Mariano Puerta confessa: “Ho mentito sul doping” - Pagina 2 di 2

Interviste

Mariano Puerta confessa: “Ho mentito sul doping”

A 15 anni dalla positività all’antidoping durante il Roland Garros, Mariano Puerta ammette a ‘La Nacion’: “Sono stato irresponsabile. Ma non ho avuto alcun vantaggio, non voglio essere considerato come un imbroglione”

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Quando ti informarono che eri risultato positivo e Lecman lo scoprì, lui non sospettò delle pillole che il suo amico aveva preparato?
No, non sospettava niente. Immagina, eravamo tanti: tutta la mia famiglia, Sol e la sua famiglia, incluso suo padre, Quique [produttore televisivo, ndr], che si occupò di questa situazione. Era difficile mantenersi allenati, continuare a competere. Qualche giorno prima di andare al torneo di Madrid, andai a Londra per incontrare gli avvocati. Quell’incontro fu importante. Mi dissero: ‘Ci stai dicendo la tua verità, ma le date si avvicinano e dobbiamo iniziare a pensare a una strategia’. Mi chiedono: ‘Le fiale del complesso vitaminico che hai adesso sono le stesse che usavi a Parigi?‘. Sì, avevo tutto quello che stavo prendendo dal primo gennaio di quell’anno. Mi chiesero la bottiglia, diedi loro tutto e me ne andai. Dieci giorni dopo, il manager di Gastón Gaudio, Olindo Iacobelli, che era un partner di Brasero, mi chiamò. Ero a Lione. Mi disse: ‘Uno dei flaconi ha sette compresse con tracce di etilefrina’. Ma io dissi: ‘Cosa intendi con sette pillole?’ Rispose: ‘Sì, c’è una bottiglia che ha una quarantina di capsule e di quelle ce ne sono sette con tracce di quella sostanza‘. È stato un sollievo perché abbiamo scoperto cosa fosse successo.

Dopo aver identificato come si è prodotta la positività, cosa è successo a Lecman e al suo amico che ha prodotto le vitamine?
Non ho mai incontrato la persona che fece le pillole, non ho mai saputo il suo nome e nessuno della famiglia lo voleva sapere. Dovevamo occuparci di altro, non potevamo perdere tempo.

Non hai mai voluto chiedere spiegazioni?
Sì sì sì, è così.

E perché non l’hai fatto?
Non so nemmeno il nome. Mi hanno consigliato di continuare con la mia strategia difensiva, dato che non avrei tratto alcun beneficio a smascherare questa persona.

Come ti sei comportato con Lecman?
Abbiamo parlato un giorno, solo noi due, fuori dal Cenard. Tornai da Parigi-Bercy e gli dissi: ‘Darìo, è accaduto questo e abbiamo le prove’. Lui si sentì molto male e parlò con il suo amico e questo gli disse che si trattava di un flacone con 100 compresse che aveva fatto in quattro giorni diversi perché non aveva avuto il tempo e che in uno di quei giorni probabilmente il flacone era stato contaminato da tracce di quel farmaco, dato che non puliva bene quando assemblava le pillole – queste furono le sue parole. Non potevamo fare nulla perché le pillole erano state comprate, non so come dirlo… non in forma legale. Non c’era la fattura. I miei avvocati pensarono che non fosse conveniente da un punto di vista strategico dichiarare quello che successe, dato che non avrebbe destato una buona impressione.

Il 21 settembre 2005, dopo aver confermato la presenza di etilefrina nel campione B, sei stato formalmente accusato. Eri a Bratislava e pochi giorni dopo hai giocato il doppio delle semifinali di Coppa Davis [la Slovacchia vinse 4-1] sapendo cosa aspettarti. Come hai accolto la notizia?
Quasi nessuno lo sapeva. Quando ho giocato quella Coppa Davis probabilmente erano passate circa quattro settimane da quando avevo ricevuto la prima notifica. Già agli US Open sapevo. Erano i primi passi di un procedimento legale e sapevo dove stava andando tutto.

Il 5 ottobre, mentre eri all’ATP di Tokyo, il quotidiano francese L’Equipe rese pubblico il tuo caso di doping. Come hai ricevuto la notizia?
Non so spiegarlo. Mi sono sentito molto osservato. Sembrava che tutti gli occhi fossero puntati su di me. Non dimenticherò mai quando tornammo da Tokyo: l’aereo fece scalo, credo a Francoforte, e mentre camminavo per cambiare zona nell’aeroporto passai davanti ai porta-riviste e mi vidi sulle prime pagine dei giornali europei. Male, molto male. Sentii che la mia carriera tennistica era finita il giorno in cui avevo aperto la lettera della positività, prima di andare allo US Open. Là è finita. Mi ha messo KO. Qualcosa mi è rimasto dentro, ero assente, non sono mai tornato in campo come facevo prima. Fino a quando non mi sono ritirato, mi sentivo vuoto quando entravo in campo.

