Roland Garros: Novak Djokovic, 36 anni e non dimostrarli

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Roland Garros: Novak Djokovic, 36 anni e non dimostrarli

23 Slam da accarezzarli. Ma Ruud vorrebbe tanto fare il Medvedev

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Novak Djokovic – Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
 

Carlitos Alcaraz ci teneva troppo. Non ha retto alla tensione. Avesse giocato 24 ore dopo Tsitsipas sarebbe stato meglio. L’esperienza di Djokovic ha fatto il resto. Che lezione, quella del norvegese al tedesco Zverev

Il vecchietto ha stroncato il giovanotto sul fisico. E il metronomo Ruud che non gioca tennis champagne, ma è di una solidità impressionante, ha dominato Zverev al punto che il tedesco nel terzo set si è proprio arreso. Ruud mi ricorda un po’ Mats Wilander, ma gioca in modo molto più aggressivo dello svedese che vinse qui nell’82 a 17 anni e 10 mesi.

Come possa sfuggire il 23° Slam a Djokovic che giocherà la sua 34^ finale Major nessuno dei miei conoscenti riesce ad immaginarlo. Forse uno sì, Erik Ulleberg, ecco, il norvegese con il quale giocavo il doppio per l’Oral Roberts University di Tulsa, Oklahoma, nel 1973, appena appena 50 anni fa. Giocavamo i match fra college, contro college della Florida, del Kansas, del Texas, del Colorado, dell’Arkansas, del Missouri, della Luisiana. Sei singolari e tre doppi. Ulleberg era il nostro n1. Io cominciai da n.6 e a fine “semester” ero a volte n.2 e a volte n.3. Una bellissima esperienza, viaggi compresi in mega Limousine da 10 posti quando non prendevamo l’aereo per trasferte più lontane. Nel nostro team, tutto formato da stranieri, c’era anche uno spagnolo, un indiano, un ragazzo della Guyana, un cileno, un messicano. Prima dell’inizio delle gare casalinghe, c’era una mini banda musicale e ballettavano per noi le cheerleaders. Roba da non credere. Firmavo autografi neppure fossi Roger Federer. A raccontarlo non ci si crede…ed è  per questo che ancora lo racconto! Il nostro era un college religioso, Oral Roberts era un predicatore evangelista che era riuscito a farsi dare 55 milioni di dollari da fedeli cattolici sparsi per tutti gli Stati Uniti, per costruire uno stadio del basket pazzesco, il Mabee Center (Mr Mabee era stato il finanziatore-benefettore principe). Ci giocavano i Titans, c’era un certo Rick Fuqua che finì nella nazionale USA alle Olimpiadi, il nostro motto era “Expect a miracle”. Fu quell’anno lì che battei il n.1 del Messico a San Luis Potosi. Fu proprio il miracolo che dicevano si dovesse aspettare quando si cantavano gli spirituals nella “chapel”. “Joaquin Loyo Mayo, la ranita cayo ante el Italo Ubaldo Scanagatta” titolò l’Universal (di cui conservò gelosamente più copie). Anche a tutto questo…non ci si crede. Come alla proposte di matrimonio che mi raggiungevano se solo invitavo qualcuna delle ragazze, religiosissime (“A quale chiesa appartieni? Era la prima domanda, ancor prima del nome) per un’uscita innocente e una cena da Pizza Hut a Tulsa.

L’ho sentito recentemente, gli ho chiesto se aveva sempre quel suo bel rovescio a una mano e lui, Erik, mi ha risposto con il suo humour: “Ancora lo tirò di là, ma Casper Ruud lo fa molto meglio, forse perché lo fa con due mani”.

Scusate la lunga divagazione, ma almeno queste sono cose che altri non possono raccontare. Se poi non interessano nessuno pazienza.

Ora…torno ab ovo, come diceva la mia professoressa di latino al classico.

