Perché sono sempre i fratelli minori ad avere la carriera più brillante?

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Perché sono sempre i fratelli minori ad avere la carriera più brillante?

FiveThirtyEight ha cercato di spiegare uno dei fenomeni più curiosi evidenziati dalla scienza dello sport, ma non ditelo a Patrick McEnroe, Claudio Panatta, Javier Sanchez, Alvaro Fillol

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Serena e Venus Williams - US Open 2015 (photo Art Seitz)
 

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Venus è stata la prima figlia in casa Williams ad avere un forte impatto nel tennis professionistico. Ma papà Richard era da sempre sicuro che la carriera migliore l’avrebbe avuta la sua quinta (ed ultima in ordine di età) figlia, Serena, più giovane di Venus di quindici mesi. Ha avuto ragione; se consideriamo la pur magnifica carriera di Venus, condita da sette Slam, questa si ridimensiona al confronto dei successi conquistati dalla sorellina Serena, che di Slam ne ha portati a casa ben ventitré, guadagnandosi dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori la reputazione di miglior giocatrice di tutti i tempi (qualcuno si spinge oltre, mettendola davanti anche ai colleghi uomini nella classifica all-time).

Questa situazione verificatasi nella famiglia Williams, dove il fratello minore è quello ad avere più successo, sembra quasi una regola nel mondo dello sport: viene definita “l’effetto del fratello minore”, una delle scoperte più particolari nel mondo della scienza applicata agli sport: secondo questa teoria, i fratelli minori hanno molte più possibilità di diventare degli sportivi d’élite rispetto ai fratelli più grandi, come documentato nel libro “The Best: How elite athletes are made”. L’analisi è stata condotta su 33 diversi sport tra Canada e Australia, prendendo come campioni gli atleti al top (cioè quelli che avevano disputato tornei a livello internazionale) ed atleti un gradino sotto quel livello, che avevano quindi raggiunto lo stesso livello da juniores o si erano fermati a quello nazionale da professionisti. Il dato più evidente è che la maggior parte degli atleti elitari sono i figli minori in famiglia.

Entrambi i gruppi analizzati avevano all’incirca lo stesso numero di fratelli; la differenza constava nel fatto che gli atleti al top avevano 1.04 fratelli maggiori in media; gli atleti meno performanti “solo” 0.61. La percentuale cresce quando prendiamo in considerazione le atlete donne: nel 2014, uno studio sulle atlete in lotta per un posto nella nazionale di calcio degli Stati Uniti rivelò come i tre quarti delle giocatrici avesse un fratello maggiore; solo il 20% aveva fratelli minori, il restante 5% era figlio unico. Le stelle di quella nazionale, Megan Rapinoe, Alex Morgan e Mia Hamm, erano tra coloro che da bambine giocavano a calcio con i loro fratelli maggiori.

Nel caso in cui entrambi i fratelli riescano ad entrare nel professionismo, è sempre quello minore che tende ad avere un successo maggiore. Nel 2010, Frank Sulloway e Richard Zweigenhaft analizzarono ben 700 coppie di fratelli che avevano giocato nella Major League Baseball, ed evidenziarono come i fratelli minori della coppia avessero più del doppio delle possibilità di diventare migliori battitori, e, più in generale, potessero aspirare ad una carriera di due anni e mezzo in media più lunga, per un totale di 226 match giocati in più.

La spiegazione di questa curiosa “regola” potremmo rintracciarla nello sforzo che i fratelli minori devono compiere per provare a raggiungere lo standard in famiglia imposto dal fratello più grande. Un esempio classico, Michael Jordan: il più piccolo di tre fratelli nonché quarto di cinque figli totali nella famiglia Jordan. Larry Jordan, di soli 11 mesi più grande di Michael, veniva considerato un cestista migliore e batteva regolarmente i fratelli nel giardino di casa. “Non credo che sarei arrivato a questo livello senza il confronto continuo con i miei fratelli”, Michael ha raccontato in “The last dance”. “Quando arrivi a scontrarti con le persone che ami, la competizione per me si accende ancora di più. Mi sembrava di competere con mio fratello per guadagnarmi le attenzioni di nostro padre… Volevo la sua approvazione. Per questo motivo la mia determinazione cresceva, perché volevo diventare come ed anche meglio di mio fratello”.

Una dinamica simile la possiamo ritrovare nella famiglia scozzese dei Murray, dove il fratello maggiore Jamie è diventato uno dei migliori doppisti al mondo nel tennis, mentre il più giovane dei due ha vinto tre titoli del Grande Slam nel singolare. “Credo che avere un fratello maggiore abbia aiutato Andy a diventare molto competitivo”, racconta sua madre Judy in “The Best”. “Il fatto di avere un fratello più grande di lui e più forte fisicamente durante la sua gioventù lo ha certamente portato ad essere lo sportivo ultra-competitivo che tutti conoscete oggi. L’unica cosa che voleva era battere il fratello Jamie”.

