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WTA, le delusioni del 2022: bocciate Raducanu, Muguruza e Pliskova, male anche Camila Giorgi
Non è stato facile scegliere tra le tante giocatrici che hanno deluso le aspettative nel 2022. Oltre a quelle già citate, decisamente negativo anche il 2022 di Badosa e Kontaveit

Se la giocatrice del 2022 non può che essere Iga Swiatek, vincitrice di otto tornei tra cui due Slam e tre Masters1000, le delusioni dell’ultima stagione sono davvero molte. L’unica tennista che avrebbe potuto tenere testa alla polacca – che ha chiuso l’anno con oltre il doppio dei punti in classifica rispetto alla n°2 Jabeur – poteva essere Ashleigh Barty, che però dopo la vittoria dell’Australian Open ha deciso di ritirarsi.
Ci sono invece diverse giocatrici che avrebbero potuto dare del filo da torcere alla numero uno del mondo, quantomeno in una partita secca, ma per svariati motivi non sono (quasi) mai arrivate con costanza alle fasi finali dei tornei più importanti. In questa categoria rientrano senz’altro Emma Raducanu, Garbine Muguruza e Karolina Pliskova, che costituiscono il poco invidiabile “podio” di chi ha ampiamente deluso le aspettative nella stagione appena conclusa.
Per Raducanu, infatti, il 2022 doveva essere l’anno della consacrazione. Dopo le dieci vittorie di fila allo US Open 2021, dalle qualificazioni al titolo, dalla giovane britannica ci si attendeva una conferma. Magari non un titolo a livello Major, ma di sicuro qualcosa di più rispetto al bilancio in rosso dell’ultima annata, un 17-19 tra vittorie e sconfitte decisamente inatteso. A livello Major lo score è stato disastroso, con tre secondi turni e l’uscita di scena immediata all’ultimo US Open, che l’ha fatta precipitare in classifica dal n°19 (con best ranking di n°10 a luglio) al n°83 di fine torneo. La 19enne nata a Toronto ha chiuso il 2022 all’80esimo posto nel ranking, raggiungendo al massimo una semifinale (al WTA250 di Seoul) e collezionando ben otto sconfitte al primo turno. Difficile fare di peggio.
Chi anche ha disatteso le aspettative è stata Garbine Muguruza, che a livello di match vinti/persi è riuscita a collezionare un record ancor più negativo rispetto al -2 di Raducanu. Sono infatti state soltanto 12 le partite vinte nel 2022 dalla spagnola, a fronte di 17 battute d’arresto. Primo turno a Roland Garros e Wimbledon, secondo in Australia e terzo negli Stati Uniti: il rendimento Slam non fa altro che rispecchiare una stagione molto negativa, condita da sette uscite al primo turno e appena tre quarti di finale. Dalla vincitrice delle ultime WTA Finals – precipitata dal n°3 di inizio anno al n°55 di fine stagione – era più che lecito aspettarsi di più.
Un’altra tennista che si è resa protagonista di una preoccupante involuzione è Karolina Pliskova, che ha concluso il suo 2022 tutt’altro che entusiasmante con quattro KO consecutivi, sei negli ultimi sette incontri. Gli unici acuti sono arrivati in estate, con la semifinale a Toronto e i quarti allo US Open, risultati che comunque non possono essere sufficienti per salvare una stagione terminata fuori dalle prime 30 (ora è infatti n°31, nonostante avesse cominciato l’anno da n°4).
Ai piedi del podio di questa poco felice graduatoria potremmo inserire diverse giocatrici, ma ne scegliamo altre tre, che (seppur di poco) hanno fatto qualcosina di meglio viste le aspettative iniziali rispetto alle tre tenniste già citate. Iniziamo da Camila Giorgi, che non è riuscita a ripetere l’exploit della scorsa stagione, quando aveva trionfato a Montreal. L’azzurra, uscita a sorpresa al primo turno a Wimbledon, è sprofondata al n°67 del ranking, divenendo addirittura la n°5 d’Italia dietro a Trevisan (n°27), Bronzetti (n°54), Paolini (n°62) e Cocciaretto (n°65). Solo 32 partite giocate e un bilancio di 16-16 per l’italiana, ai box dallo US Open e ora indagata per falso ideologico, per le presunte false vaccinazioni contro il Covid-19 pur di ottenere il Green Pass.
Anche da Kontaveit (n°2 a fine agosto e ora n°17) e Badosa (n°2 ad aprile, 13 a fine anno) ci si aspetta un cambio di rotta nel 2023, visto che il 2022 non è stato alla loro altezza. La giocatrice estone ha vinto soltanto un titolo – il WTA500 di San Pietroburgo – perdendo altre tre finali, ma nella seconda metà dell’anno ha avuto un crollo vertiginoso, fermandosi ad inizio ottobre. L’unico titolo della spagnola è invece arrivato ad inizio stagione, al ‘500’ di Sydney, mentre a livello Slam non è mai andata oltre due ottavi, in Australia e a Wimbledon.