Sei stato considerato un imbroglione?
Sì. Sono stato considerato così. Mi sono sentito molto criticato. Ho sentito: ‘Oops, eccolo’. Ho passato anni senza leggere nessun articolo dei giornali perché ogni anno, ai tempi del Roland Garros, era inevitabile che finissero per parlare di quell’episodio. È come se avessi sempre voluto cancellarlo dalla mia vita, l’avevo nascosto. E ora, quando ho riletto la storia del bicchiere, non mi è piaciuta affatto. Non era il modo in cui volevo essere ricordato.

Pensi che la strategia che all’epoca doveva servire a ridurre la sanzione fosse forzata e difficile da credere?
Sì, lo penso. Ma si decise di seguire quella strada. Eravamo un team composto da molte persone di successo nei rispettivi campi. Non c’erano incompetenti. Sono andato avanti perché era in gioco la mia carriera. Non mi biasimo per questo, posso biasimare me stesso per essere tornato subito dopo l’operazione al polso, per la mia cattiva alimentazione… Quando ricevi un avvertimento per doping, nella recidiva ti danno da otto a 99 anni. Devi essere pazzo e sconsiderato per fare qualcosa di proposito. Quando mi hanno dato otto anni, ho detto: ‘Andiamo al tribunale arbitrale. Facciamo appello’. E l’abbiamo fatto. In tribunale, i giudici, che erano in tre, hanno detto qualcosa del tipo: ‘Come possiamo sospendere quasi per tutta la vita un atleta che era molto lontano dall’avere un miglioramento sportivo effettivo?’. Non volevano farlo.

Se il TAS avesse saputo che la teoria del bicchiere era falsa, pensi che avrebbe comunque abbassato la tua pena?
[Dopo averci pensato per un po’] Penso che avrebbero mantenuto probabilmente la condanna a 8 anni. A un certo punto valutammo questa ipotesi. I giudici mettono molta enfasi sulla responsabilità individuale e sulla condotta negligente. Penso che la sentenza del TAS sarebbe stata diversa, probabilmente peggiore.

La Legione aveva una macchia che erano casi di doping. Sei d’accordo?
Sì, certo.

Rivali e media Europei e degli Stati Uniti li hanno spesso segnalati per i casi di doping.
Ricordo che c’era un americano, Alex Bogomolov, che a Melbourne era risultato positivo a un farmaco per l’asma, come me, e gli diedero sei settimane, quando a me diedero nove mesi. Lo stesso farmaco! Hanno detto che la differenza era che il suo era in un torneo e il mio no. Per me la differenza era la bandiera. Penso che ci sia stato un trattamento diverso con gli argentini, anche considerando le loro ragioni.

A voi tennisti professionisti viene fornito l’elenco delle sostanze che potete e non potete consumare. Eravate responsabili di quello che è successo.
Sì, sono d’accordo. Non è stato neanche facile, le liste delle sostanze proibite cambiavano ogni anno. Era come se l’elenco fosse stato messo insieme a caso. Un anno compilavano una lista e l’anno successivo la cambiavano. Hanno incluso la caffeina e l’hanno pure tolta. Non so come sarà adesso, ma a quel tempo si comportavano così. Era confuso. Alcune cose non le sapevano nemmeno quelli che facevano le liste.

Come hai vissuto il periodo in cui eri squalificato?
Non potevo toccare una racchetta, ho trascorso il tempo giocando a golf, facendo sessioni con uno psichiatra, curandomi. C’erano giorni in cui potevo dormire anche per 14 o 15 ore. Poi mi svegliavo depresso, con pensieri oscuri. Era difficile da accettare. Vengo da una famiglia umile, è stato difficile per me arrivare al tennis professionistico. Arrivai e mi infortunai alla mano, qualcosa su cui non avevo il controllo, ma dopo la riabilitazione presi il controllo della mia carriera e non volevo ascoltare. Feci marcia indietro. Non sono stato costante nel corso nella mia carriera. Ma in quel Roland Garros sono arrivato e poi ho avuto di nuovo uno shock. Direi ai tennisti oggi di non fare nulla che li metta in una situazione come la mia. Come puoi esserne sicuro? Essere estremamente responsabili, non delegare e non fidarsi di nessuno, perché il prezzo che puoi pagare per un errore è molto alto. Non ha senso. Sono stato un irresponsabile.

Traduzione a cura di Andrea Canella

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