Djokovic alla Gazzetta: "Ibrahimovic è simbolo di mentalità balcanica, mi riconosco in lui. Il ritiro è lontano"

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Djokovic alla Gazzetta: “Ibrahimovic è simbolo di mentalità balcanica, mi riconosco in lui. Il ritiro è lontano”

Intervistato da Riccardo Crivelli, il numero 1 del tennis si è detto felice di giocare a Torino le ATP Finals e ha parlato degli stimoli per il resto della sua carriera, con un elogio a Zlatan

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Novak Djokovic - Bercy 2021 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Il fuoco della competizione arde sempre dentro Nole Djokovic, confermatosi ancora una volta numero 1 a fine stagione. Il serbo quest’anno si è ritrovato a una sola vittoria dal Grande Slam, dopo aver vinto Australian Open, Roland Garros e Wimbledon. È caduto in finale allo US Open, ma è bastato giusto un mesetto al serbo per cancellare il brutto ricordo e mostrarsi a Parigi-Bercy ancora in grande spolvero. Vendicata la sconfitta contro Medvedev, ora è tempo di pensare al grande appuntamento di novembre: le Nitto ATP Finals di Torino, dove Djokovic insegue il sesto titolo (sarebbe record, pari con Federer). Non ha mai nascosto il suo amore per l’Italia e l’intervista alla ‘Gazzetta dello Sport’, condotta da Riccardo Crivelli, è stata un’occasione per confermarlo: “Sono contento che si giochi in Italia, dove trovo sempre una grande passione per lo sport e ho un rapporto davvero speciale con i tifosi”.

Avrà anche l’opportunità di riscoprire Torino: “Per me giocare qui significa tornare in una città dove sono stato una volta sola, a 15 anni, a disputare un torneo juniores. Cercherò di godermela, per quanto possibile. Certo, a Londra ho ottenuto grandi successi negli ultimi 11 anni, ma è bello per il sport che le Finals possano avere una nuova sede in un paese che ama il tennis. L’obiettivo è ben chiaro nella mente del serbo, vincere, ancora: “Al Masters ci sono i migliori otto giocatori del mondo, quindi non esiste nessuna garanzia di successo. Di sicuro porsi degli obiettivi aiuta a conservare le motivazioni giuste, a tenere alta la concentrazione. Credo però che la motivazione più grande ognuno la trovi dentro di sé, con la fiducia nelle proprie capacità”.

Anche quando il torneo non finisce nel migliore dei modi, il numero 1 del mondo prova a trarre il meglio dall’esperienza per potersi migliorare, anche a 34 anni con una lunga e celebre carriera alle spalle: “Vivo la sconfitta non solo come l’emozione deludente del momento, ma anche come opportunità di crescita mentale e di rafforzamento del carattere, per uscire da una situazione difficile da uomo e giocatore migliore di come c’ero entrato. Il lavoro sulla mente ha lo stesso valore di quello fisico e tecnico. Devi essere in grado di comprendere come gestire nel modo più proficuo le energie negative”. Perdere significa trovarsi faccia a faccia coi propri difetti e sulle lacune tecnico-tattiche. Anche se spesso Djokovic sembra impeccabile su questo aspetto, ha dichiarato che “essendo nato con uno stile di gioco difensivo, a volte mi fido troppo di queste mie qualità in difesa”.

Ha dimostrato cosa significa ‘gestire al meglio le energie negative’ nella finale di Bercy contro Medvedev, che aveva infranto il suo sogno di Grande Slam a settembre. Perso il primo set, ha scelto di aggredire il russo, scendendo spesso a rete e seguendo anche il servizio, finendo per vincere 6-3 al terzo: “Si cerca sempre di trovare la formula giusta per essere più forti in campo, anche a 34 anni. I giovani che mi sfidano sono forti, motivati e con tanta adrenalina. lo devo cercare di non disperdere troppe energie, ho bisogno di essere razionale e ovviamente posso sfruttare la maggiore esperienza. Dipende anche dal tipo di avversario, ma essere più aggressivo è uno degli obiettivi che mi sono dato in questa fase della mia carriera. Anche la scelta del calendario sono fondamentali alla mia età. Cercherò di concentrarmi su Slam, Masters 1000 e Coppa Davis, amo ancora rappresentare il mio Paese. Sono ancora innamorato della competizione e il ritiro è un orizzonte ancora lontano”.

In questo senso Djokovic guarda con ammirazione a chi a 40 anni riesce ancora a fare la differenza sul campo, ovvero Zlatan Ibrahimovic, attaccante di quel Milan di cui è grande tifoso: “Mi piace la sua filosofia: più vecchio divento, più giovane mi sento. Lui è davvero il simbolo della mentalità balcanica: la forza di non mollare mai e la totale fiducia in sé stesso. In questo mi riconosco molto in lui. La mentalità del campione che rispetta gli altri ma che entra in campo con la consapevolezza delle sue qualità che deriva dall’etica del lavoro”.

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