Steve Flink e il declino del tennis USA: “Dobbiamo mettere la racchetta in mano ai migliori atleti"

Focus

Steve Flink e il declino del tennis USA: “Dobbiamo mettere la racchetta in mano ai migliori atleti”

Il Direttore Scanagatta torna in un nuovo video per parlare della crisi del Paese che dominava il nostro sport fino a meno di vent’anni fa. Il tennis attira poco rispetto agli altri ‘big sport’: basket, football e baseball

Pubblicato

il

 

Prosegue la serie di pezzi di Ubitennis dedicata al tennis americano. Dopo il contributo di Mark Winters, questa volta è l’amico del sito e Hall of Famer Steve Flink a cercare di rispondere a diversi quesiti: perché non ci sono più giocatori americani in cima alle classifiche ATP? C’è luce in fondo al tunnel? Questo e altro nel video.  

00:00 – Ubaldo: “Il miglior giocatore americano, Isner, ha 35 anni ed è fuori dai top 20 del ranking e l’unica vera promessa sembra essere il diciannovenne Brandon Nakashima (per quanto Korda, ndr…). Questo potrebbe essere il punto più basso per il loro tennis maschile”. Steve: “I fatti sono chiari così come era chiaro da moltissimo tempo quale fosse la tendenza. Vorrei dire una cosa, però. Credo che ci siano un po’ più giocatori che potenzialmente potrebbero esplodere. Credo che Taylor Fritz abbia una possibilità, anche se ha deluso quest’anno”.

02:30 – Ubaldo: “Quando il ranking è stato introdotto, c’erano 23 giocatori americani nei primi 100, sei nella top 20 e tre nella top 10. Oggi abbiamo soltanto 9 statunitensi nei 100 e zero tra i primi 10 e 20. Quali sono le ragioni principali?”. Steve: “Credo che il vero punto di svolta in negativo per il tennis americano ci sia stato quando la generazione di Sampras, Agassi, Courier e Chang (con l’aggiunta anche di Martin e Washington) ha dominato gli anni 90. A loro sono succeduti Roddick e Blake, poi il nulla. Non so se sia stato il nostro sistema che è calato o i grandi miglioramenti fatti nelle altre nazioni. Ci sono atleti da tantissimi Paesi ora, lo sport è più popolare. Noi facciamo fatica a portare i nostri migliori atleti verso il tennis piuttosto che verso il basket, il football o il baseball, dove hanno maggiori chance di guadagno”.

06:10 – Ubaldo: Vorrei sapere se il denaro è il fattore principale per cui gli statunitensi provano prima altri sport, magari anche perché nel tennis soltanto i primi 100 guadagnano discretamente”. Steve: “Sì, i tennisti, se arrivano ad un certo livello, trovano degli sponsor e guadagnano fuori dal campo, ma un sacco di giocatori non hanno questa possibilità e devono arrangiarsi con i premi, mentre gli atleti di baseball, basket, football e hockey vengono contrattualizzati, spesso su basi pluriennali, dalle squadre. Questo certamente attrae di più molti dei nostri giovani”.

07:40 – Ubaldo: “In Europa lo sport principale è il calcio e almeno 6000, forse anche 8000 atleti europei giocano nei campionati principali e guadagnano più di 300.000 euro l’anno. C’è una grandissima differenza tra il riuscire ad essere uno di quei 6000 calciatori e uno dei primi 100 tennisti al mondo, il primo è certamente un cammino più facile. Penso che in America ci sia una situazione simile con i quattro sport principali. Ho l’impressione che l’USTA non abbia un buon sistema per aiutare i giocatori giovani ad emergere, altrimenti ci dovrebbe essere una base di giocatori di buon livello che invece non c’è. In Italia, ad esempio, le cose hanno cominciato a cambiare quando la FIT ha deciso di aiutare anche coloro che hanno allenatori privati. Mi chiedo se questo avvenga anche negli Stati Uniti o se la USTA privilegi soltanto i propri centri federali, senza aiutare i giovani che hanno percorsi differenti”.

12:16 – Steve: Da noi ci sono moltissimi centri di allenamento federali, il principale ad Orlando, e molti allenatori che seguono giocatori importanti. Ma non sono sicuro che il problema siano loro. Il programma di sviluppo per i giovani è stato creato nella seconda metà degli anni 80, quando Connors e McEnroe hanno iniziato a calare. Poi in pochi anni è uscito quel gruppo con Sampras, Agassi, Chang, ma questo aveva probabilmente poco a che fare con il programma federale, semplicemente loro erano ottimi giocatori. In parte questo è un fenomeno ciclico, arriverà un momento in cui noi avremo un buon gruppo di giocatori come quelli che avete ora in Italia. Sono rimasto sorpreso della piega che il nostro tennis ha preso dopo l’addio di Roddick e non so bene se sia a causa del nostro sistema, o semplicemente dovuto al miglioramento delle altre nazioni, dove il tennis ha una priorità più alta”.

