Lo Slam racconta: Parigi 1927, Lacoste chiude l'epoca di Big Bill Tilden

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Lo Slam racconta: Parigi 1927, Lacoste chiude l’epoca di Big Bill Tilden

Come per Carlo V, sul regno di Bill Tilden sembrava non tramontare mai il sole. Fu Jean René Lacoste, un tennista-inventore dalla vecchia Europa, a costringerlo all’abdicazione. Ma fu una battaglia da gentiluomini

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Emile Lesieur alzò il collo di pelliccia del capotto per difendersi dal vento che spazzava Parigi in quel buio inverno del 1928. Mesi prima aveva minacciato di non sborsare più un soldo se l’impianto non fosse stato intitolato all’amico Roland e la sua grinta da rugbysta aveva avuto finalmente la meglio sul consiglio di amministrazione dello Stade Francais. Una lacrima solitaria cadde dal ciglio, e subito gelò sulla guancia. Erano passati già nove anni, il dolore si era rarefatto ma mai attenuato. Lo aveva conosciuto da studente all’ Ecole HEC di Parigi e si erano legati di un’amicizia possibile solo a quell’età, “ …quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso “.

In un flusso ininterrotto e caotico, Emile rivide le battaglie fangose a rugby, quelle in bicicletta, migliaia di risate e sguardi complici. Poi l’agosto 1909, quando Roland scoprì l’aereo e divenne una creatura del cielo. Emile c’era sul campo di decollo a Frejus il 23 settembre 1913, quando l’amico si staccò da terra su quel traballante Morane-Saunier type G in tela gialla e legno con a bordo 200 litri di benzina e 60 litri di olio di ricino come lubrificante. Destinazione Biserta, Tunisia, attraversando il Mediterraneo. Quasi otto ore di patimento al fianco della moglie Marcelle e di Jean Cocteau prima che la notizia del successo facesse saltare il tappo alla prima bottiglia di Crystal.

Poi la guerra, l’orgoglio per il suo eroismo, la disperazione per la cattura nel 1915, il sollievo nel saperlo vivo. L’ultima volta che si erano visti, in quella fine estate parigina, Emile stentava a riconoscerlo.

Roland Garros, il dio dell’aria, l’intrepido eroe con i baffoni alla Douglas Fairbanks faticava a respirare e nascostamente inforcava un paio di occhiali per riuscire a leggere. Invano lo stesso Clemenceau l’aveva pregato di rimanere a terra ma non ci fu verso. A inizio autunno si unì al gruppo delle “Cicogne”, il 2 ottobre ottenne la sua ultima vittoria contro i terribili Fokker e il 5 venne abbattuto presso Voiziers, nelle Ardenne. Avrebbe compiuto trent’anni il giorno dopo e lì riposa ancor’oggi.

L’orizzonte di Roland Garros era il cielo e lui spese la vita a cercarne i confini.

Tempo qualche mese, rifletteva, e Roland avrebbe avuto il suo stadio del tennis, ma questo non sarebbe stato possibile senza l’impresa di René l’anno precedente. Come presidente dello Stade Francais, Emile aveva potuto assistere da un palco privilegiato a quella estenuante battaglia, che alla fine non lasciava distinguere il sangue versato dai contendenti dalla terra rossa del campo. Senza dubbio, pensò, anche a Roland sarebbe piaciuto Lacoste, se avesse potuto conoscerlo. Stessa grinta, medesima inventiva, e soprattutto il coraggio di credere all’impossibile e riuscire a tutti i costi.

Perché al tempo nel tennis l’impossibile aveva le fattezze di un patrizio di Filadelfia. Nessuno batteva Bill Tilden con una racchetta in mano ma lui ci era riuscito. E poi ancora e ancora. Perché in quel tempo il tennis erano Big Bill e Lenglen, il patrizio di Philadelphia e la Divina di Parigi. Mai si amarono e mai lo nascosero.

…Spero che non si aggiri un toro nelle vicinanze” disse lui quando la vide giocare col suo bandeau scarlatto e poco prima di affibbiarle uno schioccante 6-0 in un set che avrebbe dovuto essere amichevole. Si raccontano lacrime rabbiose di Suzanne all’uscita dal campo ma la vendetta dell’onor di Francia stava per arrivare.

Aveva aspetto e aplomb di un privilegiato parigino, figlio del proprietario della casa automobilistica Hispano-Suiza, la Ferrari del tempo, e per certi versi era lo specchio europeo del campione ststunitense. Per entrambi sarebbe valso l’alfieriano “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”.

