“Non può finire così”, era stato il primo commento apprendendo qualche giorno fa l’assenza dei fratelli Bryan nella entry list dello US Open, quello che comunque sarebbe dovuto essere il loro ultimo torneo. E invece Mike e Bob hanno deciso: l’avventura del doppio più vincente della storia del tennis si chiude senza un saluto sul campo. A 42 anni, con effetto immediato. La prospettiva di giocare rinchiusi nella bolla, senza il pubblico che avrebbero voluto abbracciare un’ultima volta, non li ha mai attratti. E il 2021 è nel frattempo diventato una prospettiva troppo lontana.
“Sentiamo dentro di noi che è arrivato il momento giusto – le parole di Mike -, alla nostra età ci vuole tanto lavoro per rimanere competitivi. Ci piace sempre giocare, meno preparare il nostro corpo per farlo. Ci piace lasciare adesso, quando siamo ancora in grado di esprimere un buon tennis“. Alla chiusura del cerchio, la bacheca fatica a contenere i successi di 22 anni: 16 Slam (sei Australian Open, due Roland Garros, tre Wimbledon e cinque US Open) in 30 finali, 119 tornei vinti, dieci stagioni concluse da coppia numero uno del ranking, posizione occupata – record – per 438 settimane.
Mike destrorso (lui altri due Slam li ha vinti con Jack Sock), Bob mancino, operato all’anca nel 2018 e ispirazione di Andy Murray per il ritorno a giocare ad alti livelli. Per gli Stati Uniti hanno vinto anche l’oro olimpico di Londra nel 2012. Hanno giocato insieme sin da piccolissimi. “Tanti ragazzi che iniziano con il tennis sognano di diventare i numero uno in singolare – le parole del padre Wayne riportate dal NY Times -, ma per due fratelli gemelli con lo stesso DNA, gli stessi genitori, lo stesso allenatore, la competizione sarebbe stata troppa. Come fai a essere il numero uno del mondo se sei il numero due nella tua camera da letto? Sono nati per giocare in doppio“.
Il saluto di Mike e Bob è diventato ufficiale con un lungo messaggio pubblicato sul loro profilo Instagram.
“Parecchi anni fa, due fratelli hanno lasciato casa iniziando la scalata di un’alta montagna. Supportati dai genitori e animati da una sconfinata passione, sono saliti insieme sulla montagna fino a un punto in cui i loro occhi hanno potuto scorgere l’orizzonte. Si sono trascinati l’un l’altro sulle strade più ripide, riparandosi a vicenda durante le tempeste. Se uno dei due si sentiva stanco, l’altro spingeva più forte. Se uno dei due aveva dei dubbi, l’altro lo invitava a non avere paura. Spesso sono scivolati e si sono fatti male, ma hanno sempre amato combattere contro la montagna.
Dopo anni di scalata hanno raggiunto la vetta. La vista era bellissima, ma non si aspettavano di scorgere dal paesaggio vette ancora più alte. Il sentiero alla fine scomparve ma loro sono andati avanti, aprendosi il percorso e scoprendo posti che mai avrebbero immaginato esistessero. Non importava la direzione, erano insieme, perché il viaggio da soli per loro non sarebbe stato possibile. E quando il fisico non poteva portarli oltre, si sono voltati indietro guardando il mondo in cui avevano viaggiato. Hanno sorriso con orgoglio e sono tornati a casa spalla a spalla, con un legame più forte di prima”.