 
Andy Roddick, Steve Flink e Kim Cljisters

14:00 – Ubaldo: “Tutti quei nomi che hai citato prima, Sampras, Agassi, Chang, sono tutti figli di immigrati, molto motivati. In Italia abbiamo avuto un gruppo di ottimi giocatori, Panatta, Barazzutti, Bertolucci, che provenivano da famiglie modeste e avevano forse maggiore motivazione rispetto ad altri più agiati. Questo conta. Oggigiorno negli USA e anche in Europa le famiglie benestanti non spingono i loro figli a dedicarsi sei ore al giorno ad un unico sport, preferiscono che pratichino tre o quattro attività diverse e quindi, se hai queste origini, è più difficile dare tutto te stesso per diventare un tennista”. Steve: “È un punto molto valido, quello della fame e del bisogno di avere successo, credo che abbia senz’altro un ruolo. Ma qui, con tutte le strutture di allenamento messe in piedi dalla USTA, ci si aspetterebbe di vedere emergere dei giocatori che possiedono quella dedizione, quell’ossessione di emergere. Ecco, forse è proprio l’ossessione di emergere che manca, ma non so il motivo”.

18:42 – Ubaldo: “Forse non ci sono abbastanza incentivi. In America più che altrove il denaro è molto importante. Mark Winters ritiene che i giovani americani non abbiano abbastanza fame, che quando dicono di stare lavorando molto, siano più parole che fatti. Sei d’accordo?” Steve: “Io rispetto molto Mark e suo ruolo nello sviluppo della generazione di cui abbiamo parlato prima, che continua oggi nell’Associazione della California del Sud. Non so se sono d’accordo, ma credo lui sappia quello che dice”.

20:40 – Ubaldo: “La politica spesso è importante nello studiare il sistema, gli incentivi e i metodi per aiutare i giovani. Perché oggi, a differenza di venti o trent’anni fa, se non sei un grande talento, riesci ad arrivare a vivere economicamente di tennis soltanto attorno ai 23-25 anni. Chang, Wilander e Becker, invece, sono diventati ricchi a da teenager. Se inizi a competere attorno ai 10-12 anni, prima di riuscire a guadagnare abbastanza per mantenere te stesso e il tuo team, devi lavorare e allenarti per una dozzina d’anni”.

22:35 – Steve: “C’è un altro fattore. Una volta a 30 anni un giocatore pensava di avere già dato. Oggi la generazione attuale sta dimostrando che le carriere possono durare molto di più nella parte finale. Federer sarà ancora della partita a 40 anni”. Ubaldo: “Vero, ma questo non aiuta la creazione di nuovi giocatori. Una volta che sei arrivato, rimani in vetta più a lungo e continui a guadagnare, ma il problema è che, se non sei economicamente indipendente e i tuoi genitori non sono ricchi, non ti puoi permettere di aspettare i 12 o 14 anni necessari per arrivare ad un buon livello”.

24:15 – Ubaldo: “Le federazioni nazionali dovrebbero trovare il modo di aiutare i giovani per questi 12-14 anni, finché costruiscono la propria carriera. Qui è dove è importante la politica. In Italia la situazione è molto critica per tutte le federazioni sportive, perché le persone nelle poltrone importanti vogliono rimanerci per sempre. Ed è sbagliato a mio parere. Ma è anche sbagliato ciò che accade nella USTA, dove si cambia presidente ogni quattro anni e manca la continuità. Se una persona rimane al proprio posto per quattro anni, non ha alcun interesse a costruire un sistema che durerà molto più a lungo della sua carica”. Steve: “Sì, ma noi abbiamo anche i direttori esecutivi che possono fare più attenzione allo sviluppo dei giocatori rispetto al presidente, perché rimangono al loro posto per più tempo. Ma hai ragione nel dire che il sistema è problematico in riferimento alla leadership.

26:50 – Ubaldo: “Quante sono le persone davvero responsabili del tennis americano, a parte il presidente della USTA?” Steve: “I direttori esecutivi stanno al loro posto a lungo. Non so se abbiano contratti per un numero preciso di anni, ma rimangono lì molto tempo e questo dà loro la possibilità di pensare di più ai giocatori, ai giovani e a portare il tennis statunitense di nuovo al livello in cui tutti vogliamo che torni”.

27:45 – Ubaldo: “Hai idea di quanti soldi siano investiti in questi settori? Immagino che avere gli US Open, un’autentica fabbrica di soldi, sia importante per avere risorse da redistribuire”. Steve: “Non ho le cifre precise, ma so che gli allenatori federali sono pagati molti soldi, non c’è dubbio che investano molto. Si è dovuto fare qualche aggiustamento a causa della pandemia, ma fino a quest’anno, il problema non credo fossero le risorse. Il fenomeno è in parte inspiegabile, per me: abbiamo ottimi allenatori e programmi molto buoni e, malgrado la fuga dei giovani verso altri sport, ci sono sempre numerosi giovani promesse. Sul perché non siano diventati dei nuovi Andy Roddick, non lo so. Davvero”.

