Brown e il senso delle esibizioni: "Con spese e bollette da pagare, ci serve giocare"

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Brown e il senso delle esibizioni: “Con spese e bollette da pagare, ci serve giocare”

Il tedesco ha partecipato all’UTS di Mouratoglou oltre che a tornei nazionali. E racconta: “L’attività nazionale serve a chi è tra il 200 e il 300 del mondo a pagarsi il coach a uno Slam”

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Dustin Brown (foto Antonio Milesi)
 

È un punto di vista molto concreto, quello di Dustin Brown, sull’utilità delle varie esibizioni di queste settimane. “Le spese quotidiane per i giocatori continuano a esserci, bollette e fatture da pagare – ha raccontato in un’intervista a Sky Sports UK -, di conseguenza questi tornei continuano a spuntare ovunque. Mi è capitato di giocarne uno in Germania e ho constatato quanto sia utile per i giocatori riuscire a guadagnare qualcosa rimanendo nel loro Paese“. Il tedesco di origine giamaicana, a 35 anni, naviga oggi al numero 239 del ranking dopo aver raggiunto il top in carriera da 64 del mondo nel 2016. A mancargli in questa estate anomala sarà soprattutto la stagione sull’erba, sua superficie preferita: a Wimbledon, dove ha raggiunto due terzi turni, si è tolto comunque la soddisfazione di battere Hewitt nel 2013 e Nadal nel 2015. Vederlo giocare rimane garanzia di spettacolo e imprevedibilità, anche se il suo terreno di caccia negli ultimi anni sono diventati i Challenger. In ogni caso, un’esperienza di vita nel circuito su più livelli che rende interessante la sua prospettiva. Che non è quella dei top player in senso stretto.

CONTI IN TASCA – Brown ha partecipato di recente all’Ultimate Tennis Showdown di Mouratoglou, ma in precedenza già a maggio aveva battezzato la ripresa dell’attività in Germania nelle Tennis Point Exhibition Series di Coblenza, torneo a porte chiuse dal montepremi di 25mila euro destinato a professionisti che fanno base in zona. “Per noi è anche un lavoro, non giocare significa non guadagnare – spiega -, molti tennisti tedeschi sarebbero stati impegnati con la Bundesliga che invece è stata cancellata. L’attività sul territorio nazionale serve a chi è tra il numero 200 e 300 del mondo ad accumulare quel budget necessario a potersi permettere di portare il proprio allenatore alle qualificazioni di uno Slam o comunque in contesti di più alto livello in giro per il mondo“. Una fascia media e allo stesso tempo debole, quella citata da Brown, per la quale si sono attivati ATP, WTA e ITF con i rispettivi relief fund. Sulla stessa scia l’applaudita decisione di Wimbledon di distribuire un prize money di oltre 10 milioni di sterline a tutti i tennisti che sarebbero entrati nei tabelloni principali e nelle qualificazioni, livello da cui sarebbe partito proprio Brown.

DUBBI USA – “C’è da tener presente la dimensione del business – ha proseguito nella sua analisi -, molte aziende si sono fermate e hanno cercato una strada per ripartire, vale lo stesso per noi. Quella che ha avuto Mouratoglou è stata una grande idea, tutti i giocatori che hanno partecipato all’UTS ne sono stati felici, anche per la possibilità di divertirsi in un contesto competitivo“. Brown però non nasconde le sue perplessità sul tour estivo nordamericano: “È diverso gestire arrivo e permanenza di una decina di giocatori, come accade nelle esibizioni, rispetto ai 300 di uno Slam. Può essere un serio problema, soprattutto perché si tratta per molti di spostarsi in un altro continente, mentre io per giocare l’UTS in Costa Azzurra ho dovuto affrontare solo un’ora di volo. Per gli organizzatori sarà un bel problema anche tenere tutti lì, in sicurezza“. E a oggi senza certezze – aggiungiamo – anche su quando e come poter tornare in Europa, al netto della disciplina vigente sulla quarantena. Sono i dubbi di tutti, oltre che del buon Dustin.

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