Binaghi senza ostacoli verso il sesto mandato. Sport e Salute banchetta sui resti del CONI

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Binaghi senza ostacoli verso il sesto mandato. Sport e Salute banchetta sui resti del CONI

Si prospetta la quarta elezione di fila senza avversari per Angelo Binaghi, che rimarrà al vertice della FIT fino a Parigi 2024. Ma dove si terrà l’assemblea, in regime di COVID-19? Un recap di come Sport e Salute ha ‘svuotato’ le competenze del CONI

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Angelo Binaghi e Giovanni Malagò
 

Con ogni probabilità il rinnovamento delle federazioni sportive, e della FIT tra le tante con un presidente in sella da diversi anni, dovrà attendere ancora un quadriennio. Le consultazioni in corso tra il ministro dello sport Vincenzo Spadafora e i partiti sembrano condurre verso il mantenimento della norma transitoria (prevista dalla legge Lotti del 2018) che consente ai presidenti in carica da tre (o più) mandati di ricandidarsi per un ultimo quadriennio. Seguiranno i pareri rispettivamente vincolante e non vincolante della conferenza Stato-Regioni e delle commissioni parlamentari, ma l’indirizzo sembra delineato.

Angelo Binaghi, in realtà, andrebbe per il sesto mandato (con il quale eguaglierebbe Paolo Galgani, in carica dal 1976 al 1997) poiché la sua prima elezione risale al dicembre del 2000. In quell’occasione si votò al Palaterme di Fiuggi e Binaghi prevalse su Rino Tommasi, che al momento di accettare la candidatura mise in chiaro di non avere alcuna intenzione di diventare davvero presidente, ma di voler soltanto apportare il suo contributo di idee (che ci sia riuscito, non certo per colpa sua, è tutto da dimostrare).

Secondo le intenzioni iniziali di Spadafora, questo sesto mandato non s’aveva proprio da fare. In realtà è verosimile che il ministro dello Sport non credesse – e forse non creda neanche ora – di riuscire davvero a far passare la sua linea oltranzista, ma che volesse avviare un dialogo tra le parti politiche e magari raggiungere un compromesso. La prima stesura del nuovo Testo unico per lo sport prevedeva infatti un rigido limite di tre mandati per le federazioni e due per il CONI, senza eccezioni, ma i pareri di Italia Viva e PD (dove militava l’ex ministro Lotti, poi coinvolto in un’inchiesta sulle nomine del CSM) ne hanno smussato gli spigoli con la discutibile motivazione che forzare il cambiamento in un momento di emergenza, e sulla strada di avvicinamento alle Olimpiadi, non fosse il modo migliore di agire.

Il partito LeU è dalla parte di Spadafora, ma non sarà sufficiente a far prevalere la sua posizione. Così come non dovrebbe essere sufficiente l’appoggio di cui Spadafora sembra godere da parte di Giovanni Malagò, presidente del CONI, che a prima vista è di difficile comprensione poiché il testo di Spadafora propone nei fatti un ulteriore depotenziamento del CONI, anche per via dell’istituzione del Dipartimento per lo Sport: si tratterebbe di una struttura governativa con funzioni di vigilanza diretta su CONI, Sport e Salute e sull’utilizzo dei contributi da parte delle federazioni. La decisione di equiparare il limite dei mandati (tre sia per le federazioni che per il CONI) sembra aver avvicinato Spadafora e Malagò, ma come abbiamo detto stiamo parlando di un testo che molto difficilmente diventerà legge così com’è stato formulato.

Il ministro Vincenzo Spadafora

In ogni caso, l’attuale governance del tennis italiano si è già cautelata fissando l’assemblea elettiva per il 12 settembre con l’obiettivo piuttosto esplicito di anticipare l’approvazione della riforma, che invece ha come deadline quella dell’8 novembre. Secondo l’ultimo documento pubblicato dalla FIT, sarebbero 2741 circoli con diritto di voto; di questi, i 131 club appartenenti alla fascia A potranno esprimere una tripla preferenza, i 383 di fascia B avranno due voti a disposizione e i restanti di fascia C soltanto uno. Posto che all’assemblea elettiva del 2016 erano presenti ‘solo’ 460 delegati, il 16% degli aventi diritto al voto che però tramite delega espressero il 57% dei voti potenziali, in regime di COVID-19 diventa un problema condurre un assemblea che preveda la partecipazione di centinaia di delegati (come sappiamo, il comitato tecnico scientifico ha già posto il veto all’organizzazione degli Internazionali d’Italia con il 50% del pubblico).

La Federnuoto, per fare un esempio, ha convocato l’assemblea del 5 settembre presso la tribuna autorità dello Stadio Olimpico di Roma per poter rispettare senza troppe difficoltà il distanziamento sociale; la FIT l’ha convocata genericamente presso il Parco del Foro Italico, lasciando come unico indizio la didascalia della foto del Pietrangeli (‘Gli ampi spazi del Foro Italico intorno allo Stadio Pietrangeli’) dalla quale si può supporre l’intenzione di organizzare l’assemblea all’aperto, magari proprio tra le statue del terzo campo del Foro.

