ripetersi per due tornei di questa categoria consecutivi come Sinner ha fatto a Indian Wells e Miami 2023: è il primo giocatore italiano a compiere un simile back-to-back. E con questo traguardo, Sinner ha raggiunto Fabio Fognini in vetta alla classifica degli italiani con più semifinali raggiunte: entrambi sono a quota tre e non è difficile prevedere che Jannik sia destinato a scalzare il ligure ottenendo il primato assoluto. L’elenco delle semifinali Masters 1000 con azzurri in campo è già da aggiornare a due settimane di distanza dalla precedente e probabilmente non sarà l’ultima volta.
Nel 1995 Andrea Gaudenzi era ancora un giocatore, ottimo interprete sui campi in rosso dove vinse tre titoli ATP. In quella fortunata stagione il faentino si spinse fino alle semifinali del torneo di Montecarlo dove perse in due set dall’amico Thomas Muster. Dopo il match seguirono screzi, ma vennero presto dimenticati. Nell’anno di grazia 2007 il livornese Filippo Volandri compì una delle imprese più memorabili della storia del tennis italiano. L’attuale capitano della squadra italiana di Coppa Davis incendiò il Foro Italico in quel maggio di sedici anni fa battendo il n.1 Roger Federer. Il sogno si interruppe in semifinale, contro Fernando Gonzalez.
L’anno seguente, ad Amburgo, Andreas Seppi raggiunse le semifinali (all’epoca era ancora un 1000) perdendo da Roger Federer dopo aver messo in fila Richard Gasquet, Juan Monaco e Nicolas Kiefer, tennista di casa. Abbiamo poi la tripletta di Fabio Fognini: a Montecarlo raggiunse le semifinali nel 2013 (perdendo male da Djokovic 6-2 6-1) e 2019 (dove sconfisse Nadal 6-4 6-2) quando trionfò, in finale contro Dusan Lajovic, nell’unico 1000 conquistato in carriera. L’ultima semi arrivò a Miami nel 2017, sempre contro Nadal, ma a trionfare fu il maiorchino in due set (6-1 7-5).
Berrettini centrò la semifinali a Shanghai 2019 (perdendo da Zverev 6-3 6-4). Mentre nel 2021 Matteo si spinse fino alla finale di Madrid, dove ancora una volta venne sconfitto dal tedesco Zverev in rimonta 6-7 6-4 6-3. Sempre in quell’anno ci fu la favola Sonego a Roma. Il piemontese visse la settimana più entusiasmante della sua carriera culminata nella semifinale poi persa contro Djokovic. Infine abbiamo le tre semifinali di Sinner: a Miami nel 2021 dove si spinse fino alla finale, persa, contro il polacco Hurkacz. Il resto è storia recente: la semifinale di Indian Wells persa contro Alcaraz a cui fa seguito quella ottenuta ieri al Miami Open. Ad attenderlo ancora il murciano o Fritz.
La classifica degli italiani con più semifinali nei Masters 1000:
Sinner, Fognini 3
Berrettini 2
Volandri, Gaudenzi, Seppi, Sonego 1
Coppa Davis
Coppa Davis – Il sorteggio 2023 non può dirsi fortunato. Il Cile non va sottovalutato e il Canada è campione in carica
Il direttore Scanagatta ricorda che in Davis la classifica ha sempre contato poco. E non dimentica i 2 matchpoint della Polonia a Livorno 2004 con Volandri e Starace con un piede in serie C! Mentre a Mestre 1999…

Non è stato un sorteggio fortunato quello uscito dall’urna di Malaga per la nostra squadra di Coppa Davis che a settembre dovrà affrontare a Bologna (12-17 settembre, Unipol Arena) i campioni in carica del Canada, Auger-Aliassime, Shapovalov e Pospisil, i cileni Garin e Jarry, i fratelli svedesi Ymer, vecchie conoscenze.
Era stato più agevole, sulla carta, il sorteggio di un anno fa, quando era particolarmente temibile la Croazia di Coric, Cilic, Gojo che ci aveva eliminato l’anno prima in quel di Torino, ma non lo erano davvero la Svezia degli stessi fratelli Ymer, e direi neppure l’Argentina dei Cerundolo che non avevano ancora “rivelato” il Francisco che sarebbe cresciuto nel tempo e semmai si credeva che fosse Schwartzman l’avversario più temibile sebbene indoor non sia mai stato così temibile come sul cemento outdoor e sulla terra battuta. E invece il Peque sarebbe entrato in crisi al momento giusto per noi e a Bologna giocò talmente male che gli argentini furono lì lì per accusarlo di scarso impegno.
