La disarmante superiorità di Ashleigh Barty - Pagina 2 di 3

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La disarmante superiorità di Ashleigh Barty

La numero 1 del mondo ha vinto in Australia il terzo titolo Slam dominando il campo delle avversarie. Quali sono le ragioni di questa supremazia?

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Ashleigh Barty - Australian Open 2022 (via Twitter @AustralianOpen)
 

Le caratteristiche tattiche di Ashleigh Barty
Le doti che ho provato a descrivere finiscono per andare al di là della pura sfera fisico-tecnica e si fondono in un tutt’uno inscindibile con la sfera tattico-strategica. Quando Ashleigh è in forma, non solo sbaglia poche esecuzioni, ma sembra anche possedere un radar infallibile nella costruzione del punto.

Se per caso trova una avversaria di qualità, che riesce a reggere il confronto su più colpi, ecco che entra in azione la Barty che sviluppa lo scambio progressivamente. Senza forzare l’esecuzione singola, costruisce colpo dopo colpo una situazione che le permette di chiudere il punto con un vincente nemmeno troppo complicato. Questo perché quell’ultimo colpo è soltanto il sigillo posto su una combinazione che ha finito per spingere l’avversaria in condizioni di crescente inferiorità, sino al “facile” colpo di grazia conclusivo.

Spesso questa ineluttabilità che caratterizza la realizzazione del punto è così assoluta da risultare, a prima vista, perfino anti-spettacolare: le scelte tattiche di Barty sono così logicamente esatte, così nitidamente eseguite, da sembrare, appunto, facili. Quasi ovvie. Tanto che uno spettatore che non mastica molto tennis, di fronte a certi punti potrebbe chiedere: Ma davvero basta questo per mandare in difficoltà le migliori giocatrici del mondo?

Sì, davvero “basta” questo, se lo si valuta superficialmente. Perché in realtà se entriamo nella analisi dei singoli colpi scopriamo che ognuno di questi è eseguito con il tempismo migliore, con l’angolazione migliore, con il carico di spin migliore, con la profondità migliore, per arrivare a quella conclusione “ovviamente” vincente.

E ognuno di quei singoli colpi è migliore anche perché spesso non richiede nemmeno di essere messo a un centimetro dalla riga, perché il colpo migliore implica anche un certo margine di sicurezza, ed è quello che lo distingue dal vincente super-spettacolare inventato in extremis per ribaltare una situazione disperata. Ma soprattutto ognuno di quei singoli colpi è il migliore perché fa parte di una catena di colpi perfettamente equilibrata e sviluppata.

Se teniamo presente questa particolare caratteristica di Barty, forse cominciamo a valutare con un occhio differente l’intero quadro tennistico WTA . In sostanza Ashleigh non vince solo perché ha un rovescio slice mortifero o perché dispone di un servizio impressionante (tenuto conto della sua statura). E non vince solo perché possiede anche un dritto da fuoriclasse. Vince perché a tutto questo unisce un talento per la costruzione del gioco di livello assoluto. Un livello così alto che, se non capito, rischia perfino di diventare controproducente nella valutazione delle prestazioni in campo: le sue, ma anche quelle avversarie. Che, detto per inciso, non sono affatto giocatrici tutte uguali o di scarsa intelligenza tattica (vedi QUI per approfondire l’argomento).

Ecco cosa mi sento di suggerire a certi appassionati che oggi storcono il naso di fronte a Barty: non aspettate che Ashleigh si ritiri per poi scoprire che vi manca questo suo naturale istinto per il tennis inteso come sviluppo dello scambio. Perché a livelli così alti si tratta di una dote davvero straordinaria, anche se forse meno immediata ed epidermicamente meno travolgente rispetto ad altri elementi del tennis.

Tutto perfetto, quindi? Se proprio dovessi cercare il pelo nell’uovo delle sue qualità tattiche, direi questo: forse a volte in Barty la costruzione del punto tende a prescindere dalle caratteristiche della tennista che ha di fronte. Forse in certe situazioni converrebbe insistere di più, o attaccare, sul lato debole di una giocatrice, anche quando la situazione del manuale del tennis “in astratto”, richiederebbe di indirizzare sul lato opposto.