Certo uno dotato di molta fantasia dovrà fingere di dimenticare che Ruud in 4 duelli contro Djokovic – curiosamente tutti in Italia, due a Torino nelle ATP finals e due a Roma …Casper sarà contento che la finale domenica si gioca in Francia – non è mai riuscito a strappargli un set, non ha mai fatto più di 8 game (una sola volta) o 7 game (le altre tre).

E’ vero che per aver io visto punto su punto quel che Ruud ha saputo imbastire contro Zverev – e che io mi illudevo potesse fare di più – beh penso che a dispetto dei precedenti così a senso unico nemmeno per DjokerNole sarà forse una passeggiata.

Perché Ruud è un giocatore supercompletonon ha veri punti deboli, è fortissimo da fondocampo, dritto, rovescio, servizio, anche a rete –sebbene ci venga pochissimo – non è male. Ma soprattutto ha una intelligenza tattica notevolissima.

Zverev non sapeva cosa fare. Nonostante il suo magnifico rovescio non era quasi capace di vincere uno scambio. Da fondocampo non riusciva a sfondare, dal servizio sebbene battesse spesso a oltre 200 km orari non ricavava che pochissimi punti diretti – 3 soli ace – perché Ruud rispondeva sempre. E come rispondeva! Sempre a pochi centimentri dalla riga di fondo. E quando Zverev sembrava aver trovato un po’ di ritmo sulla diagonale dei rovesci ecco che… il figlio dei fiordi gli alzava un toppone liftato che non solo ricacciava molto più indietro Sasha ma gli imballava completamente il ritmo. E se era il tedesco ad accorciare un po’, boom, gli arrivava immancabile un missile di dritto a sventaglio. Non sapendo più a che santo votarsi allora Zverev provava la via dell’attacco, uscendo dalla trincea senza baionetta.E se non veniva infilato come un tordo come è successo tante volte, in quelle rare occasioni in cui l’attacco sembrava essersi procurato tre quarti di punto, ecco che quel volpone del norvegese gli alzava dei lob talmente alti che se ci fossero state delle nubi anziché un bellissimo tramonto le Wilson sarebbero tornate giù bagnate. E maledettamente pesanti, difficilissime da smecciare. Insomma, il malcapitato Zverev non aveva nessun grimaldello per uscire da quella fittissima mefistofelica rete tesagli da Ruud.

Il pubblico sarebbe stato più per Zverev, forse anche ritenendo che il tedesco (4 vittorie su Djokovic su 11 sfide) avrebbe potuto essere un avversario più tosto e competitivo per Novak di quanto non lo possa essere Ruud. “Ogni giocatore che arriva in finale a uno Slam ha una chance. Certo che Novak è superfavorito, però la situazione è anche ideale per Casper. Novak avrà tutta la pressione di dover vincere per conquistare lo Slam n.23 e vi ricordate che cosa gli successe all’US Open 2021 con Medvedev. Anche Novak è umano…”  ha detto Zverev aggiungendo “Si può scommettere anche sulla vittoria di Ruud, magari puntando poco…”

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Zverev ha cercato di sorriderci su, perché della sua prestazione non poteva davvero essere contento. C’è stata così poca storia che Zverev non ha potuto mai scorgere la luce in fondo al tunnel. “Lui ha giocato davvero molto molto bene e io molto, molto male, al contrario di come avevo giocato nei giorni scorsi. Dopo tutto quel che ho passato arrivare per la terza volta di fila in semifinale a Pargi non è un brutto risultato, anzi. Certo avrei voluto giocare meglio…” ha concluso dopo aver accennato all’inizio della sua conferenza stampa di “aver avuto qualche problema fisico”. Imprecisato.

Ho scritto fin qui della semifinale meno attesa, perché la prima mi ha lasciato con l’amaro in bocca per aver visto soltanto due grandi set, equamente distribuiti fra Djokovic e Alcaraz, ma nemmeno il terzo…che in un match due su tre c’è sempre quando si pareggiano i primi due. Come si poteva pensare che in un tre su cinque, i soli set davvero lottati fossero soltanto i primi due?