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Robin Haase: “Il livello complessivo si è alzato, ma i top 15 sono meno forti”
L’olandese Robin Haase, ex n. 33 ATP, fa paragoni tra il presente e i suoi primi anni nel Tour, parlando anche di stili e superfici. E suggerisce qualche nuova regola perché “il tennis dev’essere più veloce”

Classe 1987, Robin Haase ha raggiunto il 33° posto nel ranking nel 2012. Numero 3 del mondo da junior, due operazioni al ginocchio durante i primi anni di professionismo non hanno certo aiutato l’ascesa di questo olandese che rientra tra coloro che danno l’impressione di giocare meglio a tennis di quanto non dica la classifica. A una settimana dal trentaseiesimo compleanno, Robin ha parlato con Clay del futuro non solo suo bensì soprattutto del tennis, della necessità di renderlo più veloce, del livello attuale paragonato a quello di dieci anni fa, delle superfici e di altro ancora.
Forse doppio e coaching, ma con moderazione
Con il ranking sceso al n. 269, ora frequenta principalmente il circuito Challenger. Lo scorso gennaio ad Adelaide 2 è però arrivata una vittoria ATP rocambolesca non solo e non tanto per il 7-6 al terzo con match point annullato, quanto per come era arrivato a disputare quell’incontro. L’intenzione, a ogni modo, è di giocare in singolare il più possibile, per poi decidere se dedicarsi solo al doppio. Dopo diciotto anni, “non mi vedo ancora per molto tempo nel circuito” spiega. “Però dipende. Se hai un compagno e siete almeno in top 20 potendo giocare solo 18 tornei a stagione, ok. Ma devi trovare un compare che sia d’accordo”. Per ora ha ripreso il sodalizio con il connazionale Matwe Middelkoop, 14a coppia della Race. È anche un coach certificato e occasionalmente aiuta i giovani olandesi che “sono contenti quando dico loro qualcosa su cui lavorare”. Occasionalmente è la parte facile. “Ma il secondo giorno, il terzo, il giorno 245, cosa dici? Quella parte del coaching è sottostimata dai tennisti”. E, a proposito di parti, quella dei viaggi ogni settimana è da escludere. “Magari un part-time, come la Coppa Davis”.
Tiro dentro vs tiro forte: da dove si comincia?
Un’altra osservazione interessante è la differenza tra la sua generazione e quella attuale. “Noi abbiamo prima imparato a tenere in campo la palla, poi a colpire sempre più forte. Oggi i tennisti crescono tirando più forte possibile, poi iniziano a imparare a non commettere troppi errori. Anche le superfici sono cambiate negli ultimi vent’anni. Ora non importa se duro, terra o erba perché è ancora un po’ diverso il modo di muoversi, ma i rimbalzi sono sinili, quindi non ci sono più specialisti. Non molti che fanno servizio e volée o veri attaccanti né terraioli. Giochi più o meno allo stesso modo dappertutto. C’era più varietà, ma i più giovani stanno aggiungendo cose. Diventano più pericolosi e il loro gioco si sta evolvendo”.
Siamo qui per il tennis o per divertirci?
Sorprende un po’ vederlo allineato a quelle affermazioni estemporanee di Jessica Pegula e Frances Tiafoe, secondo i quali sarebbe incomprensibile dover starsene zitti durante quei pochi secondi di ogni scambio e non poter continuamente lasciare il proprio posto e tornarci facendo alzare tutta la fila – neanche fossero al cinema. Per Robin, in modo simile, è inconcepibile dover aspettare dieci minuti prima di poter accedere allo stadio. “Entra e siediti” è la sua soluzione. “Magari con qualche eccezione, tipo le prime file. Se comprassi un biglietto e dovessi aspettare dieci minuti, direi, ‘ma che è sta roba?”’. Una considerazione che rientra nel più ampio discorso secondo cui “nel tennis, l’unico divertimento è lo sport. Non c’è granché oltre quello. Niente musica, niente altro per la gente”. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte, di musica, ce n’è anche troppa e di pessima qualità, ma è un’opinione (la qualità, la quantità è un dato oggettivo). Il tutto partendo dalla tecnologia delle chiamate elettroniche, con il sistema originale che incontra i favori del nostro: “Hawk-eye era molto divertente. I tennisti potevano chiedere il challenge e alla gente piaceva. Ora non c’è più interazione con il pubblico”. Qui sarebbe stata perfetta una citazione del tipo, “il progresso andava forse bene una volta, ma è durato troppo” (legge di Ogden Nash), ma Haase è una personcina seria. In definitiva, l’idea è che “le regole devono cambiare”. Quali regole?