Ma naturalmente non è detto che questa mia sensazione sia giusta; e in ogni caso non è mai facile trovare il perfetto equilibrio tra due obiettivi che possono divergere: da una parte puntare a esprimere le proprie caratteristiche al massimo, dall’altra cercare di far giocare male l’avversaria.

La caratteristiche mentali di Ashleigh Barty
Se ragioniamo sul rendimento delle stagioni più recenti, cioè da quando Barty è diventata numero 1 del mondo, direi che il suo aspetto meno forte sta nelle caratteristiche mentali e agonistiche. Forse proprio perché gioca così naturalmente bene a tennis, per esprimersi al massimo per lei non è necessario aggiungere al match il pepe della lotta. Non è certo una giocatrice iper-agonista come per esempio Angelique Kerber o, per rimanere alle più fresche partite australiane, come Danielle Collins.

Anzi, la maggior parte delle ultime sconfitte di Barty sono state causate da improvvisi black-out mentali che hanno finito per abbassare il suo rendimento in modo così drastico da sembrare quasi inspiegabile.

In piccolo, lo abbiamo sperimentato anche nell’ultimo Australian Open. Consideriamo tutti e sette i turni da lei affrontati. In ogni match, nel primo set, quando il confronto non si era ancora del tutto acceso, Barty ha sfiorato la perfezione: non solo ha vinto tutti i set, ma non ha mai (sottolineo: mai) perso il servizio. Qualche piccolo segnale di cedimento è invece emerso nel secondo set di alcune partite, quando sono subentrati i classici fattori extratecnici che caratterizzano un gioco profondamente mentale come il tennis.

Barty ha perso la battuta per la prima volta (in tutto il torneo) in apertura di secondo set contro Anisimova, e per due volte nel secondo set della finale contro Collins, quando cioè era a un passo dal conquistare il titolo. In entrambi i match la situazione era simile: di fronte aveva una avversaria in svantaggio, con sempre meno da perdere, e quindi rafforzata dal coraggio di chi deve mettere in campo qualsiasi risorsa per non farsi eliminare. Da parte di Barty, invece, è comparsa la titubanza classica di chi inizia a percepire il traguardo che si avvicina, il tipico “braccino”.

In particolare nella finale contro Colllins, sotto 1-5, sembrava che il set fosse ormai compromesso. Ma invece che dare per perso il set e concentrarsi sul terzo set, Barty ha provato ugualmente a recuperare e c’è riuscita con un parziale di 4-0 che ha rimesso in equilibrio la situazione sul 5-5. Poi ha allungato definitivamente al tie-break, chiuso con un perentorio 7-2 (risultato finale 6-3, 7-6).

Insomma, qualche minima incrinatura mentale è emersa anche in occasione dell’ultimo successo, anche se davvero in piccolissima dose. Lo scorso anno, invece, non sempre Ashleigh è riuscita a interrompere i momenti negativi che a volte erano affiorati quando il match pareva sotto controllo. In particolare nei due Slam sul cemento del 2021. Sia all’Australian Open contro Muchova che allo US Open contro Rogers la sconfitta è arrivata con modalità affini: a causa di un repentino calo di rendimento, quando il più sembrava fatto.

A Melbourne era bastata la pausa del Medical Time Out richiesto da Muchova per stravolgere la situazione sino al conclusivo 1-6, 6-3, 6-2. A New York invece era stato il cambio di tattica di Rogers (sotto forma di moonball difensive) cominciato quando Barty conduceva ormai 2-6, 6-1, 5-2 a far tremare in modo irreparabile il braccio di Ashleigh, sino alla sconfitta al tiebreak decisivo.

Malgrado questi passaggi a vuoto, Barty lo scorso anno ha conquistato Wimbledon e altri quattro tornei importanti (Yarra Vallley Classic, Miami, Stoccarda, Cincinnati). E in sede di bilancio va ricordato che due delle otto sconfitte stagionali sono arrivate per ritiro (problemi al braccio): a Roma contro Gauff e al Roland Garros contro Linette.

a pagina 3: Chi fermerà la numero 1?

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