US Open, Djokovic: "Difficile dire chi sia meglio fra me, Nadal e Federer, l'importante è che se ne parli"

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US Open, Djokovic: “Difficile dire chi sia meglio fra me, Nadal e Federer, l’importante è che se ne parli”

Dopo il successo su Griekspoor, Nole si è soffermato sulla sfida di continuare a viaggiare: “Non mi piace più come 15 anni fa, ma lo considero un grandissimo privilegio”

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Con il facile successo riportato ai danni di Tallon Griekspoor, il countdown per il Grande Slam di Novak Djokovic si è ridotto alle dita di una mano. Non poteva certo essere il giocatore olandese a mettere fine alla corsa del serbo, che però si è decisamente rallegrato della prestazione offerta: Ho giocato una grande partita, ad un livello decisamente superiore rispetto a quello del match di primo turno. Sono molto contento di come sono sceso in campo, ho servito molto bene, gli ho fatto giocare tanti punti al servizio – per me era importante perché l’avevo visto servire molto bene contro Struff – e l’ho fatto muovere tanto, decisamente non il suo punto di forza. In generale sto andando nella direzione giusta”.

RIFLETTORI SEMPRE PIÙ PUNTATI

Non è un mistero, la maratona di 28 partite senza sconfitte che Nole sta cercando di portare a termine è il tema principale di uno US Open privo di tanti dei nomi di cartello che in passato l’hanno reso un evento di massa. Durante la conferenza, infatti, gli è stato infatti chiesto se essere il volto di questa edizione assieme a Naomi Osaka gli stia mettendo più pressione, e la risposta è stata negativa: “Ricevere più pubblicità non condiziona il mio gioco, ma sicuramente è un privilegio e mi fa piacere. Da fan preferirei vedere più spettatori possibile al torneo, quindi non può che essere una buona notizia se io e Naomi e gli altri giocatori riusciamo ad attirare tanti tifosi allo US Open. Ovviamente l’assenza di Serena, Roger, Rafa, Dominic e Venus si fa sentire da questo punto di vista, ma noialtri ci siamo, e sicuramente meritiamo del credito per gli appassionati che riusciamo ad attirare”.

Notoriamente leader della dissidente PTPA, Djokovic ha quindi dato il suo parere su come promuovere il tennis e renderlo più florido finanziariamente al netto dei limiti commerciali che può avere una disciplina individuale: “Dobbiamo fare di più per promuovere il brand dei giocatori della Next Gen, perché ho sempre pensato che sia meglio avere tanti grandi nomi. Allo stesso tempo, però, questo è uno sport dove c’è un solo vincitore, quindi chi vince i tornei inevitabilmente riceve più attenzione, è diverso rispetto al basket o al calcio; però credo che il tennis stia facendo bene, ho letto che è il terzo sport più popolare al mondo insieme al cricket. Dobbiamo riuscire a sfruttare tutto il nostro potenziale in termini di diritti TV e di promozione commerciale, ma comunque stiamo andando nella direzione giusta”.

Djokovic è però un atleta i cui estimatori e detrattori crescono più o meno allo stesso ritmo, e ieri sera se n’è avuto un esempio quando uno spettatore (quello che in inglese verrebbe chiamato un “heckler”) ha cercato di disturbarlo a più riprese. Il serbo ha però voluto sottolineare che essere importunati in uno sport individuale sia piuttosto diverso: “Un tifoso degli sport di squadra potrebbe dire che siamo dei bambini viziati quando ci lamentiamo del rumore, ma si sta parlando di due aspetti differenti. Da una parte c’è il classico rumore dello stadio, che aumenta soprattutto durante le sessioni serali: un sacco di persone urlano o trattengono il fiato durante un bel punto perché sono prese dallo spettacolo, e questo va bene. Ciò che non va bene è quando uno spettatore cerca di disturbare un tennista intenzionalmente e ripetutamente: a quel punto posso sopportare fino ad un certo punto, ma se la cosa continua non va bene, non è giusto per noi giocatori. Durante questa partita uno spettatore urlava sempre subito prima che colpissi gli smash, e non è una bella cosa, soprattutto perché sapeva perfettamente cosa stava facendo”.