L’inafferrabile concetto del let in battuta
“Non ha alcun senso il let sul servizio. L’unica argomentazione a favore è la tradizione, mentre quelle contrarie sono molto migliori” e fa l’esempio della pallavolo prima di analizzare le obiezioni. “Se tiro una bella battuta che sarebbe ace ma tocca appena il nastro, devo rigiocarla – perché? Se il nastro accomoda la palla per il ribattitore, è perché ho servito male. Poi, il marchingegno costa un sacco di soldi e neppure funziona bene”. Sul costo non siamo troppo sicuri, ma poi Haase cade nella solita retorica: “E, più importante di tutti, la gente non lo capisce”. Ok, Robin, togliamolo, ma che non sia per darla vinta agli stupidi o presunti tali.
Non importa dove, purché ci si vada in fretta
Se non pensa che il tennis sia esattamente noioso, ma dovrebbe andare più veloce e, in quest’ottica, il punteggio della spettacolare vetrina under 21 attualmente in cerca di una nuova casa con cinque set ai 4 game è meglio dei noiosi tre ai 6. Il motivo è presto detto. “Adesso ai giocatori non importa tanto dei primi game. Hai vinto il primo set, 1-1 nel secondo, l’altro è 40-15, a volte pensi, ‘vabbè, quel punto non mi interessa’. Invece, dovendo arrivare a quattro, è meglio che ti giochi quel punto perché non hai tante occasioni per brekkare. Non dico di cambiare adesso, ma possiamo sperimentarlo di più”.
Per Haase, rimane intoccabile il punteggio degli Slam anche perché i numeri in termini di presenze dicono che godono di ottima salute, ma lo stesso non vale per gli ATP 250 ed è lì che si potrebbe cambiare il punteggio: “Diamo al pubblico più divertimento”.
Poche palle, diamogliene di più
Non è però che gli siano venute queste idee ora che ha più anni nel Tour alle spalle che non davanti. “Le ho da 15 anni” assicura. “A casa ho uno schema con tutti questi suggerimenti, di quando ero nel Consiglio dei Giocatori. Nei Challenger, si gioca con quattro palline. Perché mai? Se ne possono usare sei come nell’ATP, non costano più così tanto. Se giochi con quattro, si deteriorano prima e, quando le cambi, è ancora più difficile controllarle. Eppure i Challenger sono parte del Tour ATP – perché non c’è la stessa situazione?
Una volta i top erano più forti, ma…
Lo scorso anno, Toni Nadal ha avuto occasione di affermare che il Rafa 2022 avrebbe perso dal Nadal passato, per esempio quello del 2013, 2011, 2008. Lo stesso valeva per Djokovic. E il fantastico Federer 2017? Inferiore a quello di dieci anni prima. Insomma, il livello si è abbassato. Robin c’era ed perfettamente d’accordo. A metà. “Dipende dal punto di vista. Dieci anni fa, la top 20 o la top 15 erano incredibili. Poche sorprese negli ottavi degli Slam. Roddick, Hewitt, Wawrinka, Davydenko, Nishikori… Toni ha ragione, quelle top ora sono più deboli. Tuttavia, la top 100, 250 o anche 400 sono molto più forti. Il livello complessivo è più alto. Una volta era più facile vincere i Challenger. Adesso è più dura e chi li gioca può far bene nel Tour ATP”.
Collegato a questo, il fatto che solo due Slam siano stati vinti da tennisti ora nei loro vent’anni fa dubitare della forza mentale di quella generazione. Haase vuole precisare la questione: “Se entri nei primi 100, sei fortissimo mentalmente. Chi sostiene che il numero 10 non è forte di testa non ha idea di quello che dice. Vincere uno Slam è diverso, è vero. Thiem e Medvedev ci sono risuciti, anche se Djokovic e Nadal provano di essere ancora migliori degli altri, pur non dominando com’erano abituati a fare – normale per via dell’età”.
Protezione o controllo?
La chiacchierata si conclude con il cambiamento della relazione fra tennisti e media. “Più soldi sono in ballo, più alta è la pressione. I manager e i coach vogliono proteggere i giocatori. Per i manager, tenerli lontani da certe situazioni significa controllarle e di conseguenza i tennisti non sempre sanno cosa stia succedendo. Nei Paesi Bassi, qualche giornalista si occupava solo di tennis, ora anche di calcio e pallavolo e quindi non viaggia più tanto. Ci vediamo una volta all’anno, stesse domande, non c’è più relazione ed è un problema per entrambe le parti. E ci sono i social che permettono ai tennisti di comunicare con i fan”.
