Le università americane sono diventate una grande opportunità per i tennisti del Maghreb e del Medioriente

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Le università americane sono diventate una grande opportunità per i tennisti del Maghreb e del Medioriente

Riproponiamo un pezzo del 2019 del Guardian, che racconta come gli USA siano un canale fondamentale verso il professionismo per giocatori provenienti da Paesi privi di un movimento solido

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Skander Mansouri
 

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C’è stato un periodo in cui scegliere di giocare a tennis nelle università americane veniva percepito come una rinuncia alla carriera professionistica, ricorda il tunisino Skander Mansouri, che ha capitanato Wake Forest alla vittoria del campionato NCAA nel 2018. Ora, però, questa opzione si sta trasformando in un’ancora di salvezza per molti promettenti giocatori di origine araba che in patria hanno pochi sbocchi verso il professionismo. Mansouri, originario di Tunisi, ha avuto un incoraggiante primo anno nel circuito Futures dopo essersi laureato in matematica finanziaria (sempre nel 2018) alla Wake Forest University, in North Carolina. Ha di recente raggiunto il suo best ranking di 303 del mondo dopo aver vinto sei titoli ITF nella sua prima stagione [al momento è N.383, ndr].

Anche l’egiziana Mayar Sherif sta vivendo una notevole transizione dal tennis universitario al tour professionistico. L’ex studentessa della Pepperdine University – semifinalista nel campionato NCAA di singolare nel 2018 – ha scalato la classifica WTA nel 2019, passando da non classificata a top 200 nel giro di 10 mesi (solo tre donne sono riuscite nell’impresa quell’anno) [ora è N.119]. Sia Mansouri che Sherif erano ragazzini di talento classificati tra i primi 50 del mondo nel circuito junior; anche se avrebbero voluto intraprendere la carriera da tennisti professionisti ad una più giovane età, hanno ritenuto che la strada del tennis universitario fosse l’opzione più intelligente e adesso la decisione di studiare negli Stati Uniti sta dando i suoi frutti.

Vogliamo tutti giocare a tennis da professionisti, è questo che sogniamo fin da bambini”, ha detto Mansouri in un’intervista telefonica con il Guardian. “In Tunisia, la gente considera andare a giocare a tennis nei college come una sconfitta, perché così facendo si sceglie di non andare subito sul tour. Per anni la gente ha parlato di me come se avessi rinunciato a giocare a tennis, come se avessi smesso”. Ma, visto il successo che Mansouri ha avuto con la Wake Forest University, i suoi connazionali hanno iniziato a riconsiderare la sua decisione, e ciò ha incoraggiato sempre più giocatori tunisini a seguire il suo esempio. “La gente ha iniziato a vederla diversamente, e ora i giovani in Tunisia vogliono andare al college molto più di prima. Penso che sia la strada giusta da seguire, specialmente per chi proviene dai Paesi arabi”, ha spiegato Mansouri. Secondo i dati raccolti dalla NCAA, 36 studenti arabi hanno giocato a tennis in Division I nel 2018 e 18 in Division II – questi numeri sono in costante aumento negli ultimi anni.

Trasformare giovani di talento in giocatori professionisti competitivi è sempre stato un tallone d’Achille per la maggior parte dei Paesi di quell’area, che non hanno né le risorse né i sistemi adeguati a portare gli adolescenti ad alti livelli. Il tennis universitario è ora visto come un rifugio per molti giovani, che cercano di sfruttare le loro capacità e acquisire esperienza mentre ricevono un’istruzione adeguata. “Nei nostri Paesi non esiste la transizione da junior a pro. Un sacco di ragazzi si perdono e non sanno come fare”, dice il saudita Omar Abdo, all’epoca studente senior [al quarto anno, ndr] per la Sacred Heart University in Connecticut. “Il tennis universitario è come un’altra chance per noi, rappresenta un altro modo per arrivare fra i professionisti o per continuare a giocare a tennis ad alto livello. Se rimani in patria e vai al college lì, continuerai a giocare sempre con le stesse due persone – o almeno, questo era il mio caso in Arabia Saudita”.

Per Sherif, giocare a tennis nelle università americane era l’unica opzione dopo aver finito la scuola superiore al Cairo. Dopo essere entrata tra le prime 50 al mondo junior all’età di 16 anni, ha smesso di competere negli eventi junior perché non poteva permettersi i viaggi; le difficoltà economiche l’hanno anche costretta a rinunciare al soggiorno presso l’Academy di Alicante (Spagna). Ha quindi raggiunto la sorella alla Fresno State University, prima di trasferirsi a Pepperdine [sempre in California].

Mi è piaciuto giocare a squadre. Ho imparato tanto a livello tattico, perché il coach siede accanto a te per tutto il tempo durante i match, cosa che non accade nel circuito ITF”, dice Sherif. “Ma la differenza più grande è che si impara ad essere più maturi, più responsabili e a gestire meglio il proprio tempo (di questo Ubitennis ha parlato qualche tempo fa con Niccolò Fraia, esempio italiano di successo nel mondo dei college americani, ndr), ancor di più perché la mia era una specializzazione difficile e la Pepperdine è una scuola dura. Ho studiato medicina dello sport, e quindi seguivo le lezioni base di medicina e non era per niente facile”. Ha poi aggiunto: “All’università, le cose più importanti che si imparano riguardano la sfera privata, come ad esempio saper trattare con le persone, come fare buon viso a cattivo gioco anche quando le cose vanno male, e in generale come parlare con le persone mantenendo un buon atteggiamento. Anche quando le cose non vanno bene, continui ad allenarti; quando fai fatica perché ci sono gli esami, continui ad allenarti e dai il 100 percento. Queste cose ti aiutano a crescere come persona. Quando poi arrivi al circuito WTA, e tutto quello che devi fare è concentrarti sul tennis, è tutto più facile”.

