Dolgopolov come Stakhovsky: la racchetta è diventata un fucile

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Dolgopolov come Stakhovsky: la racchetta è diventata un fucile

Come il suo connazionale, anche l’ex numero 13 al mondo è tornato a Kiev pronto a combattere per “difendere la mia casa”

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Viviamo strani giorni. Giorni in cui dividiamo la nostra attenzione parlando dei vizi e delle virtù dei giocatori impegnati sui campi da tennis di quella California che guarda al deserto più che alle spiagge di Malibù o San Diego, e quegli ex tennisti, vecchi protagonisti del circuito professionistico, che non imbracciano più una racchetta, bensì un fucile: la posta in palio non è la conquista di un punto, un game, un set ma qualcosa di più grande che si chiama libertà. Dopo Sergiy Stakhovsky, anche il connazionale ucraino Aleksandr Dolgopolov ha deciso di unirsi all’esercito ucraino e di tornare a Kiev, casa, per difenderla da quella che è a tutti gli effetti un’invasione, russa nello specifico.

L’ex numero 13 al mondo, vincitore di tre tornei ATP, durante una carriera chiusasi ufficialmente nel 2021, dopo tre anni di inattività a causa di un polso destro che proprio non ne voleva sapere di guarire, nonostante due interventi chirurgici, ha annunciato la sua decisione di unirsi alla difesa della sua città natale attraverso un lungo post su Instagram: “Ciao Kiev. Per non rispondere a troppe domande ho deciso di scrivere qui tutto d’un fiato”. Inizia così il suo messaggio social dell’ex tennista ucraino: “La guerra è scoppiata mentre mi trovavo in Turchia, dove ho portato anche mia madre e mia sorella. L’ho fatto perché sapevo che ci sarebbe stata la possibilità di un conflitto più grande, nonostante le numerose smentite. Da lì mi sono chiesto cosa sarebbe stato utile fare e cosa no. Sono arrivato alla conclusione che ci sarebbe stato tanto panico e che avrei potuto impiegare il mio tempo, nei primi giorni dell’attacco, diffondendo la verità su quello che stava succedendo e raccogliendo soldi per il mio esercito. Tutti insieme noi ucraini abbiamo gridato al mondo la verità, facendo vedere a tutti chi fosse l’aggredito e chi l’aggressore”.

Una decisone saggia, valutata col senno del poi, che è il senno degli eventi che avanzano nell’incedere impetuoso della storia, e che ha portato Dolgopolov ad imparare ad utilizzare un’arma, cosa che prima era raffigurabile esclusivamente nella sua racchetta con la quale regalava momenti di estrosità pura. Adesso però c’è una guerra da combattere: “A pochi giorni dall’inizio del conflitto ho iniziato a fare pratica con le armi. Un ex soldato mi ha insegnato a sparare. Non sono Rambo in una settimana ma so colpire alla testa da 25 metri di distanza 3 volte su 5 tentativi, in un ambiente calmo. Nel frattempo ho organizzato il mio rientro in Ucraina attraverso la Polonia e adesso sono a Kiev. Questa è casa mia e la difenderò. Starò qui fino alla vittoria e…dopo”.

Parole che riportano il focus su una realtà che è sotto i riflettori di tutti, visibile al mondo intero e che nella difesa non esclude nessuno. Capelli lunghi non porta più […] ma uno strumento che sempre dà la stessa nota, ratatata.

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