Quanto è importante una vittoria Slam junior?

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Quanto è importante una vittoria Slam junior?

Perché qualche piccolo campione diventa un campione da grande e qualcuno invece non lo diventa? Proviamo a scoprirlo con una mini-serie di tre articoli. Gli esempi di Quinzi e Berrettini

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Roger Federer - Wimbledon junior 1998
 

Quante volte ci è capitato di assistere alla finale di un importante torneo junior, magari proprio di un torneo dello Slam, e pensare ai giocatori in campo come futuri campioni? Si tratta di un esercizio comprensibile e affascinante, per cimentarsi nel quale è però difficile delineare parametri oggettivi di giudizio. Cercheremo di fare luce sull’argomento con una serie di tre articoli; se questo svilupperà in linea generale il tema dell’importanza di vincere uno Slam da ragazzi, nei due successivi si scenderà nel dettaglio con due casi esemplificativi – quantomai opposti. Quello di Gianluigi Quinzi, campione di Wimbledon juniores nel 2013 e poi invischiato in una difficile transizione verso il circuito maggiore, e quello di Matteo Berrettini, che invece ha auto una carriera juniores tutto sommato modesta e ora occupa la top 10.

PICCOLI CAMPIONI, CAMPIONI DA GRANDI? – Molti sostengono che il raggiungimento di certi traguardi a livello junior sia garanzia di una carriera di alto livello anche nel circuito maggiore. I numeri però parlano chiaro, e non confermano affatto questa tendenza.

In termini di risultati conseguiti, il parametro più veritiero da prendere in considerazione per definire “alto livello” è probabilmente la top 100. Se prendessimo in esame i vincitori junior nei tornei dello Slam maschili nel decennio 2006-2016, potremmo notare come tra i 40 diversi ‘campioncini’ soltanto 22 siano poi riusciti a confermarsi tra i grandi; si parla quindi di poco più del 50%.

Tra questi ci sono nomi che ormai siamo abituati a sentire. Qualcuno di loro ha raggiunto posizioni di vertice nel ranking ATP, come Zverev, Shapovalov, Dimitrov, Kyrgios, Auger Aliassime e Rublev. Poi ci sono nomi come quelli di Luke Saville o Filip Peliwo, che a molti non diranno nulla, ma che per alcuni periodi hanno dominato così tanto nel circuito junior da essere considerati, soprattutto nei rispettivi paesi, dei campioni in erba dal futuro certo. Ad oggi, entrambi si trovano fuori dai primi 300 ATP, ancora “impantanati” nel circuito challenger.

Partendo dal presupposto che non esiste una verità assoluta che spieghi perché la carriera di alcuni sia decollata e quella di altri no, può essere interessante provare ad analizzare quali siano i fattori che intervengono in questo passaggio, e che rendono cosi imprevedibile il futuro di questi promettenti ragazzi. Quel che è certo, è che la mancanza anche di un solo fattore può compromettere l’intera carriera.

Gael Monfils, campione di Wimbledon junior 2004 (ph. Gianni Ciaccia)

BRACCIO E TESTA – Il fattore tecnico e quello tattico sono certamente importanti ma non fondamentali da considerare, perché se un giocatore è in grado di vincere una prova Slam junior, è implicitamente supportato da mezzi tecnico-tattici adeguati che allenati e migliorati difficilmente non saranno competitivi nel circuito maggiore. Raramente abbiamo visto ragazzi under 18 di alto livello con evidenti difetti tecnici; chi ne aveva qualcuno e ci è arrivato comunque, aveva altre doti che compensavano queste mancanze. Questo discorso può valere anche per l’aspetto psicologico.

Raramente abbiamo visto fenomeni junior non emergere a causa di evidenti limiti di natura mentale. Semmai questo aspetto si è rivelato un ostacolo insormontabile per compiere il passo successivo, ovvero il salto di qualità per raggiungere posizioni di vertice nel ranking (noi italiani ne sappiamo certamente qualcosa).

IL FISICO – Di maggiore predominanza è il fattore fisico, sia in termini di preparazione ma anche di prevenzione degli infortuni, che in una fase di costruzione come questa rischiano di compromettere la carriera. I giocatori hanno sempre più caratteristiche simili con strategie di gioco altrettanto simili, palline e superfici di gioco si stanno uniformando sempre di più, per questo motivo l’aspetto fisico diventa fondamentale. Un dato che può ben rendere questo concetto, è l’altezza media dei migliori giocatori delle nuove generazioni. Zverev è alto 198 cm, Khachanov 198 cm, Medvedev 198 cm, il nostro Matteo Berrettini 196 cm, Opelka addirittura 211; numeri che fanno apparire i 183 centimetri di De Minaur, che non sono pochissimi, un altezza da pigmeo.

LE SCELTE – Ultimo, ma non meno importante è l’aspetto che riguarda le scelte del giocatore in termini di team e di programmazione, perché nella fase iniziale della carriera molti hanno commesso non poche leggerezze. Se è certamente vero che un campione Slam junior è pronto per affacciarsi tra i pro, è altrettanto vero che questo passaggio deve essere graduale e non repentino; ne sa qualcosa Donald Young, battezzato negli USA come futuro numero 1, che nei suoi primi passi nel circuito ha beneficiato di wild card a più non posso dalla USTA, con pessimi risultati.

Lo staff, in particolare il coach, diventa fondamentale sia per la programmazione, sia per filtrare la pressione mediatica che inevitabilmente si crea attorno a un ragazzo promettente.

Riccardo Piatti e Jannik Sinner – Roma 2019 (foto Felice Calabrò)

Quindi è davvero importante una vittoria Slam a livello junior? Sì. È decisiva? Assolutamente no. L’attività under 18 al giorno d’oggi è probabilmente troppo esasperata, e questo non è affatto positivo perché si finisce per perdere di vista gli obiettivi a lungo termine, giocando tornei su tornei alla ricerca spasmodica del risultato quando la priorità dovrebbe essere la costruzione di un tennista completo. Rimane comunque una fase del cammino, sì transitoria, ma imprescindibile.

Carlo Piaggio

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