Proprio il caso appena ricordato dei tennisti argentini dice che a sei mesi di distanza dall’apertura delle ostilità non si possono fare pronostici attendibili.
Chi sembra in crisi oggi, come Berrettini e Musetti, potrebbe essere in gran forma a settembre. Lo scorso anno in primavera – anche se aveva vinto il suo primo torneo a Rotterdam dopo tutta una serie di delusioni nelle finali – non si sarebbe mai detto che Felix Aliassime avrebbe vinto tre tornei di fila in autunno e di seguito dominato tutti i suoi incontri di Coppa Davis.
È certo difficile oggi dire oggi in che condizioni di forma verserà un giocatore abbastanza imprevedibile, nel bene e nel male, come Shapovalov che pure ricordo assai bene aver saputo impensierire Rafa Nadal nella Davis vinta dalla Spagna a Madrid e aver messo in difficoltà Djokovic a Wimbledon.
C’è poi anche l’incognita degli infortuni. Nel 2022 l’Italia ne ha vissuti uno dopo l’altro, quando Sinner, quando Berrettini e anche Musetti non ne è stato del tutto esente…a prescindere dai suoi attacchi di panico, uno dei quali lo sorprese a Firenze proprio quando doveva giocare con Aliassime.
Sia pur con tutte queste premesse resta il fatto che se lo scorso anno almeno il secondo posto nel girone di Bologna poteva dirsi praticamente scontato – e quello bastava per guadagnarsi un posto nella finali a 8 di Malaga – quest’anno anche il secondo posto bisognerà sudarselo.
Canada e Italia sono sulla carta le squadre più forti, ma i recenti risultati di Jarry (anche ai danni dei nostri azzurri) e di Garin dicono che i due sudamericani sono buoni giocatori e inducono a non sottovalutarli, sebbene la loro attuale classifica, n.57 e n.82, in teoria dovrebbe fare il solletico ai nostri che in questo momento vantano un fresco top-ten e due giocatori a ridosso dei top-20.
Ma si sa che in Davis la classifica ha sempre contato poco. Lo scorso anno a Bologna gli svedesi d’Etiopia Ymer sembravano i vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro e invece…
E giocare in casa dovrebbe essere un vantaggio quando i match si preannunciano equilibrati, ma talvolta quando si è super favoriti la pressione può giocare bruttissimi scherzi. Gli appassionati più anziani, e certo l’attuale capitano di Davis Filippo Volandri, ricorderanno il terribile spavento che nella sua Livorno nel 2004 la squadra azzurra formata dallo stesso Volandri e Starace patì contro la Polonia di Kubot, Przysiezny (n.347 del mondo!!!), Matkowski e Fyrstenberg nonostante l’Italia avesse concluso sul 2-0 la prima giornata. I polacchi, che vinsero il doppio sull’inedita coppia Seppi-Bertolini, ebbero 2 matchpoint nella terzo giornata per vincere 3-2.
Non ci crederanno i giovani della generazione Z, ma quella sfida acciuffata per i capelli ci consentì di risalire in… Serie B!!! Eravamo infatti precipitati in una serie analoga alla C. L’Italia che nel ’98 aveva lottato alla pari contro la Svezia in una finale di Coppa Davis, nel 1999 aveva iniziato la sua discesa agli Inferi perdendo a Mestre contro il Belgio dei fratelli Rochus (che sulla terra rossa valevano più o meno quanto gli Ymer di oggi sulle superfici indoor), una sconfitta che costò a Paolo Bertolucci il suo posto di capitano quasi quanto la poca simpatia che nutriva nei suoi confronti il neo-presidente federale Angelo Binaghi che nel 2000 lo defenestrò di brutto per promuovere al suo posto Corrado Barazzutti.
Insomma, per concludere, certo che a Bologna dovremmo farcela a qualificarci per le finali di Malaga, secondi o primi, ma non andiamoci a cuor leggero pensando di cavarsela con un piatto di tortellini e un bicchiere di lambrusco.