5 giugno 1927, Stade Francais, Parigi

René Lacoste b. W. Tilden 6-4 4-6 5-7 6-3 11-9

Snello, olivastro, sguardo profondo e capelli impomatati, Jean-René Lacoste era nato il 2 luglio 1904 a Parigi sotto il segno del cancro, un segno d’acqua, elemento nel quale il coccodrillo si muove alla perfezione. È uno degli immortali del tennis ma non basterebbe un libro per elencare i poliedrici interessi di una mente affilata come una lama e incapace di sosta.

In una singola vita René sarà campione, imprenditore di successo planetario, fine scrittore e inventore di genio. Sua l’idea e la realizzazione di una delle prime macchine lanciapalle negli anni ’20, suo il brevetto nel 1964 di una racchetta in metallo che la Wilson si affretta ad acquisire facendone l’iconica T2000 di Jimbo Connors. A fine anni ’80 disegna e propone a Forget una strana racchetta a forma di chitarra. Guy è perplesso ma è con quella che batte Pete Sampras a Lione nel singolare decisivo riportando in Francia la Davis dopo 59 anni.

Afferra l’attrezzo per la prima volta a 15 anni imitando la sorella Alidà. Possiede già l’animo dell’inventore che sarà e per impugnare meglio la racchetta lima il manico finché si spezza… In quello stesso anno, oltreoceano, Tilden perde la finale degli US Championships da Johnston per colpa del suo debole rovescio difensivo. Bill (non ancora Big) si ritira allora per sei mesi presso un facoltoso amico che possiede uno dei pochi campi coperti esistenti e in quell’inverno passa otto ore al giorno a colpire solo di rovescio. Nel tempo libero spacca legna per rinforzare avambraccio e polso.

Quando riemerge dall’eremo nella primavera del 1920 il suo tennis è diventato un blocco di granito che nei sei anni successivi nessuno riuscirà a scalfire. Due anni dopo neanche l’amputazione dell’ultima falange del dito medio della destra, a seguito di un taglio infettatosi, ferma il più grande tennista del decennio. I suoi allori si affastellano gli uni sugli altri e fino al 1927 non perderà un singolo incontro in Davis e praticamente mai negli altri tornei.

Mentre tutto questo succede Lacoste impara. Ha pattuito col padre tre anni di libertà per dedicarsi al tennis ma se al compimento dei 18 nulla avesse ottenuto sarebbe andato in fabbrica. Non sprecò nemmeno un secondo del tempo concessogli. La sua vera forza è quella di riconoscersi solo un medio talento per lo sport che si era scelto, sapeva che tutto il resto doveva costruirselo dalle fondamenta e si dimostrò un architetto sublime.

Munito di ogni pubblicazione possibile sul tennis, di un muro di cemento e di una racchetta Jean-René edifica uno stile di gioco cerebrale, fondato sulla regolarità e lo sfruttamento spietato delle debolezze avversarie. Da anni usa prevalentemente la bicicletta per i suoi spostamenti, al fine di rinforzare gambe e polpacci per le battaglie che – era certo – lo attendevano sul campo da tennis.

Emile distolse per un attimo l’attenzione dalle impalcature che ancora sostenevano la costruzione, lo sguardo si fece sfocato tornando alla battaglia sportiva che la primavera precedente aveva capovolto il mondo del tennis. Si giocava per l’ultima volta – ma nessuno ancora lo sapeva – al circolo dello Stade Francais di cui lui era presidente.

Gli anni venti ruggivano forte in quel giugno parigino: forse per reazione all’orrore della guerra l’Occidente stava vivendo un’esplosione di creatività ed entusiasmo che aveva avuto pochi uguali nella sua storia. Si poteva fare tutto, o almeno così si credeva, e al ritmo della tromba di Satchmo Armstrong la modernità attraversò l’Atlantico per invadere l’Europa. Libertà, libertà e ancora libertà a ogni costo e godersi la vita con tutte le novità del progresso e un miope ottimismo sul futuro. Un’epoca irripetibile, affascinante, rivoluzionaria e abbagliante, che in pochi anni sarebbe stata inghiottita, novella Atlantide, nel maremoto di Wall Street.