30:27 – Ubaldo: “La situazione di un allenatore che riceve un salario fisso da una federazione indipendentemente dai giocatori che riesce a produrre è molto differente rispetto alla situazione europea, in cui molti team privati iniziano praticamente senza soldi e investono su sé stessi facendo una scommessa. È una grossa differenza in termini di motivazione e la fame degli allenatori diventa anche la fame dei giocatori. Non so se gli allenatori federali che hai nominato tu abbiano o meno lo stipendio garantito senza riguardo ai loro successi, né se in America ci siano team privati o magari dei genitori che investono, come nel caso del padre di Sofia Kenin o di Stefano Capriati [padre di Jennifer, ndr]. Mi chiedo se negli USA queste realtà, genitori che investono nei loro figli come il padre delle Williams ci siano ancora”. Steve: “In molti casi ci sono. Credo che questo ci riporti alla vecchia questione se i campioni lo siano per nascita o possano essere costruiti. La verità è che è un qualcosa che viene da dentro”.

35:15 – Steve: “Oggi ci sono anche diverse ragazze eccellenti, come Madison Keys o Sloane Stephens, che si sono formate negli stessi programmi di cui parlavamo prima. In generale il tennis femminile oggi è a livello più alto di quello maschile. Ubaldo: “Ma allora dobbiamo capire il perché tra i migliori teenager ci sono soltanto Nakashima e Brooksby…”. Steve: “Guarda, davvero non riesco a trovare un senso. Alcuni atleti, come Isner, giocano al college e vengono fuori più tardi, forse questo è parte del motivo per cui noi non abbiamo giovani come Sinner. Ma davvero, me lo sto chiedendo da 15 anni e non riesco a trovare molte valide spiegazioni, se non che potrebbe cambiare tutto in breve tempo. Nei prossimi anni, quando meno ce l’aspettiamo, potrebbero uscire improvvisamente tre giocatori che oggi hanno meno di 16 o 14 anni e di cui non sappiamo ancora nulla. Sul finire degli anni 80 nessuno si aspettava che quel gruppo di giocatori fosse anche solo lontanamente così forte come poi è stato. Non ho perso la speranza”.

Sofia Kenin con il trofeo – Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen)

39:10 – Ubaldo: “Un tempo negli USA avevate i college che costruivano i campioni del futuro, non soltanto americani, perché c’erano anche giocatori stranieri che venivano a giocare là. Oggi, i giocatori non vogliono attendere così tanto e non pensano nemmeno di poter diventare buoni giocatori dopo il college, a 24-25 anni e quindi non ci provano nemmeno…”. Steve: “Quello che cercavo di dire prima è che penso che alcuni dei giovani oggi, guardando a Federer, Nadal, Djokovic, ma anche Wawrinka e molti altri, che giocano alla grande ben oltre i trent’anni, potrebbero fare valutazioni differenti. Potrebbero pensare di avere la possibilità di andare al college, finirlo a 22 anni e avere ancora a disposizione 10-15 anni di tennis professionistico davanti a sé”. Ubaldo: “In quel caso servirebbero due fattori concomitanti. Primo, un ragazzo maturo ed intelligente, paziente abbastanza e senza la fretta di far soldi. Secondo, l’organizzazione del college e l’aiuto che la USTA dovrebbe dare agli istituti che sviluppino un buon programma”.

42:20 – Ubaldo: “Negli USA non si possono dare incentivi in denaro agli atleti di college non professionisti, ma bisognerebbe trovare un sistema per garantire un sostegno ai ragazzi al termine dei loro studi. Magari a quelli che riescono ad entrare tra i primi 50 o 80 del mondo, cosicché i giovani studenti avrebbero la motivazione per raggiungere un certo traguardo”. Steve: Mi piace quest’idea di sostegno ai college e credo sia qualcosa a cui si sta pensando in questo momento, soprattutto visto che l’età del tennis competitivo si sta alzando”.

44:15 – Ubaldo: “Hai detto che credi che ci si stia pensando, ma non lo sappiamo per certo. Io, te o Mark Winters potremmo provare a chiedere o a lanciare la proposta, magari parlando con Stacey Allaster o qualcuno che possa risponderci”. Steve: “Mi piace l’idea. Penso che potrò senz’altro mandare una mail a Stacey Allaster e chiederle di venire a parlare con noi. Perché persone come lei sanno esattamente cosa sta succedendo. Così magari riusciremo ad avere delle risposte”.

47:00 – Ubaldo: ”Da italiano non dovrei nemmeno avere troppo interesse nel promuovere il tennis americano, ma sarebbe un’ottima cosa per il nostro sport se qualche giocatore australiano o statunitense fosse in grado di vincere il proprio Slam di casa”. Steve: “Sono d’accordo, è molto importante che un giocatore americano maschio riesca ad emergere, almeno per essere della partita. Più o meno come accadeva ai tempi di Roddick: ovviamente Federer era migliore di lui, ma era divertente guardarli affrontarsi. C’è bisogno di un miscuglio di nazioni diverse. Qualche americano in mezzo al gruppo aumenterebbe la popolarità del tennis nel nostro paese, ma anche a livello globale, perché il pubblico di tutto il mondo è abituato a vedere giocatori statunitensi di successo”.