Nole ha vinto d’esperienza contro il n.1 del mondo che, anche se tendiamo a dimenticarlo, è ancora un ragazzino di appena 20 anni.

Crampi al braccio, poi alle gambe, entrambe, poi un po’ dappertutto. Come ho accennato nel video che ho fatto poco dopo la conclusione della seconda semfinale, può essere che l’essere rimasto fermo per due giorni dopo l’incontro dei quarti dominato su Tsitsipas (vinceva 6-2,6-1,5-2 ricordate? Poi perse il “focus” come avrebbe raccontato Carlitos e si ritrovò al tiebreak, comunque portato a casa) non gli abbia giovato, gli abbia fatto salire la pressione, forse addirittura l’ansia, l’angoscia per il duello generazionale del quale si era cominciato a parlare fin dal giorno del sorteggio.

La vicenda mi ha ricordato quella lontana di Pescosolido a Maceiò in Coppa Davis contro Jaime Oncins. Stefano, rientrò in campo all’inizio del quarto set – c’era il riposo allora dopo i primi tre set – e dopo pochi punti del primissimo game l’angoscia di dover portare il punto lo bloccò dalla testa ai piedi. Divenne rigido come un baccalà. Lo portarono fuori dal campo a braccia. Si pensò a una Macumba, ma era solo eccesso di tensione. Quello che deve avere provato anche Carlitos.

Fino a quel momento, salvo che per i primissimi game che già avevano mostrato un Alcaraz tesissimo e incredibilmente falloso, era stata una bellissima partita. Con il punto del match…ma che dico, del torneo…no dell’anno, macchè degli ultimi 10 anni!, che non ricordavo di aver mai visto. 0ggi su YouTube chi non l’ha visto lo cerchi.

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E’ successo nel terzo game del secondo set, sul 15-0, Alcaraz che serviva. Uno scambio pazzesco, di smorzate e contro smorzate, di rincorse, fino all’ultimo lob di Djokovic che sembrava irecuperabile, un sicuro vincente, e invece il ragazzino di Murcia ha rincorso e acciuffato quella palla per giocare il più incredibile tweener, spalle alla rete, per un passante fenomenale che ha lasciato di stucco Djokovic per un attimo, prima di essere lui il primo ad applaudire. Una straordinaria prodezza che ha fatto scattare in piedi come un sol uomo tutti gli spettatori del Roland Garros. Un colpo che da solo valeva il prezzo del biglietto…anche se questi biglietti sono cari assassini.

Sarebbe stato un set dopo, e sempre sull’1 pari, il colpo di scena più inatteso. Carlitos come paralizzato che chiedeva l’intervento del medico per i crampi, sebbene per i crampi non sia consentito. Che ci sarebbe stato, da regolamento, un penalty game, forse Carlitos non lo sapeva. Di certo non lo sapeva neanche la stragrande maggioranza degli spettatori. Break e 2-1 per Djokovic che poi sarebbe andare a servire. Bordate di fischi coglievano l’arbitro, che però faceva bene il suo mestiere, applicando il regolamento che anche molti degli addetti ai lavori non avevano presente.

Lì è purtroppo finita la partita e il sogno di Alcaraz. Ma questo è solo rimandato. Con meno angoscia Carlitos un secondo Slam lo conquisterà sicuramente. Prosegue invece, ed è più facile che si realizzi, il sogno di Djokovic. Si chiama Slam n.23. Fra Nole e quello c’è solo un ragazzo norvegese che lo scorso anno non riuscì a fermare, e nemmeno a preoccupare, Rafa Nadal. Ci riuscirà questa volta?

Oggi intanto sognano in due, Iga Swiatek che è favorita per centrare il terzo Roland Garros in quattro anni, e l’esordiente in finale Slam, la ceca Karolina Muchova, appena n.43 del mondo ma con alle spalle un record da imbattuta  con diverse n.1  e n.2 del mondo, Swiatek inclusa, Barty, Osaka, Pliskova e da ultimo Sabalenka. Di certo non sembra soffra di complessi di inferiorità.  

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