I quattro Slam si uniformano col long tie-break: era ora! Ma ne siamo proprio sicuri?

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I quattro Slam si uniformano col long tie-break: era ora! Ma ne siamo proprio sicuri?

A che prezzo il Grand Slam Board ha uniformato i regolamenti dei
quattro Major? Addio alle maratone storiche che hanno fatto la storia
del tennis

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“Quando si perde tutto, si scopre il valore di tutto”. Potremmo sintetizzare così il motivo del nostro dispiacere per l’uniformazione del tie-break a 10 punti al V set negli Slam“Ma come?” Si chiederà il fedele lettore di Ubitennis, “sin dal lontano 2013 vi eravate scagliati contro il fatto che ogni Major facesse di testa propria, tronfio del proprio prestigio, e adesso che finalmente si sono equiparati nell’epilogo finale avete ancora di che lamentarvi?” Ma certo! Noi, per dirla alla De André (sempre per volare bassi…), abortiamo l’America e poi la guardiamo con dolcezza. Dove l’America, qui, è paradossalmente tutto quanto c’è al di fuori degli US Open, l’unico Slam che aveva e ha mantenuto il tie- break al V set. Tie-break che però d’ora in poi, anche dalle parti di Flushing Meadows, sarà a 10 punti e non più a 7.

Uno dei primi uniformisti degli Slam è stato Rino Tommasi, per il quale se si arriva al 6 pari del set decisivo chiunque vinca non è un’ingiustizia. Certo, caro Rino, chiunque vinca non sarà un’ingiustizia, ma chiunque perda sì… Un nastro beffardo, un colpo steccato che rimane in campo e l’ago della bilancia si sposta irreversibilmente su uno dei due contendenti.  Più che una questione di giustizia o ingiustizia però, il long tie-break ci negherà maratone epiche che hanno fatto la storia di questo sport. In primis, il celeberrimo 6-4 3-6 6-7(7) 7-6(3) 70-68 con cui si concluse il match tra John Isner e Nicolas Mahut sul campo 18 di Wimbledon nel 2010. Partita durata tre giorni e commemorata con una targa che riepiloga punteggio e durata storici (diciamo pure leggendari: vale la pena rivivere la giornata interrotta sul 59 pari al quinto raccontata nella cronaca dell’epoca da Ubaldo, piena di chicche tra cazzeggi coi colleghi in sala stampa, record disintegrati e tutti gli altri storici match che il tie-break al quinto set ci avrebbe negato, da Fred Perry-Donald Budge agli US Open del’36 a Nadal-Federer di Wimbledon 2008).

Da allora, nel tempio del tennis di Church Road, nei pressi del campo 18, si trova la targa commemorativa di quell’incredibile partita. Restano indimenticabili poi finali storiche come quella del 2009 tra Roger Federer ed Andy Roddick, conclusasi 16-14 al quinto per l’ex primatista Slam (da inizio Febbraio il boss, a quota 21, risiede a Manacor…). Oppure, per cambiare Major, all’Australian Open 2011 Francesca Schiavone supera Svetlana Kuznetsova dopo 4 ore e 44 minuti di battaglia, 16-14 al terzo set, annullando 6 match-point. Ma le maratone tra le due non finiscono qui: al Roland Garros 2015 la leonessa supera la russa in 3 ore e 50 minuti, per 6-7(11) 7-5 10-8, annullando un match-point sul 6-5 del terzo set.

D’ora in poi non vedremo più – o meglio li vedremo con un epilogo diverso – match come i seguenti.
A Wimbledon: Nadal-Federer 2008 (9-7 al quinto), Ivanisevic-Rafter 2001 (9-7 al quinto), Borg-McEnroe 1980 (8-6 al quinto). A Parigi 2004 Gaudio-Coria 8-6 al quinto, 1929: Lacoste-Borotra (8-6 al quinto), 1927: Lacoste-Tilden (11-9 al quinto). In Australia: 1988: Wilander-Cash 8-6 al quinto, 1947 Pails-Bromwich (8-6 al quinto), 1936 Quist-Crawford (9-7 al quinto). All’US Open nel 1958: Cooper-Anderson 8-6 al quinto, 1936 Fred Perry-Budge (10-8 al quinto). Da sottolineare anche la semifinale di Coppa Davis Croazia-Repubblica Ceca vinta da Radek Stepanek su Ivo Karlovic 6-7 7-6 7-6 6-7 16-14, con 78 aces del gigante croato. Già da tempo non vedevamo poi partite come Gonzales-Pasarell: 22-24 1-6 16-14 6-3 11-9, record di game prima dell’insuperabile Isner-Mahut.

A far decidere ITF, ATP e WTA per il long tie-break, comunque, sono state le condizioni psicofisiche dei giocatori al match successivo. Trovarsi di fronte un avversario che ha appena vinto in tre facili set dopo che si è usciti vittoriosi da cinque set in cui l’ultimo è finito 21-19 (come successe a Andy Roddick, vittorioso su Younes El Ayanoui ai quarti di finale dell’Australian Open 2003) non è proprio il massimo in termini di parità nelle condizioni di partenza del match: l’americano perse contro lo sfavorito Rainer Schuettler la semifinale successiva, un match che in condizioni normali avrebbe facilmente portato a casa.

Lo stesso Federer, peraltro, dopo aver vinto la semifinale olimpica di Londra 2012 con Del Potro per 19-17 al terzo set, venne poi preso a pallate nella finale contro Murray. Insomma, la necessità del long tie-break al quinto set serve per evitare che determinate partite anziché un giocatore ne eliminino due, ma siamo sicuri che il fascino di partite come quelle sopra citate non sia superiore al rischio di penalizzare il vincente al turno successivo?

Il tie-break ci avrebbe fatto perdere quelle partite uniche, un po’ come il golden gol nel calcio: fosse stato previsto allo stadio Azteca di Città del Messico ai Mondiali del’70, l’indimenticabile Italia-Germania 4-3 sarebbe finita all’inizio dei supplementari (peraltro con vittoria 2-1 per i tedeschi), invece sono stati proprio i 30 minuti pieni di capovolgimenti di fronte a far entrare quella partita nei ricordi di tutti. In definitiva, hanno fatto così bene a uniformare i regolamenti nei quattro Slam?

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