48:15 – Ubaldo: E anche per quanto riguarda il tennis australiano… è un peccato che due nazioni con così tanta tradizione e cultura siano praticamente scomparsi dalle prime pagine. Oltretutto, gli esempi sono importanti. Dopo Borg, altri tre svedesi hanno raggiunto la top 10, a Becker, Graf e Stich sono seguiti i vari Tommy Haas e Kiefer. Ad oggi, sembrano uscire nuovi giocatori croati e serbi quasi giornalmente. Ma c’è anche del lavoro che deve essere fatto dietro le quinte e dovremmo capire cosa stiano facendo gli USA e l’Australia per fermare questo declino”. Steve: “È vero, gli australiani hanno avuto i maggiori successi quando il gioco era prevalentemente su erba, anche se poi sono arrivati Hewitt e Rafter, che erano probabilmente migliori sui campi duri”.

Ubaldo: “Be’ gli altri Paesi, a parte forse il Regno Unito, praticamente non avevano campi in erba, e infatti era normale che americani e australiani dominassero quell’epoca. Ma oggi, che il 75% del tennis è giocato su campi duri, non c’è alcuna ragione per cui Stati Uniti e Australia non abbiano giocatori in Top 20. È una questione di denaro, incentivi, e anche background sociali, se famiglie non ricche preferiscono mandare i loro figli a praticare sport dove è più facile arrivare a guadagnare. Potremmo discuterne con Stacey Allaster, non da politici, ma come interessati al benessere del nostro sport”. Steve: “Sì, e potremmo magari anche parlare con John Newcombe, per sapere un po’ della situazione in Australia”.

Traduzione a cura di Filippo Ambrosi

Continua a leggere
Commenti

ATP

L’anno del riscatto di Nico Jarry. Chi lo ferma ora?

Nel 2019 si era già affacciato tra i primi 40 giocatori del mondo. Poi la squalifica per doping e una lenta risalita fino alla svolta di quest’anno con il torneo di casa. Gli ottavi a Parigi (affronterà Ruud, battuto pochi giorni fa) non sono una sorpresa

Pubblicato

il

Nicolas Jarry - Roland Garros 2023 (foto Roberto Dell'Olivo)

Non sono pochi i nomi inattesi che hanno raggiunto gli ottavi di finale del tabellone maschile di questo strano Roland Garros 2023. Ofner è indubbiamente quello più sorprendente, seguito da Varillas, Etcheverry e in parte anche Nishioka, che comunque è accreditato della 27esima testa di serie. C’è poi Nico Jarry: unseeded sì, ma forse la sorpresa meno inaspettata di tutte. Si tratta infatti di uno dei giocatori più in forma del momento e, più in generale, di questa prima metà di stagione e siamo certi che i big abbiano tirato un bel sospiro di sollievo quando hanno visto il suo nome posizionato dal sorteggio ben lontano dal loro. Il cileno, però, pian piano si sta avvicinando a tutte le teste di serie più alte e, anzi, una l’ha già raggiunta: dopo aver superato Dellien, Paul e Giron, agli ottavi se la vedrà infatti con il numero 4 e finalista dello scorso anno Casper Ruud in un match dall’esito tutt’altro che scontato.

Nico viene infatti da sette vittorie consecutive e tra queste ce n’è una ottenuta proprio contro il norvegese. Nell’ultimo torneo prima di Parigi, a Ginevra, Jarry ha giocato un tennis di altissimo livello che gli ha permesso di battere per l’appunto Ruud ai quarti di finale (in tre set) e poi anche Zverev in semifinale e Dimitrov – un altro che sta attraversando un ottimo momento di forma – nell’atto conclusivo del 250 svizzero. Con questa cavalcata degna anche di un torneo di categoria superiore, Nicolas ha conquistato il secondo titolo della stagione: la stagione del suo riscatto. Nella prima classifica del 2023 Jarry era infatti in 152esima posizione, mentre ora è virtualmente tra i primi 30 del mondo.  

IL BEST RANKING NEL 2019 – Già qualche anno fa, nel 2019, il giocatore di Santiago aveva iniziato a respirare l’aria dell’alta classifica: risultati come i quarti a Barcellona, la finale a Ginevra e il successo a Bastad lo avevano portato al numero 38 del ranking. Alto quasi 2 metri e dotato di un servizio molto pesante, si stava costruendo la fama di specialista della terra ad alta quota, dove l’aria è più rarefatta e la palla va quindi più veloce. Tra i suoi primi risultati più importanti, nel 2018, ci sono infatti le semifinali a San Paolo e Kitzbuhel: oltre 700 metri sul livello del mare in entrambi i casi.

 

LA SQUALIFICA PER DOPING – Negli ultimi tre anni, però, di Jarry ci eravamo sostanzialmente dimenticati. Il cileno era infatti letteralmente scomparso dai radar, nel senso che dall’ottobre del 2020 al febbraio 2021 il suo nome non figurava più nel ranking. Mentre tutto il circuito era fermo causa pandemia, Nico scontava infatti una squalifica per doping ed era quindi l’unico a perdere punti in classifica. Il nipote d’arte (suo nonno materno è quel Jaime Fillol ex numero 14 del mondo e in campo anche nella finale di Davis del ’76 vinta dall’Italia di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli), in realtà, aveva dimostrato la sua innocenza: gli integratori incriminati non erano vietati ma erano stati cross-contaminati alla fonte, cioè in fase di produzione in laboratorio. Nicolas ricevette comunque una squalifica di 11 mesi dall’ITF e decise di rinunciare al ricorso dal momento che, come detto, in quel periodo non si giocava alcun torneo.