Mayar Sherif

Anche per Mansouri la gestione del tempo è una delle cose più importanti apprese durante gli anni a Wake Forest, come anche il senso di responsabilità, che ora gli sta tornando utile nel circuito professionistico, dal momento che vola da solo e si prende cura personalmente di ogni aspetto della sua carriera. Il nordafricano crede che un grande vantaggio di giocare per un’università come Wake sia che il college ti fornisce ogni risorsa necessaria per eccellere. “Il coach c’era sempre, e potevo andare ad allenarmi in qualsiasi momento. Potevo allenarmi in gruppo, ma, se poi volevo allenarmi individualmente da mezzanotte alle tre, lui era lì con me anche a quell’ora. L’unica sfida era riuscire a non perdere di vista i miei obiettivi, perché in università ci sono un sacco di cose di cui preoccuparsi, e quindi è facile smarrirsi. Ma se sei determinato hai ogni risorsa per farcela. E penso sia una bellissima esperienza, che tu ce la faccia o meno, anche se penso che con questo percorso aumentino le possibilità di farcela”.

L’età media dei tennisti al vertice aumenta ogni anno, e i giovani non sentono più l’urgenza di diventare subito professionisti.Penso che il tennis ora stia diventando uno sport dove la maturità è importante, e lo si può vedere nella Top 100, dove l’età media è vicina ai 30. Quindi si ha tempo in abbondanza per andare a fare esperienza in un college, affrontare un sacco di situazioni diverse, imparare a conoscersi meglio, a gestire il tempo, imparare un sacco di cose su sé stessi, e solo poi unirsi al circuito. Penso che il college aiuti a prepararsi – questo è ciò che mi ha insegnato la mia esperienza”, dice Mansouri.

Kareem Allaf, un ventunenne siriano, all’epoca senior dell’Università dell’Iowa, crede che non sarebbe sopravvissuto al tour ITF se fosse passato al professionismo direttamente dopo la scuola superiore. Uno dei due arabi tra i primi 60 della classifica della Intercollegiate Tennis Association (ITA) – insieme al libanese Hady Habib di Texas A&M – Allaf dice che non era pronto né fisicamente né mentalmente per competere a livello pro a quell’età, ed è felice di aver preso la decisione di andare al college. “Giochiamo partite ogni fine settimana. Ci sono un sacco di giocatori forti a livello universitario, quindi ti rafforzi mentalmente settimana dopo settimana e ti prepari un po’ a come sarà sul tour”, spiega Allaf.

Anche Abdo, che non proseguirà con la carriera da professionista dopo la laurea alla Sacred Heart, cita la frequenza delle partite come la parte più stimolante della sua esperienza al college. “Mi ha permesso di continuare a giocare ancora a tennis, perché non volevo smettere ma sapevo che non sarei diventato un pro. Quindi era il mio unico modo per continuare a giocare ad un livello che mi soddisfa e allenarmi ogni giorno”, dice il saudita. “È stata una vera fortuna”.

Dei 110 nordafricani o mediorientali che hanno giocato in Division I fra il 2016 e il 2019, 41 sono egiziani. Nativa di Alessandria d’Egitto, Nada Zaher, che ha giocato a tennis alla Columbia e si è laureata nel 2016, ha fondato una compagnia in Egitto chiamata Pass-Sport, che aiuta a mettere in contatto gli atleti internazionali con gli allenatori dei college e guida gli studenti durante il processo per ottenere una borsa di studio per meriti sportivi nelle università americane. Zaher dice che deve tutto al tennis, anche perché l’ha aiutata ad accedere all’università dei suoi sogni. “Non sapevo cosa aspettarmi quando sono arrivata alla Columbia, ma poi ho trovato un sistema incredibile, agli atleti viene offerto tutto. Tutor, consulenze per la carriera, fisioterapista, nutrizionista, mental e fitness coach. Sono arrivata lì dall’Egitto, dove tutto era un po’ raffazzonato; a volte ero pigra, e di colpo mi sono ritrovata catapultata in un sistema perfetto”, dice Zaher.

Nel primo anno di lavoro della sua compagnia, Zaher ha aiutato 17 egiziani, sei dei quali tennisti, ad andare al college negli States. “Specialmente partendo da Paesi come l’Egitto, dove davvero non c’è un sistema, ti ritrovi poi ad andare in un college che ha un sistema perfetto e ti offre tutto il possibile per metterti sulla strada giusta e diventare un professionista”, afferma Zaher. “Si matura davvero come atleti. Un tennista di 16 anni non è maturo per niente. Come comportarsi sul campo, come si affrontano vittorie e sconfitte, sono cose che non sai gestire a 16 anni. Penso che giocare in squadra, anche se il tennis è uno sport individuale, ti aiuti molto a maturare come giocatore. Ti aiuta anche a seguire un regime rigoroso, una disciplina, che è qualcosa a cui non siamo abituati da dove veniamo. Tutto ciò che ti serve ti viene offerto, mentre qui in Egitto, se rimani, devi lavorare come un pazzo e potresti usurarti molto prima. In più, se non riesci a mantenere il tuo livello al college non riuscirai mai a farlo da pro, quindi è veramente un buon test per i tuoi limiti”.

Le storie di successo di Mansouri e Sherif fanno da modello agli aspiranti tennisti dei paesi arabi, e dimostrano come ricevere un’educazione universitaria e avanzare nella carriera tennistica non siano più strade incompatibili tra loro. Di sicuro molti altri seguiranno le loro orme.

Traduzione a cura di Claudia Marchese

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