Gibertini su Federer: "Una personalità quasi più importante del tennis stesso, anche se si accaniva a dimostrare il contrario"

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Gibertini su Federer: “Una personalità quasi più importante del tennis stesso, anche se si accaniva a dimostrare il contrario”

“Ho preso a soprannominarlo ‘il Papa’, perché la maniera in cui i fan giubilavano in sua presenza, e la maniera nella quale si comportava, ricordavano il pontefice”, così il vice-direttore di Ubitennis, intervistato da Il Resto del Carlino

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Roger Federer intervistato, tra gli altri, da Vanni Gibertini - Shanghai 2017
 

Il ritiro di una personalità di spicco come Roger Federer non è un tema che si esaurisce presto, e a parlarne alla stampa italiana, intervistato da Il Resto del Carlino, è stato anche Vanni Gibertini, vice-direttore di Ubitennis che dal 2011 a oggi ha coperto 21 Slam e due Giochi Olimpici. La prima immagine che viene data di Federer da chi ha avuto modo di vederlo per anni da vicino è delle più artistiche: «Una volta un amico descrisse il capolavoro di Ridley Scott, ‘Il Gladiatore’, come un film nel quale si può fermare la proiezione in qualunque momento e si ottiene sempre una fotografia perfetta. Federer era più o meno la stessa cosa». Purtroppo per i suoi fan però, il candore estetico non era bilanciato da un’impeccabile abilità nel chiudere i match. «Capitava spesso che partisse a razzo e la partita era finita prima che l’avversario potesse accorgersene. Ma nelle maratone era leggendaria la sua pessima percentuale di conversione di palle break, mentre in carriera ha perso 23 partite pur avendo match point a favore».

Poter seguire i tornei dal vivo in veste di giornalista dà il privilegio di entrare a stretto contatto con i tennisti e dunque non mancano aneddoti al riguardo. «Ognuno dei giornalisti che abitualmente segue il tennis ha una ‘Federer story’. Nel mio caso, la Laver Cup del 2018 a Chicago. Mentre provavo a orientarmi nei meandri dello United Center l’ho incrociato: cercava una stanza adatta per un’intervista a Usa Today. Era lui che guidava la ricerca, apriva porte a destra e sinistra. Lo faceva con naturalezza e umiltà incredibili, come la ‘rezdora’ [in dialetto emiliano, la donna che si occupa del controllo della casa, ndr] che accoglie gli ospiti per la cena mentre ha ancora il grembiule addosso».

Ma questo episodio non è il solo a testimoniare la grandezza di Federer. «L’intervista che mi è rimasta più impressa è stata dopo il ’Match for Africa 4’ a Seattle. Ci dissero di parlare con Federer direttamente in campo, finiti gli incontri. Siamo andati in tre all’altezza della linea del servizio, è arrivato e guardandomi intorno mi sono reso conto dell’assedio sotto il quale vive perennemente, tra richieste e urla dei fan. Non so come faccia». Anche fuori dal campo Roger sa farsi riconoscere, se non altro per le reazioni che suscita ovunque va. «Una personalità quasi più importante del tennis stesso, anche se si accaniva a dimostrare il contrario. Ho preso a soprannominarlo ‘il Papa’, perché davvero la maniera in cui i fan giubilavano in sua presenza, e la maniera nella quale si comportava, ricordavano il pontefice».

La leggendaria rivalità dello svizzero con Rafael Nadal è ricordata da questo match: «La finale del torneo di Shanghai del 2017 nella quale Federer ha battuto Nadal. Avevo visto altre sfide tra loro, ma toccare con mano la venerazione con cui entrambi erano trattati anche in Cina mi ha fatto davvero capire la loro grandezza». Grandezza che neanche il tempo riuscirà a scalfire; l’eredità che lascia il 20 volte campione Slam? «Quella di aver portato il tennis a un livello mainstream che mai era stato raggiunto prima».

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