LA RIPARTENZA – Ripartire da zero o quasi, però, non è stato affatto semplice: Jarry perse i primi tre match dopo lo stop, a novembre 2020, in un Challenger e in due Futures, cedendo anche a un diciottenne americano numero 980 del mondo. Solo a marzo della stagione successiva Nico ricominciò a ottenere qualche risultato. Lo fece sfruttando l’aria di casa a Santiago: prima onorò al massimo delle sue possibilità in quel momento la wild card concessagli nel torneo del circuito maggiore combattendo per quasi tre ore contro Tiafoe e poi tornò a vincere due partite di fila nel Challenger che si disputava sempre sui campi della sua città.

IL RITORNO AD ALTI LIVELLI – Da lì è iniziata una graduale risalita che ha avuto un’altra tappa fondamentale di nuovo a Santiago, pochi mesi fa. A dire il vero il 2023 di Jarry era già partito con il piede giusto: qualificazione al main draw dell’Australian Open e vittoria al primo turno su Kecmanovic e poi un ottimo percorso nel 500 di Rio de Janeiro interrotto solo da Alcaraz in semifinale (e per giunta dopo tre set). Nella città natìa, però, Nico ha dato la conferma di essere tornato quello del 2019, se non addirittura più forte. Dopo una serie di lotte su tre set ha infatti conquistato il titolo in assoluto più significativo per lui facendo impazzire i suoi connazionali e concittadini sugli spalti.

Nei tornei di Marrakech, Barcellona, Madrid e Roma ha poi attraversato un naturale calo fisiologico, ma a Ginevra il cileno ha ripreso il filo del discorso. Gli ottavi a Parigi, adesso, significano due cose: i geni di nonno Jaime, di cui Nico ha eguagliato il miglior risultato al Roland Garros, hanno funzionato bene e, soprattutto, non si può più dire che Jarry sia solo un giocatore da tornei in altura.

Continua a leggere

Flash

Roland Garros, Svitolina : “Sono davvero grata per la posizione che ha preso Kasatkina”

Sensazioni amare per Kasatkina che lascia Parigi con la delusione per i fischi: “Ho solo rispettato la posizione della mia avversaria di non stringere la mano. Lasciare il campo in quel modo è stata la parte peggiore della giornata”

Pubblicato

il

Elina Svitolina - Roland Garros 2023 (foto Roberto Dell'Olivo)

Il potere delle rientranti. I quarti di finale del Roland Garros vedranno tra le contendenti al titolo due atlete al via con il ranking protetto, Anastasia Pavlyuchenkova ed Elina Svitolina. La tennista ucraina al rientro dalla maternità ha subito scaldato i motori, alternando tornei del circuito maggiore, al circuito ITF. Qualche match di rodaggio è stato sufficiente alla tennista ucraina, che prima ha conquistato il titolo a Strasburgo e ora si è lanciata ai quarti di finale dello Slam francese eliminando in due set la russa Kasatkina. Un torneo che Svitolina sta affrontando come una corsa a tappe: “Vivo il torneo partita per partita. Per me era importante ottenere la prima vittoria, poi ottenere la seconda. Ogni volta che scendo in campo, cerco di avere la migliore preparazione possibile e il giusto mindset. Poi basta solamente prendere una partita alla volta”.

Svitolina che sta raccogliendo il supporto del pubblico francese, orfano dei propri rappresentanti, eliminati precocemente sia nel tabellone maschile sia in quello femminile: “Non posso ancora rispondere alle domande in francese ma sin dalla prima partita giocata qui, le persone mi hanno incoraggiato e col passare del tempo sono diventati sempre di più. Era una cosa che non mi aspettavo. Già a Strasburgo ho potuto notare come il pubblico francese era dalla mia parte. Con Gael stiamo insieme da più di cinque, sposati da un paio. Sono solo grata che il pubblico sia lì per me, anche se in alcune partite ero sotto di un set, loro mi hanno incoraggiato dandomi la giusta spinta e la speranza per recuperare e vincere.”

Una prestazione al rientro che libera Svitolina da ogni pressione, nonostante sia stata un top 10 per diverso tempo: “Una delle cose che ho notato è che in questo momento non ho quella pressione che avevo prima. Ovviamente io personalmente mi metto sotto pressione perché voglio vincere uno slam. Questo è l’obiettivo finale per me, ma sicuramente non sento la pressione dall’esterno. Mi sento quasi come se avessi di nuovo 17 anni, una neo arrivata nel tour.”