GOAT VARI

Contingente al Grande Slam è l’infinito dibattito su chi sia il più grande fra i Big Three. Interrogato direttamente sull’argomento, Djokovic non si è sbilanciato, preferendo concentrarsi sull’impatto avuto dal triumvirato sul tennis mondiale: “Penso che la sfida fra Roger e Rafa sul campo metà in terra e metà in erba [la cosiddetta Battle of Surfaces giocata a Maiorca nel maggio del 2007 e vinta da Nadal 12-10 al tie-break del terzo, ndr] fosse un’idea fantastica, chi l’ha pensata è un genio! La verità però è che è difficile dire chi sia meglio, siamo tutti diversi e abbiamo avuto percorsi diversi. Per certi versi siamo complementari, anche perché abbiamo avuto più successo su superfici diverse. In generale la nostra rivalità è stata importantissima per il tennis, più se ne parla, più si parla della questione GOAT, e meglio è”.

IL PROSSIMO AVVERSARIO, KEI NISHIKORI

Al terzo turno, Djokovic affronterà Kei Nishikori, avversario battuto 16 volte di fila (17 con il walkover di Madrid 2017), incluso un recente massacro in quel di Tokyo, con appena cinque set persi. Gli è stato dunque chiesto se Nishikori sia un avversario da battere quasi in automatico; in inglese questo concetto si esprime però con l’espressione “to have someone’s number”, idioma a cui Djokovic ha replicato con una battuta: “Certo che ho il suo numero, è nella mia rubrica!”

Scherzi a a parte, però, a suo dire il finalista del 2014 è un avversario da non sottovalutare: “Non posso pensare che un avversario sia facile per me finché non l’ho sconfitto sul campo. Certo, ho dei buoni precedenti contro di lui, non mi batte dalla semifinale di questo torneo nel 2014. Tuttavia questo è il suo Slam preferito, e lui è uno dei giocatori più rapidi e talentuosi che abbia mai visto. Dovrò servire bene e cercare di abbassare un pochino la velocità dei colpi, perché a lui piace giocare a ritmi alti, stare vicino al campo e dettare con i piedi sulla riga di fondo. Conosco bene il suo gioco, ci siamo appena affrontati alle Olimpiadi, perciò so cosa mi aspetta”.

VOLARE

La conferenza si è chiusa con una domanda particolare su quale sia il rapporto di Nole con i viaggi aerei. Pungolato su aspetti di preparazione a cui è notoriamente attentissimo, Djokovic ha fornito un’analisi decisamente dettagliata della sua esperienza: “Non ho mai preso un volo privato dall’Europa all’Australia, ma devo dire che quando ho volato privatamente fra l’Europa e New York ho notato una grossa differenza. Ovviamente non mi piace fare scalo, più aerei prendi e peggio è per il tuo corpo: penso sempre che ad ogni scalo si aggiungano altre 24 ore di adattamento una volta giunti a destinazione. Ho però letto i consigli di alcuni esperti, secondo i quali la cosa migliore durante un volo è rimanere idratati e mangiare poco, quindi io cerco sempre di mangiare prima di un volo, mentre una volta partiti cerco di dormire, soprattutto se si tratta di un volo piuttosto lungo. Se parliamo di otto-dieci ore di volo, allora magari leggo o guardo un film”.

Di sicuro la configurazione dei circuiti porta i giocatori a riflettere molto su come regolarsi in materia: “Noi tennisti dobbiamo sempre riuscire ad adattarci rapidamente alle condizioni, è per questo che quando giochiamo uno Slam cerchiamo di arrivare con una settimana di anticipo, e nel caso dell’Australia tanti arrivano persino prima. A volte però questa possibilità non c’è, e si hanno solo due o tre giorni per adattarsi: in quel caso l’adrenalina può cancellare la stanchezza per un po’, ma quando l’effetto finisce non è una bella sensazione. Giochiamo uno sport dove ogni una o due settimane ci si sposta in un altro Paese o in un altro continente, ma per me volare non è un problema, lo considero un privilegio. Certo, viaggiare non mi piace più come 15 anni fa, ma cerco comunque di non dare queste opportunità per scontato, visto che possiamo vedere le più grandi città del mondo. Ci sono tantissime persone che non hanno il passaporto o che non hanno mai preso un aereo, e tenerlo a mente è una cosa che ci può mantenere in contatto con la realtà”.

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