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Al femminile

Ancora sull’Australian Open

Da Jennifer Brady ad Ashleigh Barty, da Karolina Muchova a Sofia Kenin: conferme, delusioni e sorprese nello Slam preceduto dalle quarantene differenti

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Ashleigh Barty e Karolina Muchova - Australian Open 2021
 

Ashleigh Barty e il Medical Time Out
Ho parlato sopra di ranking ufficioso, basato sui punti conquistati nel solo 2020. Va detto però che sarebbe eccessivo considerarlo come una alternativa valida al 100% rispetto a quello ufficiale, perché non abbiamo la certezza che le giocatrici al momento di scegliere i propri impegni si sarebbero comportate allo stesso modo di fronte a regole diverse. Per esempio Ashleigh Barty è rimasta numero 1 del mondo senza affrontare partite ufficiale da febbraio 2020 sino a gennaio 2021. Avrebbe fatto lo stesso se non avesse avuto la tutela delle nuove regole? Non possiamo saperlo: magari se le norme non fossero cambiate, avrebbe giocato altri match per rimanere ai vertici della classifica.

Dico questo perché Barty era una delle tenniste maggiormente sotto osservazione alla ripresa delle competizioni di quest’anno. Come avrebbe reso dopo undici mesi di stop? L’inizio è stato molto promettente: ha vinto uno dei tre tornei di preparazione, lo Yarra Valley Classic, anche se in parte limitato nella credibilità tecnica nel momento in cui si è deciso di abolire il terzo set a favore del super tiebreak.

In ogni caso il successo era apparso come una ulteriore legittimazione del suo numero 1 mondiale; se a questo aggiungiamo che aveva potuto evitare qualsiasi forma di quarantena (non provenendo da paesi stranieri), e che avrebbe avuto l’appoggio del pubblico, appariva del tutto logico considerarla tra le prime favorite. Le cose non sono andate però per il verso giusto: sconfitta nei quarti da Karolina Muchova.

L’eliminazione di Barty ha stupito perché, dopo quattro partite vinte senza lasciare set alle avversarie, è bastato un piccolo contrattempo perché il meccanismo del suo tennis si inceppasse, calando repentinamente di rendimento. Per la verità un primo, leggero dubbio, lo aveva suscitato il match contro Daria Gavrilova: in vantaggio per 6-1 5-2, si era fatta recuperare sino a doversi spingere al tie break. E poi anche contro Shelby Rogers: aveva perso per la prima volta la battuta al momento di servire per il match, sul 6-3, 5-1, prima di vincere per 6-3, 6-4.

Queste minime fragilità si sono moltiplicate esponenzialmente contro Karolina Muchova. Anche in questo caso Barty pareva totalmente in controllo: avanti 6-1 2-0, è andata incontro a un rovescio totale dopo che la sua avversaria aveva chiesto un Medical Time Out. Alla ripresa del match, Ashleigh ha subito un parziale di 3 game a 12, finendo quindi per chiudere 1-6, 6-3, 6-2, e per essere eliminata anzitempo. Sicuramente la Muchova della seconda parte di match giocava meglio, ma non al punto di giustificare i pochissimi game raccolti da Barty; la qualità del tennis di Ashleigh è scesa drasticamente, e colpi che normalmente eseguiva quasi di routine, sono diventati fragili e incerti.

La sconfitta contro Muchova solleva due argomenti differenti. Il primo è quanto pesi a Barty giocare in casa, da favorita. In particolare nelle due ultime stagioni, nelle quali affrontava lo Slam da numero 1 del mondo. In entrambe le occasioni è stata eliminata contro pronostico (nel 2020 per mano di Sofia Kenin) con modalità che fanno tornare in mente le controprestazioni di Samantha Stosur.
Stosur è stata a lungo numero 1 di Australia, capace di arrivare in finale al Roland Garros, di vincere lo US Open, ma è sempre stata sopraffatta dalla responsabilità quando affrontava il Major domestico: su diciannove partecipazioni in singolare, solo due volte è approdata al quarto turno, peraltro uscendo sconfitta nettamente.

Il secondo argomento è quanto possa incidere su un match il Medical Time Out, a maggior ragione nel caso di problemi fisici non del tutto evidenti. Perché Muchova non lo ha richiesto per un infortunio di gioco, ma per un più generico malessere che si manifestava in capogiri e, probabilmente, cali di pressione.

Mi è tornato in mente quanto accaduto nel 2013 proprio nello Slam australiano, quando si era molto discusso in occasione della partita di semifinale tra Vika Azarenka e Sloane Stephens. Allora Azarenka, campionessa in carica del 2012, dopo aver condotto abbastanza tranquillamente la partita, era andata in difficoltà sul 6-3, 5-3 a proprio favore. Al momento di servire per il match, aveva mancato 5 match point, aveva perso la battuta e rimesso in corsa un’avversaria che sembrava aver rovesciato l’inerzia del confronto. Va ricordato che la allora giovanissima Stephens aveva eliminato nel turno precedente addirittura Serena Williams con modalità simili (3-6, 7-5, 6-4). Dunque non sembrava affatto impossibile un nuovo upset a distanza di poche ore, anche contro la numero 1 del mondo (perché tale era allora Azarenka).

In quel momento di difficoltà, Vika aveva chiesto un MTO, per una causa poco chiara: dolore alla schiena? Problemi di respirazione? Attacco di panico? Le dichiarazioni di Azarenka non avevano del tutto cancellato i dubbi:

Fatto sta che il Medical Time Out aveva finito per frenare il recupero della giovane Sloane. Pausa di 10 minuti, e al ritorno in campo Azarenka era subito riuscita a strappare la battuta a Stephens, chiudendo con un apparentemente semplice 6-3, 6-4. Dopo quel match ci furono parecchie polemiche. Si parlò di MTO da riformare, di spirito delle regola non rispettato, ma a conti fatti dopo molti anni siamo sempre nella stessa situazione.

Non voglio accusare Muchova di nulla, perché in passato mai l’ho vista chiamare MTO strategici (come a volte oggi accade); e del resto con molta sportività non l’ha fatto neppure la stessa Barty. Resta però il fatto di una partita segnata in modo profondo da fattori non propriamente legati al campo.

a pagina 4: Karolina Muchova e Sofia Kenin

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