Djokovic perde bronzo e nervi (La Nazione). Djokovic neanche il bronzo. Bencic trionfa nel femminile (Bertellino). Torino ha già vinto la sfida. Atp Finals da tutto esaurito (Bertellino). «Io e Panatta, inserparabili gemelli diversi» (Salvadori)

Rassegna stampa

Djokovic perde bronzo e nervi (La Nazione). Djokovic neanche il bronzo. Bencic trionfa nel femminile (Bertellino). Torino ha già vinto la sfida. Atp Finals da tutto esaurito (Bertellino). «Io e Panatta, inserparabili gemelli diversi» (Salvadori)

La rassegna stampa di domenica 1 agosto 2021

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Djokovic perde bronzo e nervi (La Nazione)

Alla fine Novak Djokovic ha perso anche la finale per il bronzo e il controllo di se stesso. Dopo aver perso la semifinale contro il tedesco Alexander Zverev, il serbo è stato battuto anche nella finale per il bronzo dallo spagnolo Pablo Carreno Busta con il punteggio di 6-4, 6-7 (6-8), 6-3, dopo aver mostrato il lato oscuro della sua forza in un momento di rabbia durante il match. A un certo punto il campione serbo ha perso la calma e ha lanciato la racchetta letteralmente sugli spalti, deserti causa emergenza covid, poi l’ha spaccata contro un paletto. In un torneo del circuito professionistico un simile comportamento sarebbe stato punito severamente. Alla fine Djokovic ha anche dato forfait nella finalina del doppio misto per un problema alla spalla.

Djokovic neanche il bronzo. Bencic trionfa nel femminile (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Dopo la sconfitta nella semifinale del torneo olimpico Novak Djokovic ha mancato anche l’appuntamento con il bronzo, andato allo spagnolo Pablo Carreno Busta al termine di una lotta serrata (6-4 6-7 6-3). Da una parte non il miglior Djokovic, che ha lamentato anche un problema alla spalla in ragione del quale non è poi sceso in campo nella “finalina” del doppio misto, dall’altra uno spagnolo perfetto nel ritmo e nelle motivazioni. «Sono molto rammaricato per non aver vinto alcuna medaglia per il mio Paese – ha detto il n° 1 del mondo – e non aver portato a termine l’incarico che avevo. Il mio livello di tennis è calato, sia mentalmente che fisicamente, ma non rimpiango di essere venuto all’Olimpiade. Credo che nella vita tutto accada per un motivo. Ho patito in carriera sconfitte molto dolorose, comprese quelle olimpiche e so che in qualche modo mi hanno reso più forte». Chi invece si ricorderà a lungo di Tokyo 2020 è la svizzera Belinda Bencac, n° 12 WTA, che ha conquistato l’oro superando in finale e in tre set la ceca Marketa Vondrousova. Match dagli alti contenuti emotivi gestito meglio dalla svizzera, al successo più importante in carriera, che ha servito con buone percentuali, ha risposto con più efficacia ed è stata più propositiva.

Torino ha già vinto la sfida. Atp Finals da tutto esaurito (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Torino piace e l’evento che andrà ad ospitare per il primo dei cinque anni di assegnazione dal 14 al 21 novembre, le Nitto ATP Finals, lo dimostra. La sensazione è proprio questa, ovvero che la città sabauda attragga per le sue valenze sportive ma anche per la sua storia e per la sua capacità di accogliere, già salite alla ribalta mondiale in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006 che sotto questo punto di vista hanno rappresentato una svolta epocale. I dati legati al più importante torneo del circuito che chiuderà la stagione in corso e quelle a venire sono incoraggianti, soprattutto quelli della prevendita. Quando mancano ancora 104 giorni all’inizio, siamo già al “sold out”: un successo che forse sta andando al di là delle più rosee aspettative, ma conferma quanto ci sia voglia di vivere l’appuntamento, in città e nel mondo (oltre il 20% delle richieste arriva dall’estero e in un momento di pandemia come quello che stiamo attraversando non è un particolare da poco). ll prologo delle Nitto ATP Finals sarà la settimana prima, questa volta a Milano con le “Intesa Sanpaolo Next Gen ATP Finals”. In gara i migliori otto under 21 del mondo. Il campione uscente è Jannik Sinner, che avrebbe ancora diritto di essere della partita, al pari di Lorenzo Musetti. Sinner è al contempo in corsa (13°) nella Race to Turin per essere del grande evento, al quale al momento è qualificato Matteo Berrettini, n.3 della classifica annuale alle spalle di Novak Djokovic e Stefanos Tsitsipas. Seguono Rublev, Zverev, Medvedev, Nadal, con Hubert Huricacz a chiudere la lista.