 

Assenza per maternità che ha permesso a Svitolina di resettare la mente dalle pressioni di questo sport: “Essere un giocatore di tennis comporta molte. Hai questo bagaglio sempre con te, contenente la pressione dei media, la pressione dei tuoi connazionali, dei fan e anche dai social media. Ovviamente metti anche molta pressione su te stesso, e a volte puoi diventare troppo da sostenere. A volte giocare ogni singola settimana, stare come in una boccia per pesci tutto il tempo è molto stancante. Devi essere quasi sempre perfetto. Per me è stato positivo stare lontano dal tennis, staccare completamente. Godermi il mio tempo con la mia famiglia. Non parlare del prossimo torneo, del prossimo obiettivo, del prossimo avversario. La mia mente riposava, il mio corpo riposava. Poi, quando ho iniziato ad allenarmi a gennaio, ero estremamente motivata, come mai prima d’ora In questo periodo sto iniziando con l’esperienza che mi porto dietro e con la giusta freschezza.”

Quarto di finale che per Svitolina sarà contro la testa di serie numero 2, Aryna Sabalenka. Sfida che non cambierà nulla nella mente della tennista ucraina. “Ho giocato le ultime due partite contro tenniste russe quindi non cambierà nulla per me, sarà tutto uguale.”

Nessuna stretta di mano, ma è arrivato un cenno di intesa tra Svitolina e Kasatkina a fine match. La tennista ucraina in conferenza stampa ha speso belle parole per la tennista russa: “Sono davvero grata per la posizione che ha preso. È stata davvero una persona coraggiosa a dichiarare pubblicamente [di essere contraria alla guerra], cosa che non molti giocatori hanno fatto.

Tennista russa che tuttavia lascia Parigi con l’amaro in bocca per la reazione del pubblico. In un tweet pubblicato Kasatkina ha manifestato la sua delusione per i fischi ricevuti. Di seguito la traduzione

Lascio Parigi con una sensazione molto amara. In tutti questi giorni, dopo ogni partita che ho giocato, ho sempre apprezzato e ringraziato il pubblico per il supporto e per essere lì per i giocatori. Ma ieri sono stata fischiata solo per aver rispettato la posizione della mia avversaria di non stringere la mano. Io ed Elina abbiamo mostrato rispetto reciproco dopo una partita difficile, ma lasciare il campo in quel modo è stata la parte peggiore della giornata di ieri. Siate persone migliori, amatevi. Non diffondete l’odio. Provate a rendere questo mondo migliore. Amerò il Roland Garros qualunque cosa accada, sempre e per sempre. Ci vediamo l’anno prossimo”

Continua a leggere

Editoriali del Direttore

Roland Garros: Sonego ha più fisico di Berrettini, Sinner e Musetti, ma deve lavorare sul…fisico! Musetti non deve più giocare da junior. Il “gap” con Alcaraz

Cosa manca ai nostri migliori tennisti. Non lamentiamoci per due azzurri in ottavi. Sonego vale più del suo ranking attuale. Musetti ha problemi di crescita. Le ultime due partite da soppesare nel contesto di tutto un torneo

Pubblicato

il

Lorenzo Sonego - Roland Garros 2023 (foto Roberto Dell'Olivo)

Ci restano solo sparuti juniores. Gli altri, più che sparuti sono spariti. Nei tabelloni del grande tennis l’Italia, con le sconfitte degli ultimi due Lorenzo superstiti, non c’è più.

All’inizio del torneo pensavo – come quasi tutti, nessun pensiero particolarmente originale – che Jannik Sinner avesse più chances di chiunque dei nostri azzurri per arrivare alla seconda settimana, ma purtroppo Jannik, come già a Roma con Cerundolo (però avete visto Cerundolo?), ha sofferto con Altmaier l’eccesso di pressione che un po’ tutti, lui compreso, gli mettono addosso.

E’ ancora giovane, ha un tennis ancora incompleto, c’è ancora tanto lavoro da fare, tanti limiti da limareNel fisico, nella tecnica, nella tattica, nel mentale quando l’appuntamento è importante. Aspetterei ad emettere sentenze negative e definitive. E’ un top-ten e alla sua età non lo avevamo mai avuto. Un top-ten destinato a durare. Top 5, top 3? Vedremo. Bando a sentenze affrettate.

 

Ci vuole più equilibrio di quello che di solito manifestano molti tifosi. Non intendo commettere lo stesso errore.

Il discorso vale anche per Musetti e Sonego. Anche nel loro caso ho riscontrato giudizi affrettati, in passato e oggi. Poco equilibrati.

Se dovessi basarmi soltanto sui match di ottavi di finale, i verdetti sarebbero chiari: Sonego, neo n.40 ATP, ha giocato alla pari con Khachanov (n.10 virtuale) finchè ha avuto le energie per farlo, mentre Musetti, neo best ranking a n.17 (virtuale…), non l’ha fatto con Carlitos Alcaraz, apparso superiore sotto tutti gli aspetti, tranne che per gli errori gratuiti che sono stati pari (23)…ma con la non trascurabile differenza che il murciano ha cercato molto di più il punto, in tutti i modi – dalle smorzate quasi sempre imprendibili, ai serve&volley perfetti sia come scelta di tempo che come esecuzione – e il diverso resonto statistico sui vincenti lo sottolinea chiaramente (42 contro 17).

Le due singole partite, di Sonego come di Musetti, andrebbero soppesate nel contesto di tutto il torneo. E anche della storia dei tennisti italiani al Roland Garros.