I due finalisti del torneo non furono da meno. La terra rossa dello Stade Francais trasformata in savana, una lotta senza quartiere fra il vecchio re e il giovane pretendente durata ore. Poi l’esito che in pochi potevano immaginare. Ricordava bene che già durante il palleggio il silenzio era profondo, quasi le migliaia di spettatori presagissero quel che stava per succedere. Ma pareva impossibile, Big Bill era sbarcato dal piroscafo per rendere la pariglia, Cochet lo aveva battuto in casa sua l’anno prima, interrompendo un dominio che pareva eterno e ora i canini del campione stillavano sangue in cerca di vendetta.

A inizio match scoppia una rissa in tribuna, alcuni spettatori improvvisano una ripresa di boxe per questioni di seggiolino ed è lo stesso Tilden a intervenire per sedare gli animi. Una distrazione forse fatale perché Bill perde subito la battuta a zero e un freddissimo Lacoste cavalca il vantaggio fino al 6-4 che lo manda avanti.

Tilden reagisce, ha 34 anni e la continuità non è più quella dei tempi belli ma ha sprazzi di classe cristallina e tecnica sublime che nessuno può contrastare. Per rompere il ritmo all’avversario Bill comincia a giocare dei chop cortissimi alternati a colpi che atterrano a un pollice dalla riga di fondo. La distrazione causata da un dirigibile che sorvola il campo gli costa tre giochi in fila ma non il set.

Uno pari e tutto da rifare e a metà del terzo tutto sembra perduto. Gli spettatori smettono di respirare quando, nel tentativo di raggiungere l’ennesima palla tagliatissima e corta, Lacoste scivola nei pressi della rete storcendosi malamente il ginocchio. Il francese traballa, prende tempo sedendosi a bordocampo in un silenzio irreale. Poi riprende ma Tilden ha capito che è il momento di forzare e porta a casa il set e un vantaggio che sembra ormai decisivo.

Il quarto d’ora di riposo prima della ripresa è angosciante per i tifosi francesi che non sanno se il loro alfiere tornerà in campo. Ma le ore passate in bici salvano René, le sue fasce muscolari hanno retto bene, non ci sono danni veri al legamento del ginocchio e questa consapevolezza scarica adrenalina e coraggio nelle sue vene.Al contrario Big Bill sa di non avere più molto da spendere. L’età, le battaglie e le ore piccole giocando a bridge alla lunga hanno infiacchito la sua mitologica resistenza. I tre set precedenti sono stati durissimi, con scambi che sovente superavano i cinquanta colpi prima di arrivare a punto, e allora prende l’unica via che gli pare possibile.

Decide di cedere facile il quarto set per giocarsi tutto alla roulette finale e il piano fallisce per un’unghia, quella che porta fuori il dritto lungolinea che ne avrebbe decretato il successo. Ma non precorriamo.

Entrambi sono ormai allo stremo delle forze. Il coccodrillo attende il suo momento con solo occhi e naso fuori dall’acqua mentre Tilden dà fondo al suo sconfinato arsenale per cercare lo spiraglio vincente, senza rinunciare al suo solito gusto per la teatrale polemica. Il giudice arbitro Muhr gli aveva sanzionato tre falli di piede in precedenza e sul 4-5, prima di servire, Big Bill lo guarda fisso e gli sibila: ”Guarda bene i miei piedi ora…”. Poi spara quattro aces in fila e pareggia.

Sembra l’incontro finale di “Rocky”, nessuno dei due vuole andare al tappeto ma è il vecchio leone ad avere per primo la carta buona. Brekka al diciassettesimo gioco e si porta 40-15 in battuta. Due match point, e basterebbe il primo se il giudice di linea non gli chiamasse fuori il passante lungolinea che valeva la coppa. Tilden fulmina con lo sguardo il colpevole poi si accorge che si tratta di Henri Cochet e lascia perdere. Spiegherà poi che, conoscendo l’uomo, non poteva avere dubbi sulla sua correttezza. Altri tempi.

Non è ancora finita ma è finita. Lacoste sopravvive e poco dopo è campione grazie a un incredibile doppio fallo di un esausto Tilden. Al termine della battaglia, circondato dai cronisti, gli occhi di un teschio scavati dalla fatica, William Tatem Tilden II dichiara: “Please, say that I’m perfectly satisfied with the result of the match. I have no complaint to make, Lacoste played maesterly tennis and he is a real kind gentleman”.

“Per favore, dite che sono perfettamente soddisfatto del risultato della partita. Non ho lamentele da fare, Lacoste ha giocato magistralmente a tennis ed è un vero gentiluomo”.

Battuto sì, sconfitto mai.

LO SLAM RACCONTA – Numeri precedenti

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