Ancora sull’Australian Open - Pagina 2 di 4

Al femminile

Ancora sull’Australian Open

Da Jennifer Brady ad Ashleigh Barty, da Karolina Muchova a Sofia Kenin: conferme, delusioni e sorprese nello Slam preceduto dalle quarantene differenti

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Ashleigh Barty e Karolina Muchova - Australian Open 2021
 

Calcolo del ranking e teste di serie
Devo confessare che quando, a causa della pandemia, è stato annunciato il nuovo criterio di calcolo del ranking, insieme ad altre misure di emergenza, non l’avevo considerato un indirizzo del tutto sbagliato. Con il senno di poi, invece, ho cambiato idea: oggi ho la convinzione che il nuovo calcolo del ranking abbia avuto un impatto più negativo di quanto immaginassi.

La questione della classifica contiene in sé due aspetti molto diversi. Il ranking è un mezzo o un fine? In teoria il compito originario del ranking, il motivo per cui è stato concepito, sarebbe quello di determinare le teste di serie, e stabilire chi ha diritto di essere ammesso o no ai tornei. Un mezzo, un puro strumento. Ma in realtà, con il tempo, il ranking ha finito per assumere anche aspetti di prestigio: confronti storici, record, ma anche contratti con gli sponsor; tutti fattori che contano, e molto, anche al di fuori dei tabelloni. Per questo è diventato anche un fine, un obiettivo per tutte le giocatrici. A cominciare dal numero 1, naturalmente. Chissà, forse se si fosse trattato soltanto di una pura questione strumentale, di calcolo delle teste di serie, non si sarebbe cambiato il criterio. E invece…

Veniamo all’Australian Open 2021. Partendo dal sorteggio del tabellone, ho preparato uno schema che illustra la distribuzione nel draw delle teste di serie ufficiali, confrontate con la posizione in classifica calcolata secondo il metodo classico (cioè con i soli punti conquistati nel 2020) che definirò “ufficioso”. In giallo le teste di serie ufficiali, in verde la classifica ufficiosa. In grassetto le giocatrici reduci dalla quarantena stretta. Ecco le differenze:

Ragioniamo sulla classifica ufficiosa. La parte alta del tabellone, dalla quale è emersa Jennifer Brady, risulta un po’ meno qualitativa, con solo tre Top 10 al via, contro le sette nella parte bassa. Una volta uscita Azarenka (numero 4, eliminata all’esordio anche per problemi fisici) e dopo la controprestazione di Kenin (numero 1), le due giocatrici con la classifica più alta erano Mertens (numero 9) e Brady (numero 11). Quindi non è stata una grande sorpresa tecnica che proprio Brady sia approdata in finale. Questo perché la sua testa di serie ufficiale, numero 22, era un valore parecchio sottostimato, a fronte di altre giocatrici sovrastimate.

Dalla parte bassa del tabellone è arrivata in finale la giocatrice con la classifica ufficiosa più alta: la numero 2 Osaka. Ma lungo il cammino ci sono state alcune sperequazioni. Per esempio l’ultimo settore, con al via tre Top 10: Halep, Swiatek, Rybakina. Che poi Rybakina (reduce dalla quarantena stretta) sia uscita in anticipo, non sana il fatto che Halep e Swiatek si siano incontrate, a mio avviso, troppo presto; così come Osaka e Muguruza.

Jennifer Brady
Negli ultimi due Slam sul cemento, Brady ha raggiunto una semifinale e una finale, e in entrambe le occasioni l’ha fermata solo la futura campionessa Naomi Osaka. A seconda di come valutiamo i due tornei, US Open e Australian Open, possiamo trarre conclusioni leggermente differenti. Dico subito che secondo me Jennifer aveva giocato meglio a New York. Però sul piatto della bilancia del torneo australiano pesano non solo il turno in più raggiunto, ma anche il fatto che Brady sia riuscita a fare strada malgrado la quarantena stretta: come detto, unica di 26 giocatrici in grado non soltanto di raggiungere la seconda settimana, ma anche di arrivare al match finale.

Si conoscono le caratteristiche del suo tennis: un bel servizio potente e capace anche di variazioni più lavorate, incluso un ottimo kick, e poi un gran dritto in topspin che spesso fa la differenza nei colpi al rimbalzo. Questi due punti di forza così preponderanti la facilitano anche nell’indirizzare le scelte tattiche, perché è evidente che le conviene cercare di colpire il più possibile con il dritto, la sua arma più efficace durante scambio. Da quando è migliorata nella mobilità, Brady riesce a spostarsi nell’angolo sinistro e colpire con il dritto anomalo con più frequenza, e probabilmente questo l’ha aiutata a compiere un significativo salto di qualità.

Oggi è diventata una giocatrice complicata da affrontare, che oltre tutto non si fa prendere dalla paura al momento di raccogliere i risultati. Rispetto all’ultimo impegno australiano, si può solo dire che manca la verifica di una vittoria contro una Top 10: a Malbourne infatti, ha affrontato un tabellone non proibitivo. Queste le sei avversarie sconfitte: Bolsova, Brengle, Juvan, Vekic, Pegula, Muchova. Ma non le si può fare una colpa se il sorteggio o le eliminazioni precoci non le hanno proposto un percorso più complesso, almeno sulla carta.

Ricordo comunque che, all’inizio del 2020, Jennifer aveva sconfitto la numero 1 Barty a Brisbane, e la numero 5 Svitolina a Dubai. A 26 anni ancora da compiere (è nata nell’aprile del 1995) Brady ha tempo per sviluppare ulteriormente la carriera. Potremo così verificarla in futuro, e capire meglio quale potrà essere la sua posizione nelle gerarchie del circuito WTA.

a pagina 3: Ashleigh Barty e il Medical Time Out

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