Vero che l’appetito vien mangiando, ma fino a qualche tempo avere due italiani in contemporanea piazzati agli ottavi di finale nel “campionato del mondo sulla terra battuta” sarebbe stato considerato un successo.

E le partite di ieri non devono far dimenticare quelle dei giorni precedenti.

Sonego aveva palesato una schiacciante superiorità tecnica nei confronti di due discreti giocatori, Shelton e Humbert (giocando in trasferta), e ha ribadito contro Khachanov l’ottima dimostrazione di tennis e di carattere mostrata con Rublev (peraltro già battuto a Roma tempo addietro; ergo non un caso).

Sulle qualità tennistiche di Sonego, più che su quelle guerriere (che furono anche esse messe in dubbio quando Lorenzo perse a Torino da Goyo in Davis, salvo riscattarsi abbondantemente a Malaga 2022 l’anno dopo) parecchi in questi anni hanno continuato a dubitare.

Non Gipo Arbino, il suo coach che lo conosce meglio di chiunque e, al di là dell’affetto paterno, conosce bene anche il tennis per potersi esprimere con cognizione di causa.

E’ certamente vero che Lorenzo ha ancora una fragilità: una sorta di vera necessità “psicologica” di trovarsi in mezzo a match da… corrida, un torneo e un campo importante, tanta gente, tanto tifo, per esaltarsi e dare il meglio di sé quando è carico al punto giusto. Ecco che in questi casi, più eccezionali che ordinari, lui allora riesce a mostrare un repertorio di colpi e soluzioni tecniche tutt’altro che banali. Spesso da campione. Da top-10 e dintorni, più che da top-40. La fiducia di Gipo è quindi ben riposta.

Ha giocato una grandissima partita con Rublev e per tre set si è ripetuto con Khachanov, due top-ten che hanno giocato bene, molto bene. Entrambi. Lorenzo, che certamente aveva parlato con il suo allenatore, è stato molto lucido anche nella disamina post-sconfitta con il secondo russo, grande amico del primo.

Sonego ha fatto capire di aver accusato la stanchezza, la fatica della intensa maratona corsa due giorni prima con Rublev. Senza voler fare il …sapientone del “io sì che me ne sono accorto subito” mi era parso chiaro già a partire da metà terzo set contro Khachanov che Lorenzo era molto meno agile, meno scattante e di riflesso anche molto meno lucido.

I servizi slice esterni di Khachanov erano tremendi. Lo buttavano fuori dal campo (se e quando riusciva a rispondere) e venivano seguiti da terribili mazzate di dritto. Ma anche di rovescio Khachanov ha fatto grandi progressi. Del resto il russo è reduce da due semifinali consecutive negli ultimi due Slam. Quando “Polpo” Sonego doveva compiere i soliti recupero sul suo lato destro, quello del diritto che è abituato a lasciare un tantino più scoperto per poter girare attorno alla palla e colpire più dritti che rovesci dall’altro angolo, faticava più del solito, arrivava con maggior affanno del consueto, la spinta sul dritto era meno …spinta!

Non aveva recuperato lo sforzo. Ha quindi ragione Lorenzo quando dice che deve lavorare sul fisico, per potersi permettere in futuro anche due maratone in 48 ore. Djokovic e Nadal hanno vinto tutto quel che hanno vinto perché al di là del talento sono – erano? – due mostri anche atleticamente. Capaci di tenere la massima intensita come nella finale australiana del 2012 anche oltre le sei ore in un giorno solo. E Nadal nel 2009 – cito a memoria – vinse un Australian Open alla domenica recuperando lo sforzo di una maratona pazzesca in rimonta di poche ore prima con Verdasco. Quando qualunque altro tennista sarebbe stato moribondo.

Lo stesso Sonego riposato di venerdì contro Rublev avrebbe probabilmente vinto anche contro Khachanov, anche se questi sono discorsi teorici perché poi ogni partita fa storia a sé. Khachanov ha altre armi rispetto a Rublev – il servizio e la potenza devastante dei fondamentali soprattutto – anche se è meno agile. Resta tuttavia molto agile anche lui considerata la stazza.

Chiudo con Sonego per dire che la stanchezza si manifesta non solo nella minor rapidità e reattività, ma anche nella diversa lucidità. Avanti 4-0 nel tiebreak del terzo set ha sbagliato un dritto per lui comodo proprio per mancanza di freschezza mentale. Fosse salito sul 5-0 non avrebbe quasi certamente perso quel tiebreak. Ma forse non avrebbe poi vinto ugualmente. A meno che Khachanov, più fresco, non si fosse innervosito. Aveva perso malamente il servizio sul 5-4.

Lorenzo era stanco, se non stravolto, perché le rincorse cui lo aveva costretto Khachanov con quel bombardamento da fondocampo avevano fiaccato perfino la sua non comune resistenza. Si portava dietro la lotta con Rublev. Poca lucidità ha mostrato anche in almeno 3 o 4 occasioni in cui poteva giocare il passante da situazione di gioco favorevoli e invece, dimentico del vento, ha cercato il lob passante ad effetto. Tutti sbagliati. Tutti abbastanza inutili.

