La solitudine di Daniil Medvedev, numero 1 nell'anno più difficile della sua carriera

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La solitudine di Daniil Medvedev, numero 1 nell’anno più difficile della sua carriera

Le profonde radici della stagione più difficile della carriera di Medvedev, che partono dall’Australia per arrivare in Russia

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Daniil Medvedev - US Open 2022 (Twitter @usopen)
Daniil Medvedev - US Open 2022 (Twitter @usopen)
 

La solitudine di un numero primo è un concetto ormai sdoganato dal mero ambito letterario, visto non solo come fenomeno mediatico ma anche vissuto come l’incapacità di tornare ad esserlo un numero primo, che poi nello sport è facilmente assimilabile al concetto di numero 1. Solitudine ed impossibilità, perché non tutti hanno la forza di restare lì, in alto, da numero 1. Non almeno per un periodo che possa giustificare l’essere più forte di tutti gli altri, analizzando in valore assoluto, l’oggettiva preponderanza tecnica o l’assoluta superiorità fisica e mentale. Perché, come insegnano le leggi dello sport, è difficile arrivare in cima, ancor più difficile è restarci.

Sono passati 211 giorni da quando Daniil Medvedev, interruppe il dominio dei Fab Four in testa alla classifica mondiale del tennis professionistico maschile. Fu grazie alla sconfitta di Novak Djokovic a Dubai che il russo Medvedev salì sul trono del mondo, dopo 18 anni di dominio dei fantastici 4 monopolisti, fino ad allora, del regno. Durò poco il suo primo insediamento: dopo sole tre settimane a riprendersi quella vetta fu lo stesso Djokovic, che però abdicò a favore nuovamente di Medvedev, qualche settimana dopo, per gli strani giochi di una classifica e di una stagione piuttosto ingarbugliata, fino all’arrivo dell’asso pigliatutto Carlos Alcaraz: US Open e numero 1 al mondo, sono una combinazione mica male per un tennista. Figurarsi per un giovane atleta di soli 19 anni.

Ma nel frattempo cosa è successo al giocatore russo? Una stagione, dicevamo, difficile, ingarbugliata nei regolamenti, nell’assegnazione dei punti e in tutte quelle vicende che dovrebbero agire nell’ambito dell’extraterritorialità tennistica e restare lì confinate, ma che inevitabilmente hanno ricadute sulle vite di tutti; che tradotto vuol dire nessuna possibilità di partecipare a Wimbledon accusando, lui forse più di altri, un condizionamento psicologico importante per la situazione attuale: non deve essere facile girare per il mondo con la lettera scarlatta, simbolo non di adulterio ma di appartenenza ad un popolo ad oggi visto alla stregua di ‘bastardi senza gloria‘. Il palmares stagionale parla chiaro: un solo torneo vinto, il 250 di Los Cabos, battendo in finale Cameron Norrie e tre finali perse: a ‘s-Hertogenbosch (affrontando il padrone di casa Tim Van Rijthoven), ad Halle (contro Hubi Hurcacz), e sicuramente la più importante ed impattante nella stagione: la finale degli Austrialian Open a gennaio per mano di Rafa Nadal. Ecco qui, bisognerebbe forse soffermarsi un po’ di più perché si potrebbero trovare le risposte definitive agli interrogativi sullo stato tennistico di Medvedev. Quasi esercizio inutile non pensare che quella partita non abbia lasciato delle scorie che, probabilmente, lo segneranno per il resto della sua carriera.

“[…] Questa è la storia di un ragazzino che sognava grandi cose nel tennis. […] Parlo solo di pochi momenti in cui il bambino ha smesso di sognare, e oggi era uno di quelli. Non ho intenzione di dire esattamente perché. D’ora in poi giocherò per me stesso, per la mia famiglia, per provvedere alla mia famiglia, per le persone che si fidano di me e ovviamente per tutti i russi, perché sento sempre il loro sostegno. Se ci sarà un torneo sul cemento a Mosca, prima del Roland Garros o di Wimbledon, ci andrò anche se dovessi rinunciare a Wimbledon, al Roland Garros o ad altro. Il bambino ha smesso di sognare. Il bambino giocherà per se stesso. Questo è tutto. Questa è la mia storia. Grazie per l’ascolto, ragazzi.

Si poteva immaginare che fosse soltanto uno sfogo dopo una delle sconfitte più dure della sua carriera. Un momento dove, a caldo, poter esternare tutta la delusione, la rabbia per non aver raggiunto un qualcosa che era lì a portata di mano: avanti due set a zero, rimontato tre a due nella più classica delle rappresentazioni sportive che, in base al punto di vista, possono assumere i connotati della tragedia o dell’impresa. Eppure quelle parole rilette adesso a distanza di 9 mesi danno la percezione reale di ciò che è stato il terremoto emotivo attraversato dal giocatore russo, aggravatosi di sicuro nel corso dell’anno da quello status di rappresentate di uno Stato colpevole di aver cambiato sia gli equilibri che tenevano in piedi il mondo per come lo conosciamo e sia, evidentemente, Medvedev per come lo abbiamo conosciuto.

Può questo essere considerato l’anno più difficile della sua carriera, nonostante il numero 1 al mondo raggiunto proprio quest’anno? Sarebbe una bella domanda da porgli alla prima occasione utile, anche per capire la consapevolezza del momento che non riusciamo a capire quanto possa essere assimilata nel russo: Sono motivato a fare il meglio possibile, durante la stagione indoor, per riavvicinarmi al numero uno del mondo e per arrivare all’Australian Open 2023 con la testa di serie più alta possibile aveva detto Medvedev la settimana scorsa prima della sconfitta al 1° turno del 250 di Metz con il redivivo Stan Wawrinka. Una stagione che è però ben lontana dall’essersi conclusa e che realmente può offrire ancora degli spunti interessanti ai quali aggrapparsi, Bercy e le Finlas di Torino (al momento è 5° nella Race), tornei nei quali ha dimostrato di poter far bene (vinti entrambi nel 2020). A patto che quel bambino smarritosi a Melbourne possa tornare a sognare, a patto che i numeri primi non siano più così soli.

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