Djokovic ha investito in una società di biotecnologie per la lotta al Covid

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Djokovic ha investito in una società di biotecnologie per la lotta al Covid

Nole e sua moglie Jelena detengono una quota di maggioranza (80%) nella società QuantBioRes. Intanto sono rese pubbliche le motivazioni della Corte Federale australiana

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Novak Djokovic - 2021 US Open (Jed Jacobsohn/USTA)
 

Tra una partita dell’Australian Open e l’altra c’è ancora spazio per leggere ulteriori informazioni sul ‘Caso Djokovic’. L’esplosiva vicenda del numero 1 del mondo, costretto a lasciare l’Australia nel giorno in cui iniziava il torneo Slam in cui ha vinto più volte (9), si è conclusa a livello legale domenica 16 gennaio, con la decisione della Corte Federale di confermare la cancellazione del visto, operata dal ministro Hawke che ne aveva facoltà. Quattro giorni dopo, la stessa Corte ha pubblicato un documento in cui elenca nel dettaglio le motivazioni della sua scelta. Le troverete più avanti nella lettura di questo articolo.

Prima, un’altra notizia significativa nella narrazione di questo episodio spigoloso e di difficile valutazione. Nel pomeriggio di mercoledì 19 gennaio è stata resa rilanciata dall’agenzia Reuters la decisione di Djokovic di investire in una cura contro il Covid-19. Il numero 1 mondiale ritiene una quota di maggioranza in una società di biotecnologie danese, chiamata QuantBioRes. Formata da un gruppo di 11 ricercatori, al lavoro in Danimarca, Australia e Slovenia, QuantBioRes è al lavoro dal 2020 su un trattamento alternativo ai vaccini contro il SARS CoV-2.

A capo del progetto c’è l’imprenditore Ivan Loncarevic, che ha dato informazioni a Reuters sulla ricerca in sé e anche sul coinvolgimento di Djokovic. La prima precisazione da fare è che il serbo ha investito in QuantBioRes non dopo la lunga battaglia (persa) contro le autorità australiane, bensì un anno e mezzo fa. Djokovic e sua moglie Jelena hanno acquisito la quota della QuantBioRes nel giugno del 2020, quando la pandemia faceva parte della nostra vita “solo” da pochi mesi. Nole detiene il 40,8% e sua moglie il 39,2, per un totale dell’80%. Loncarevic – scrive Reuters – ha voluto specificare che si tratta di un trattamento e non di un vaccino e che la sperimentazione partirà la prossima estate in Gran Bretagna.

Ma di cosa si tratta? Alla base del progetto sul quale stanno lavorando i ricercatori, c’è uno studio pubblicato sull’International Journal fo Science di cui Loncarevic è co-autore. L’articolo è intitolato “Possibility to Interfere with Coronavirus RNA Replication Analyzed by Resonant Recognition Model” e ruota intorno al lavoro del modello RRM (modello di riconoscimento risonante). “Alcune periodicità/frequenze all’interno della distribuzione delle energie degli elettroni liberi lungo la proteina sono fondamentali per la funzione biologica della proteina e l’interazione con i recettori proteici e altri obiettivi”, si legge sul sito di QuantBioRes. Come si legge nelle conclusioni dell’articolo di Loncarevic, Irena Cosic e Darko Cosic e confermato dallo stesso CEO della compagnia a Reuters, il fine di questo studio è lo sviluppo di un peptide bioattivo che blocchi la riproduzione RNA del virus all’interno della cellula ospite.

L’interesse di Djokovic in questo modello è perfettamente in linea con le sue opinioni sui vaccini, rese note già nel periodo in cui ha deciso di investire nella società di biotecnologie danese. È molto facile bollare Djokovic (o chiunque) come ‘No-vax’, un’etichetta che è molto semplice da utilizzare e che spesso rivela solo un atteggiamento dispregiativo da parte di chi la assegna. Tuttavia, come il caso Djokovic e le ulteriori informazioni dateci da questa notizia dovrebbero dimostrare, la scelta di non ricevere il vaccino contro il Covid-19 non è sempre legata a un’ottusa avversione verso le vaccinazioni o – ancora peggio – a sentimenti anti-scienza. Al di là dell’interesse economico generato dall’investimento fatto, acquisendo la quota di maggioranza nella QuantBioRes, da questa notizia si può leggere soprattutto la volontà di Djokovic di aiutare la scienza a produrre un’arma in più nella lotta al Covid-19.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DELLA CORTE FEDERALE SUL CASO DJOKOVIC

Se la scelta di Nole di investire nella società di biotecnologie va chiaramente incontro al bene comune, il ministro dell’immigrazione Hawke supportato dalla Corte Federale hanno stabilito che accettare la sua presenza in Australia fosse invece rischiosa. La sua scelta di non vaccinarsi in primis e alle sue, ormai note opinioni sui vaccini risalenti al 2020 avrebbero costituito un pericolo di alimentazione dei sentimenti anti-vaccino nel Paese, considerando la popolarità e la caratura di Nole Djokovic. A corroborare questa – tra le altre – tesi, c’è un documento ufficiale pubblicato nella giornata di giovedì 20 gennaio che motiva la decisione finale della Corte Federale di non ribaltare la decisione del ministro Hawke. È consultabile integralmente a questo link.

I legali del numero 1 del mondo, l’appellante, domenica 16 gennaio hanno provato a dimostrare come sia più opportuno dire che Novak pretende che a guidare ogni scelta sulle vaccinazioni ci sia la libertà personale, piuttosto che definirlo come persona avversa ai vaccini. La difesa invece, come si evince dalle righe rese pubbliche dal sito della Federal Court, ritiene che la scelta di non ricevere dosi di vaccino anti-Covid da parte di Djokovic sia sufficiente per confermare la sua posizione: “Il ministro era libero di dedurre che il signor Djokovic per oltre un anno ha scelto di non vaccinarsi, da quando i vaccini sono stati resi disponibili” si legge. Inoltre la corte rifiuta l’accusa dei legali del serbo che il ministro non dovesse prendere la sua decisione basandosi sulle precedenti affermazioni anti-vaccino di Djokovic: “Il ministro ha chiaramente potuto dedurre che il signor Djokovic aveva scelto di non farsi vaccinare perché si opponeva alla vaccinazione o non lo desiderava”.

L’altro punto significativo tra le motivazioni della Corte, riguarda il possibile rischio di alimentare posizioni ‘No-vax’ nella comunità. Secondo la Corte, questo punto di vista deriva dal buon senso e dall’esperienza umana: un’iconica stella del tennis mondiale può influenzare persone di tutte le età, giovani o meno giovani, ma forse soprattutto i giovani e gli impressionabili, per emularlo. Anche se il signor Djokovic non avesse poi vinto l’Australian Open, la possibilità con la sua presenza in Australia, giocando a tennis, di incoraggiare coloro che vorrebbero emularlo o che vorrebbero essere come lui è una base razionale per l’idea che potrebbe promuovere sentimenti contro le vaccinazioni”.

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