Ancora sull’Australian Open

Al femminile

Ancora sull’Australian Open

Da Jennifer Brady ad Ashleigh Barty, da Karolina Muchova a Sofia Kenin: conferme, delusioni e sorprese nello Slam preceduto dalle quarantene differenti

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Ashleigh Barty e Karolina Muchova - Australian Open 2021
 

Otto Slam degli ultimi nove vinti da giocatrici giovani. Ne parlavo la scorsa settimana: a parte il successo di Simona Halep a Wimbledon 2019, da quando Osaka ha conquistato lo US Open 2018, nei Major hanno vinto solo giocatrici al massimo di 23 anni. Nel tennis femminile i titoli importanti seguono la linea verde.

Ma oggi non voglio tornare su questo tema, comunque significativo, quanto piuttosto sottolineare che all’ultimo Australian Open qualcosa di diverso è accaduto: in finale ha vinto la giocatrice nettamente favorita. E questa è una novità. Perché nei Major precedenti il successo delle tenniste più giovani aveva quasi sempre significato anche la prevalenza di giocatrici meno titolate nei confronti di avversarie dai palmarès più ricchi: Osaka su Serena a New York 2018, poi Osaka su Kvitova a Melbourne, Halep su Serena a Wimbledon, Andreescu su Serena a New York nel 2019; e nel 2020 Kenin su Muguruza, Osaka su Azarenka e Swiatek su Kenin.

L’unico precedente non proprio in linea era stata la vittoria di Barty su Vondrousova al Roland Garros 2019, anche se entrambe erano comunque esordienti a livello di finale Slam. Invece questa volta Osaka era data molto favorita contro Brady, per valori tecnici ma anche per curriculum; e ha mantenuto le aspettative. E dunque, oltre ai quattro di Major conquistati, questo costituisce un altro merito di Naomi.

Scendere in campo senza dover per forza vincere, infatti, era stato un fattore probabilmente decisivo per tutte le recenti avversarie di Serena; mentre Osaka a Melbourne ha dimostrato di saper reggere anche il peso dei favori del pronostico. Durante il torneo ha gestito le diverse pressioni che producono sia avversarie di “lignaggio” inferiore, come Brady in finale, sia nobilissime, anche se forse un po’ decadute, come WIlliams in semifinale.

Con l’accumularsi delle vittorie, Osaka ha quindi definitivamente cambiato status e sul cemento è diventata la favorita numero uno. A proposito di superfici: non so in quanti l’hanno notato, ma c’è stata una notevole continuità tecnica negli ultimi Slam disputati sul duro. Non solo perché la vincitrice è risultata la stessa, ma perché abbiamo avuto tre semifinaliste su quattro sempre presenti: Osaka, Brady e Serena Williams.

A cambiare è stata una sola giocatrice. A New York c’era Azarenka, a Melbourne abbiamo avuto Muchova. A parte il fatto che, per via del sorteggio, non sarebbe stato possibile riavere le stesse quattro protagoniste, ricordo che allo US Open l’unica in grado di togliere un set ad Azarenka prima che Vika approdasse in semifinale era stata proprio Muchova (5-7, 6-1, 6-4). Da questi dati si può dedurre che la maggiore sorpresa tecnica del torneo sia stata la giocatrice ceca. Ma su di lei torneremo più avanti.

Le diverse quarantene
Non è stato uno Slam del tutto “normale”. Non solo perché il pubblico è stato presente a fasi alterne, sostituito in alcune giornate da applausi preregistrati (che non sempre partivano a tempo). Non è stato normale soprattutto per la fase di avvicinamento, che ha comportato una quarantena per chi proveniva da fuori Australia. E la quarantena non è stata uguale per tutte; in sostanza ci siamo ritrovati con partecipanti in quattro diverse condizioni.

Le giocatrici di casa, già residenti in Australia, non avevano bisogno di rispettare particolari vincoli, e potevano muoversi liberamente. Poi c’era il secondo gruppo, molto ristretto, che ha giocato l’esibizione di Adelaide (oltre a Barty, composto da Serena e Venus Williams, Osaka, Halep e Begu): da quanto si è raccontato, per loro le condizioni erano migliori rispetto a quelle della maggior parte delle giocatrici, in quarantena a Melbourne. Le giocatrici di Melbourne avevano la possibilità di uscire dalla stanza di albergo solo per andare ai campi ad allenarsi, con al massimo due persone al seguito. Infine le più sfortunate, entrate in contatto con positivi durante i voli di trasferimento, che non hanno mai potuto lasciare la camera di albergo prima del torneo, e quindi nemmeno allenarsi sul campo.

A conti fatti, in finale sono arrivate Osaka (da Adelaide) e Brady (reduce dalla quarantena più dura). Va però detto che Jennifer Brady ha costituito una eccezione: di tutte le tenniste in quarantena stretta, nessun’altra è approdata al quarto turno. In sostanza dalla quarantena stretta proveniva una sola giocatrice su 16 ancora in gara nella seconda settimana. Tenuto conto che in quarantena stretta erano in 26, ciascuno può trarre le proprie valutazioni: 26 su 128 al via, 1 su 16 dopo la prima settimana.

Naturalmente un solo evento non fornisce una base statistica certa, perché i fattori che entrano in gioco sono tanti, e concentrarsi su un solo aspetto può risultare limitativo. Per questo rimangono discorsi pieni di incognite. Preferisco non integrare il tema della quarantena con quello delle teste di serie e della classifica, perché a mio avviso il nuovo calcolo del ranking non restituisce una fotografia tecnica del tutto attendibile, e quindi valutazioni più approfondite risultano ancora più complesse. Come cercherò di spiegare a pagina 2.

a pagina 2: Calcolo del ranking e teste di serie – Jennifer Brady

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