Questioni di contorno, per certi versi, se consideriamo che con ogni probabilità questa sarà la quarta assemblea elettiva di fila con Binaghi candidato unico e che la sua unica preoccupazione sarà quella di radunare almeno un quarto degli aventi diritto al voto, il limite minimo fissato dallo statuto FIT perché un’assemblea elettiva sia valida. Un limite più facilmente raggiungibile grazie al meccanismo delle deleghe, che consente a ogni circolo con diritto di voto di rappresentarne altri cinque della stessa fascia: un circolo di fascia A può dunque farsi portatore di (altri) quindici voti, un circolo di fascia B ne può radunare dieci. Raggiungere il ‘quorum’, così, è assai più semplice.

Si aggiunga che è invece assai difficile, ove non impossibile se si considera quanto è radicata sul territorio l’influenza di Binaghi, raccogliere le firme necessarie ad avanzare una candidatura alla presidenza federale: serve l’appoggio di 300 circoli, 200 atleti e 20 tecnici in rappresentanza di almeno cinque regioni. Sostanzialmente è questo il motivo per il quale Binaghi è senza avversari da dodici anni.

Insomma, anche dovesse passare la ‘linea dura’ di Spadafora, che secondo il direttore Scanagatta ha troppi ‘nemici’ per riuscire a imporsi, se Binaghi si fa eleggere a settembre – dove il ‘se’ profuma di pleonasmo – la trappola è schivata.

CONI VS SPORT E SALUTE – L’altro punto cruciale della proposta di legge di Spadafora riguarda l’ultima puntata dell’ormai annosa battaglia tra CONI e Sport e Salute (ex CONI Servizi). Dal cambio di denominazione e di competenze del 2019, Sport e Salute – il cui attuale presidente è Vito Cozzoli – ha iniziato a gestire la maggior parte dei contributi statali al settore sportivo, provocando ovvi risentimenti in seno al CONI, nella persona del presidente Malagò, il cui raggio d’azione decisionale ed economico si è ridotto sensibilmente.

Si tratta di una questione politica assai sfaccettata. CONI Servizi era il braccio operativo del CONI, che dunque fino a due anni fa aveva una certa voce in capitolo nella distribuzione dei contributi alle varie federazioni – secondo criteri non del tutto trasparenti. Tutto è cominciato nel 2002, quando dopo anni di floridezza il CONI si è ritrovato immerso in un mare di debiti e il governo è stato costretto a intervenire istituendo la CONI Servizi Spa, società a cui sono stati trasferiti tutti gli onori (il patrimonio immobiliare, perlopiù) ma soprattutto gli oneri (gli oltre 2500 dipendenti e tutte le passività accumulate) del CONI. Gli obiettivi di questa manovra? Portare fuori dal bilancio dello Stato i debiti del CONI ed efficientare il suo modello organizzativo: finanziato dai contributi governativi e dai proventi di giochi e scommesse, il CONI doveva usare questi introiti per versare un canone a CONI Servizi (per i suoi… servizi) e per erogare i contributi alle federazioni.

Con la breve parentesi di un tentativo (fallito) di soppressione di CONI Servizi nel dicembre 2007, saltiamo avanti di altri undici anni quando la legge di bilancio 2018 del governo giallo-verde – manovra avallata dai presidenti federali, Binaghi compreso, che in qualche modo hanno voltato le spalle a Malagò ritenendo di poter ottenere condizioni più vantaggiose con questo ‘ribaltone’ – ha conferito a CONI Servizi nuove competenze trasformandola nell’attuale ‘Sport e Salute’. Lo status giuridico di società per azioni a partecipazione totale del Ministero dell’Economia è rimasto lo stesso, ma oggi Sport e Salute gestisce gran parte (368 dei 408 milioni previsti per il 2019) del finanziamento statale al mondo dello sport. Soldi che vengono oggi erogati secondo diversi criteri, direttamente proporzionali allo stato patrimoniale, ai risultati sportivi e al numero di tesserati delle federazioni: da qui il ‘tesseramento selvaggio’ a cui si è dedicata la FIT negli ultimi anni, sino a diventare a fine 2018 la seconda federazione sportiva italiana per numero di tesserati.

Sintetizzando brutalmente, Sport e Salute è oggi un’azienda molto più politica e ‘forte’ di ieri e soprattutto è completamente sfuggita al controllo del CONI, che rivendica dunque gli antichi privilegi.

Al momento, però, le gerarchie sembrano ben delineate. L’accordo per la spartizione del patrimonio immobiliare fotografa piuttosto fedelmente gli attuali rapporti di forza: il CONI gestirebbe i tre centri di preparazione olimpica (il ‘Giulio Onesti’ di Roma e quelli di Formia e Tirrenia, quest’ultimo assai rilevante per il settore tecnico FIT), in ottemperanza alla sua funzione di ente promotore dell’attività a cinque cerchi, mentre a Sport e Salute resterebbero lo Stadio Olimpico e il parco del Foro Italico. L’arrosto vero e proprio.

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