Poi, per carità, Sonego può rimpiangere di non aver inferto il colpo del probabile k.o. già nel secondo set quando ha avuto 4 pallebreak per salire 3-1 – e nessuno può sapere  come avrebbe reagito Khachanov trovandosi sotto 6-1,3-1 – mentre non può rimproverarsi nulla per il setpoint mancato nel tiebreak. Khachanov gli ha servito un missile a 199 km l’ora. Semmai quella steccata di rovescio quando era ancora avanti di un minibreak, sul 5-3. Ma, insomma, di punti su cui si può recriminare in un match di 3 ore e 3 quarti ce ne sono sempre a bizzeffe.

Lorenzo sistemi il fisico – e sì che lo ha già buono…, certo migliore di Berrettini, Sinner e Musetti tanto per esser chiari! Tuttavia non basta mai se si vuol fare strada negli Slam, quando almeno una o due partite durissime ci sono sempre – e si caverà belle soddisfazioni.

Passo all’altro Lorenzo.

E non dimentico, non sarebbe giusto farlo, quanto bene ha giocato tutte le sue altre partite, Ymer, Schevchenko, Norrie. Non solo tennis bellissimo a vedersi. Ma anche tennis efficacissimo. Puntuale. Ineccepibile sotto tutti i punti di vista.

Contro Alcaraz, invece, match da junior. Da dimenticare…senza dimenticare tuttavia anche che Alcaraz è Alcaraz. Una potenza impressionante e una flessibilità altrettanto impressionante nella capacità di alternare colpi terribilmente potenti a smorzate delicatissime. Come se invece di avere un solo braccio ne avesse due. Uno per tirare forte, un altro per accarezzare drop-shot irraggiungibili. Come pigiando un bottone. Sempre o quasi sorprendendo l’avversario. Qualsiasi avversario per quanto si è visto nelle giornate di vena. Ha battuto quattro volte su quattro Tsitsipas, mi aspetto che lo faccia per la quinta. Perché sul lato sinistro Tsitsi è troppo debole e quando colpisce i suoi topponi monomani di rovescio finisce col corpo all’indietro: una manna per chi sa giocare le smorzate con l’abilità di Carlitos.

Diversa storia potrebbe essere semmai fra Carlitos e Djokovic. Se Djokovic riuscisse a ripresentarsi in quei panni che per adesso non gli ho ancora visto reindossare.

Ma torno su Musetti. L’ho “bollato” poco sopra dicendo che ha giocato come uno junior. Sì, senza il giusto approccio mentale, senza la voglia di lottare come è invece indispensabile. Del resto lo ha ammesso lui stesso a fine match. Leggete le sue dichiarazioni.

Fin dall’inizio, quando ha cominciato con l’illusorio break, è sembrato troppo Narciso. Più intenzionato a cercare il colpo strappa-applausi, che la sostanza. Ogni volta che è stato scavalcato da un lob ha cercato impossibili tweener. Ogni volta! Senza mai l’umiltà di una difesa meno arrogante e pretenziosa.

Idem sulle rare smorzate sulle quali, partendo da così lontano, era riuscito ad arrivare. Ha sempre cercato di tirar fuori il coniglio dal cappello del mago prestigiatore.

Ingenuo. Presuntuoso. O più semplicemente – nell’occasione eh, non sto esprimendo giudizi assoluti sul personaggio Musetti, mi sto riferendo soltanto a questa singola partita e si sa che ogni partita fa storia a sé – giovane, giovanissimo.

Credo che imparerà la lezione. Il talento non si discute. Ma lui non ha bisogno di sottolinearlo a tutti i costiAnche perché il costo alla fine si chiama sconfitta. E con Alcaraz si è trattato di sconfitta pesante. Non è mai stato in partita, non ha mai dato l’impressione di poterci entrare, di poterla rovesciare. Sembrava che ci fossero due categorie di differenza.

Ci sono? Può essere, oggi come oggi. Ma non è detto che ci saranno sempre. Perfino Alcaraz ha i suoi bassi, non solo alti. Lo abbiamo visto a Roma. Quando anziché a comandare tutto, gioco e punteggio, si trova . inopinatamente per lui e per gli altri – sotto, indietro, si innervosisce, si smarrisce, può commettere errori giovanili lui pure. In fondo i 23 errori gratuiti di domenica non sono pochissimi.

Carlitos è fortissimo, in tutti i sensi, anche tatticamente. Quando decide di venire avanti, seguendo il servizio oppure in controtempo, non sbaglia quasi mai il momento, il tempo, la scelta. Indubbiamente un fenomeno. Fa paura pensare che certamente migliorerà ancora. Ma migliorerà anche Musetti che, a suo modo, ha qualcosa di straordinario anche lui. E non solo la bellezza di certe sue invenzioni. Si assottiglierà o si approfondirà il gap fra i due? Nessuno può saperlo.

Ma se la vittoria di Amburgo non era da prendere per oro colato, perché Carlitos non era ancora quel che è oggi, anche questa batosta del Roland Garros non va presa per oro colato. Il gap c’è, indubbiamente, ma non credo sia così profondo come è sembrato nell’occasione. Ad Maiora.

Continua a leggere
Advertisement
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement
Advertisement