«Io e Panatta, inserparabili gemelli diversi. Mi indicava le ragazze in tribuna (e ci usciva)» (Enrico Salvadori, La Nazione)

Nel nostro immaginario Paolo Bertolucci non ha quei 70 anni che compie martedì prossimo. Per noi è l’eterno ragazzo pieno di classe e di qualche chilo in più, che ci ha fatto sognare nella Coppa Davis vinta tra mille polemiche non sportive nel 1976 e che regalava giocate sopraffine su tutti i campi di tennis del mondo. Panatta-Bertolucci: l’uno il completamento dell’altro. Quell’alchimia fatta di amicizia ma anche di solenni litigate, di un rapporto che ha sempre resistito fuori dal campo. Nato nel 1962 quando Paolo (di un anno più giovane) e Adriano incrociano per la prima volta la loro strada in un torneo giovanile a Cesenatico. L’amicizia vera tra Paolo e Adriano nascerà due anni dopo nel centro federale a Formia diretto da Mario Belardinelli, il loro secondo padre e che fu il maestro di tennis del Duce a villa Torlonia. Un college dove divideranno la camera oltre che i sogni. Come è stato, Paolo, il suo rapporto con Panatta? «Abbiamo litigato un sacco di volte dentro e fuori dal campo ma è una persona talmente buona che non puoi non volergli bene. L’amicizia si è cementata dalle nostre reciproche debolezze. Ci siamo sorretti a vicenda: lui era troppo bello, io troppo normale. Siamo diversi anche di estrazione perché lui proviene da una famiglia socialista, io sono di fede liberale. Mi piaceva Malagodi. Uno schema che si rifletteva anche in campo: io giocavo a destra, lui a sinistra».

Compagni di doppio per oltre un decennio, testimoni di nozze l’uno dell’altro. II destino vi ha accomunati anche nella destinazione degli ultimi anni visto che vi ha portati in Veneto: Paolo a Verona, Adriano a Treviso.

Ci siamo completati e abbiamo avuto soddisfazioni che ci hanno realizzato sia nello sport che fuori del campo. Una volta a Londra nel presentarci dissero che Adriano era uno degli uomini più affascinanti d’Europa e io ero quello più basso. Nel nostro tipo di giocare io ero quello che preparava e lui piazzava il punto vincente. Che non era solo la sua celebrata “veronica” ma anche il colpo del ciuffo. Prima di battere si spostava i capelli con la mano e le donne impazzivano. Una volta, in Spagna, stavamo giocando e lui mi dice: “La vedi quella in tribuna, stasera esce con me”. lo gli rispondo di concentrarsi sul gioco e cercare di vincere. La sera la signora, che era sposata con figli, lo raggiunse in albergo. II problema è che arrivò il marito e ci volle tutta l’abilità di Adriano per districarsi senza conseguenze da quella situazione. Anche Bjorn Borg piaceva molto alle donne, ma lo costringemmo a rifare il guardaroba perché all’inizio girava con jeans, maglietta e degli improponibili zoccoli svedesi.

Torniamo al tennis. Anche la decisione di giocare il doppio decisivo della Davis vinta nel 1976 a Santiago con la maglietta rossa per fare un dispetto al dittatore cileno Pinochet è nata da un’idea di Adriano che l’ha convinto.

lo all’inizio credevo che fosse un rischio troppo grosso. C’era un clima molto pesante ma volevamo dare un segnale forte dopo aver deciso giustamente di giocare. Fu il coronamento di un grande cammino. Noi due, con Barazzutti e Zugarelli che completavano la squadra, eravamo come i Beatles. Eravamo così diversi eppure creammo un gruppo granitico nel tennis, che è uno sport di forte individualismo.

Nei settant’anni di Paolo Bertolucci un ruolo importante lo gioca anche il cibo. Oltre che ‘Braccio d’oro’ la chiamavano ‘Pasta Kid’.

II nomignolo me l’ha affibbiato Bud Collins, giornalista molto popolare del Boston Globe. Mi piacque, mi specchiavo in quella definizione e infatti l’ho scelto come titolo della mia autobiografia. A quel tempo ero davvero goloso e spesso capitava che per giorni bevevo solo dei litri di spremuta di pompelmo per perdere chili, per cui ho sofferto la fame.

Paolo Bertolucci, che è arrivato a toccare il dodicesimo posto nella classifica mondiale nel 1983, a 32 anni, decide di smettere. Perché?

Incisero due fattori: il dolore e la noia. Avevo ormai la schiena e le gambe a pezzi. Ero stufo di preparare borse e di andare a giocare in giro per il mondo. II tennis romantico era ormai al tramonto e un’esistenza così era davvero pesante. La decisione la presi nel 1982 e programmai l’ultimo anno in piena spensieratezza. Abbinando oltre al gioco anche la buona cucina. Un viaggio in cui toccai tutta l’Italia per giocare e gustare le prelibatezze dei migliori ristoranti. Ingrassai oltre undici chili. Dal giorno in cui ho detto stop non ho più giocato.

Qualcuno ha ipotizzato che nella sua decisione abbia inciso l’indolenza.

Lo smentisco categoricamente. lo ho sempre dato tutto e avevo due punti di forza che erano il rovescio e la velocità dei piedi nei primi tre metri. Non ero un giocatore da lunga distanza, la mia autonomia atletica era abbastanza limitata per questo mi sono espresso meglio nel doppio.

Che cosa si attende di regalo per i suoi settant’anni?

Un bel regalo me lo hanno già fatto Matteo Berrettini e tutti i tennisti della nouvelle vague italiana che mi hanno fatto tornare indietro nel tempo e rivivere sensazioni che avevo dimenticato. Ho la fortuna di raccontare da tempo le imprese di Federer, Djokovic, Nadal ma quando ci sono nel mezzo gli azzurri è un’altra cosa. L’emozione di Berrettini in finale a Wimbledon è stata fantastica. Nelle ore della vigilia ho riavvolto il nastro, sono tornato alle attese prima delle nostre grandi partite. Ho avuto quella scarica di adrenalina che avevo quando giocavo e che ti fa restare sempre giovane.

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