La competizione con un fratello maggiore comporta anche uno sviluppo più rapido delle altre abilità. Gli atleti professionisti imparano di più nelle sconfitte, perché le situazioni di difficoltà che portano a quel risultato fungono da feedback, così che possano individuare le aree dove si è fallito ed apportare i miglioramenti richiesti. Mentre la figura di una persona più grande può portare inconsciamente ad un rilassamento, potendo contare su un vantaggio fisico e di esperienza, la posizione di svantaggio del fratello minore porta quest’ultimo a dover cercare altre vie per compensare il gap, e quindi possiamo verificare miglioramenti nelle aree tattiche (capacità di prendere le decisioni giuste in campo, provare a sfruttare i punti deboli dell’avversario) e tecniche per tenere il passo e non restare indietro.

I suddetti miglioramenti daranno poi un grande vantaggio quando il divario atletico sarà colmato. Volontariamente o meno, inoltre, i fratelli maggiori possono trasmettere consigli importanti. “La strategia perfetta per un fratello minore è cercare di scegliere lo sport in cui il proprio fratello sia già affermato, in modo da poter beneficiare di una guida importante nel futuro, afferma Sulloway.

Un altro indicatore importante in questi studi è la quantità di tempo che gli (aspiranti) atleti hanno trascorso giocando in un ambiente informale. Il risultato è stato ottenuto comparando due gruppi diversi di giovani calciatori: il primo era composto da ragazzi appartenenti alle squadre giovanili della Premier League (a detta di molti la più competitiva lega di calcio al mondo), il secondo da altri calciatori che erano stati invece tagliati da queste ultime perché non avevano raggiunto il livello che ci si aspettava da loro. Ebbene, a parità di ore trascorse nelle strutture di allenamento, i giocatori che ancora facevano parte delle giovanili di queste squadre avevano in media speso il doppio del loro tempo, in passato, giocando in un ambiente informale (come ad esempio le sfide in famiglia o nei campetti con gli amici) rispetto all’altro gruppo.

La NBA ha confermato, tramite propri studi, che un ambiente informale porta i ragazzini a confrontarsi con più variabili, quali il giocare in più ruoli e posizioni o in squadre con un numero sempre diverso di componenti, comportando una maggiore e più rapida capacità di adattamento alle situazioni diverse che si verificano in campo. Questi nuovi dati si applicano anche alla “teoria del fratello minore”: va da sé che chi ha un fratello maggiore avrà da subito la possibilità di confrontarsi con un “avversario” migliore rispetto a chi non ha fratelli o deve aspettare che questi crescano.

Patrick e John McEnroe durante un match di doppio (foto Art Seitz)

Sono anche i genitori ad avere un ruolo spesso decisivo in questa teoria, perché sono soliti trattare i figli più piccoli in modo diverso, con un fare spesso più indulgente: i numeri ci dicono che questi vengono spinti a praticare anche sport da contatto pericolosi per una percentuale più alta del 40% rispetto ai fratelli maggiori, consentendo loro in tal modo di avere più possibilità di riuscire a sfondare nel professionismo. Il carattere gioca un ruolo fondamentale. Sappiamo che di solito i più piccoli in famiglia sono anche quelli più intraprendenti: nella MLB, è stato dimostrato da Sulloway e Zweigenhaft che proprio i fratelli minori hanno 10,6 volte più probabilità di effettuare un tentativo di rubare una base, riuscendoci con successo per 3,2 volte in più rispetto ai fratelli più grandi. Sono inoltre di media i più colpiti dai lanci di pallina, suggerendo una minore paura dello scontro, forse proprio perché temprati durante gli scontri nel giardino di casa in gioventù.

“Nel caso in cui abbiano due fratelli professionisti nello stesso sport, i genitori avranno una familiarità maggiore con l’ambiente”, aggiunge Melissa Hopwood, co-autrice degli studi condotti sugli atleti canadesi e australiani. Già conoscono i migliori coach, l’approccio migliore, per cui sanno come muoversi senza commettere errori dovuti all’inesperienza”.I giovani inoltre già sanno cosa non ha funzionato nella carriera del proprio fratello maggiore, potendo regolarsi di conseguenza.

È il caso della famosa famiglia degli Ingebrigtsen, al top per quanto riguarda le gare di mezzofondo nell’atletica. I tre fratelli norvegesi si sono portati a casa l’oro europeo nei 1.500 metri. Jakob, il più piccolo dei tre, è però l’unico ad aver vinto l’oro anche nella gara dei 5.000 metri; nel 2018, a soli 17 anni, fece la doppietta 1.500 e 5.000 metri. Sia Filip che Jakob hanno imparato dai miei errori, dichiarò infatti Henrik, il più grande dei tre, a margine della vittoria a Berlino di Jakob. “Ed io ne ho fatti tanti! Ogni anno cerchiamo di stilare un programma di allenamenti e un calendario di corse ottimali, ma è sempre Jakob ad avere quello perfetto”. E proprio Jakob potrebbe essere definito come l’esempio più limpido della teoria secondo la quale sono sempre i fratelli minori ad avere la migliore carriera sportiva in famiglia.

Traduzione a cura di Antonio Flagiello

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