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Andreescu, è lesione a due legamenti della caviglia. “Ma poteva andare peggio”
La campionessa dello US Open 2019 riferisce: “Affronterò questo periodo giorno dopo giorno e tornerò presto in campo”

“Ho subito una lesione a due legamenti della caviglia sinistra”. Così Bianca Andreescu, dopo essersi sottoposta agli esami clinici del caso, fa luce sugli esiti del brutto infortunio rimediato al WTA di Miami. La canadese si è dovuta ritirare durante il match contro Ekaterina Alexandrova uscendo dal campo su sedia a rotelle e facendo preoccupare tutto il mondo del tennis. Un vero peccato anche perché nelle partite precedenti la campionessa US Open 2019 era apparsa in ottima forma, superando Emma Raducanu, Maria Sakkari e Sofia Kenin. “Difficile dire ora quanto tempo ci vorrà per recuperare, ma posso dire che sarebbe potuta andare peggio – dice Andreescu, che aveva affermato di aver sentito il dolore più terribile mai avvertito -. Affronterò questo periodo giorno dopo giorno, sono fiduciosa che grazie al lavoro e alla riabilitazione potrò tornare presto in campo. Il percorso è già iniziato, vi terrò aggiornati”.
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Sinner e le semifinali Masters 1000: ci sono due primati per Jannik
Jannik è l’italiano con più semifinali in questa categoria con Fognini (3), ed è il primo azzurro a qualificarsi al penultimo atto in due Masters 1000 consecutivi

Con la vittoria sul finlandese Emil Ruusuvuori al Miami Open, Jannik Sinner ha raggiunto la dodicesima semifinale di un italiano ad un Masters 1000 dal 1990, la terza a livello personale. Arrivare nelle fasi finali di un torneo 1000 è già di per se un’impresa, figuriamoci ripetersi per due tornei di questa categoria consecutivi come Sinner ha fatto a Indian Wells e Miami 2023: è il primo giocatore italiano a compiere un simile back-to-back. E con questo traguardo, Sinner ha raggiunto Fabio Fognini in vetta alla classifica degli italiani con più semifinali raggiunte: entrambi sono a quota tre e non è difficile prevedere che Jannik sia destinato a scalzare il ligure ottenendo il primato assoluto. L’elenco delle semifinali Masters 1000 con azzurri in campo è già da aggiornare a due settimane di distanza dalla precedente e probabilmente non sarà l’ultima volta.
Nel 1995 Andrea Gaudenzi era ancora un giocatore, ottimo interprete sui campi in rosso dove vinse tre titoli ATP. In quella fortunata stagione il faentino si spinse fino alle semifinali del torneo di Montecarlo dove perse in due set dall’amico Thomas Muster. Dopo il match seguirono screzi, ma vennero presto dimenticati. Nell’anno di grazia 2007 il livornese Filippo Volandri compì una delle imprese più memorabili della storia del tennis italiano. L’attuale capitano della squadra italiana di Coppa Davis incendiò il Foro Italico in quel maggio di sedici anni fa battendo il n.1 Roger Federer. Il sogno si interruppe in semifinale, contro Fernando Gonzalez.
L’anno seguente, ad Amburgo, Andreas Seppi raggiunse le semifinali (all’epoca era ancora un 1000) perdendo da Roger Federer dopo aver messo in fila Richard Gasquet, Juan Monaco e Nicolas Kiefer, tennista di casa. Abbiamo poi la tripletta di Fabio Fognini: a Montecarlo raggiunse le semifinali nel 2013 (perdendo male da Djokovic 6-2 6-1) e 2019 (dove sconfisse Nadal 6-4 6-2) quando trionfò, in finale contro Dusan Lajovic, nell’unico 1000 conquistato in carriera. L’ultima semi arrivò a Miami nel 2017, sempre contro Nadal, ma a trionfare fu il maiorchino in due set (6-1 7-5).
Berrettini centrò la semifinali a Shanghai 2019 (perdendo da Zverev 6-3 6-4). Mentre nel 2021 Matteo si spinse fino alla finale di Madrid, dove ancora una volta venne sconfitto dal tedesco Zverev in rimonta 6-7 6-4 6-3. Sempre in quell’anno ci fu la favola Sonego a Roma. Il piemontese visse la settimana più entusiasmante della sua carriera culminata nella semifinale poi persa contro Djokovic. Infine abbiamo le tre semifinali di Sinner: a Miami nel 2021 dove si spinse fino alla finale, persa, contro il polacco Hurkacz. Il resto è storia recente: la semifinale di Indian Wells persa contro Alcaraz a cui fa seguito quella ottenuta ieri al Miami Open. Ad attenderlo ancora il murciano o Fritz.
La classifica degli italiani con più semifinali nei Masters 1000:
Sinner, Fognini 3
Berrettini 2
Volandri, Gaudenzi, Seppi, Sonego 1