C'è un po' d'Italia anche indoor, adesso. O c'è sempre stata?

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C’è un po’ d’Italia anche indoor, adesso. O c’è sempre stata?

Delle 166 finali raggiunte da tennisti italiani nel circuito ATP, 28 sono arrivate sul veloce indoor. Un bel contributo è arrivato da Fognini e Seppi; ora c’è Sonego, in attesa di Sinner

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Forse è presto, o forse no, per evidenziare che i tennisti italiani hanno (ri)cominciato a darsi da fare anche sulle superfici più rapide. Non è un cambiamento dell’ultima ora, ma il pretesto per parlarne è la (splendida) finale raggiunta da Lorenzo Sonego a Vienna, teatro di uno dei pochi ATP 500 sopravvissuti all’epurazione di questo nefasto 2020.

Partiamo dai dati generali, poi concentriamoci sulle finali giocate dai tennisti italiani (in Era Open) in tornei indoor su superfici rapide, escludendo dunque i pochi tornei su terra che si giocano sotto un tetto. Prima una precisazione: fino ai primi anni del 2000, il veloce indoor si divideva tra cemento e sintetico, mentre oggi quest’ultima superficie è stata sostanzialmente dismessa ed è rimasto soltanto il cemento indoor.

Includendo Sonego a Vienna, è accaduto 166 volte che un tennista italiano raggiungesse una finale del circuito maggiore, e 67 volte ne è uscito vincitore. Ben 121 di queste finali si sono giocate sulla terra battuta, 50 delle quali vinte dal giocatore italiano (che sei volte ha battuto un connazionale); 6 sull’erba (3 titoli), 11 sul cemento outdoor (5 titoli) e 28 sul veloce indoor (metà su cemento e metà su sintetico). Anche nel caso delle finali indoor, stiamo conteggiando quella raggiunta da Sonego. Di seguito le percentuali:

  • Terra battuta: 73%
  • Veloce indoor: 17%
  • Veloce outdoor (cemento): 6,5%
  • Erba: 3,5%

Questa ripartizione racconta una cosa inequivocabile, probabilmente due. La prima è che l’Italia ha fatto davvero maluccio sul cemento all’aperto: considerando che con il passare degli anni è diventata la superficie sulla quale si assegna la maggior parte dei punti, e che stiamo considerando un intervallo temporale di quasi mezzo secolo, i cinque titoli su appena undici finali giocate sono una miseria. La seconda è che invece, indoor, le cose non sono andate così male come ci si potrebbe attendere da una scuola tennistica sostanzialmente dedicata alla crescita di giocatori da terra battuta. Nove titoli su ventisette finali giocate (attendendo la 28° di Sonego) non sono pochissimi, e un contributo consistente è arrivato dai tennisti in attività nella decade attuale.

Dal 2012 infatti, anno della finale persa da Fognini a San Pietroburgo, siamo già a otto finali – con Seppi (quattro volte finalista) mattatore, nonché l’unico in grado di vincere di un titolo.

  • San Pietroburgo 2012: Klizan b. FOGNINI
  • Metz 2012: Tsonga b. SEPPI
  • Mosca 2012: SEPPI b. Bellucci
  • Zagabria 2015: Garcia Lopez b. SEPPI
  • Mosca 2016: Carreno Busta b. FOGNINI
  • San Pietroburgo 2017: Dzumhur b. FOGNINI
  • New York 2020: Edmund b. SEPPI
  • Vienna 2020: SONEGO vs Rublev

Se consideriamo che possiamo attenderci un apporto ulteriore da Berrettini e soprattutto da Sinner, che ha soltanto 19 anni e sembra nato per giocare sul veloce indoor – infatti ci ha vinto le Next Gen Finals – la sensazione è che le ultime due generazioni di tennisti italiani stiano facendo segnare un cambio di rotta, per caratteristiche tecniche ma ancora di più per voglia di misurarsi con una superficie – qui estendiamo il campo d’analisi a tutto il ‘duro’ del circuito – che troppi tennisti peninsulari, in passato, hanno guardato con sospetto per tornare tra le braccia accoglienti della terra battuta. Perché la verità è questa: la crescita di un movimento tennistico si misura con i risultati raggiunti sulle superfici più rapide. E l’Italia, finalmente, sta rispondendo presente.

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