Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole

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Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole

Suzanne Lenglen e Helen Wills furono forse le due tenniste più grandi di un’epoca magica ma si incontrarono una volta sola. Opposte in tutto tranne che nella coscienza della propria grandezza, lasciarono il loro sangue sul rosso campo di terra battuta incastonato in uno degli angoli più incantevoli della terra. Quel ricordo non morirà mai

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Per approfondire:

Engelmann L., The Goddess and the American Girl: The Story of Suzanne Lenglen and Helen Wills 1988.
Danzig A., Schwed P.,The Fireside Book of Tennis: A Complete History of the Game and its Great Players and Matches 1972

Rapoport R. (Ed.), A Kind of Grace: A Treasury of Sportswriting Women Paperback – May 1, 1994 (da pp132).

Clerici G., (1974), 500 anni di tennis, Mondadori, Milano 2004.

Clerici G., Divina. Suzanne Lenglen, la più grande tennista del mondo Fandango Libri, Roma 2010 (prima edizione: Corbaccio, 2002)

 

 

Suzanne era già praticamente cieca quando il 29 giugno 1938 si recò in ospedale per una inutile trasfusione di sangue. Cinque giorni dopo se ne andò prima dei quarant’anni. Perché una Dea non muore, ascende all’Olimpo.

“Merde, maman, ancora lei!” avrà esclamato un’ultima volta nel costante delirio indotto dalla leucemia che la stava stroncando, alla notizia che sabato 2 luglio Helen Wills, la regina, aveva conquistato il suo ottavo titolo a Wimbledon. Con gli occhi della mente tornava a vedersi vestita in una luminosa seta gialla, affacciata alla finestra di villa Ariem a Nizza, quando nel gennaio del 1926 aveva salutato con un breve cenno regale la sua giovanissima avversaria che scendeva da un taxi accompagnata dalla madre davanti al circolo del tennis. Oppure a poche settimane dopo, esausta ma felice su quel campo di terra battuta dell’hotel Carlton a Cannes, il suo campo, dove tutto era cominciato e finalmente finito il 16 febbraio. Quella impertinente ventenne giunta dall’estremo Ovest voleva toccare prima di credere alla divinità. Peggio per lei! Ricordava nitidamente di averle impartito una sonora lezione. Ma era stato davvero così? Per certo la notizia dell’incontro aveva scosso e appassionato due continenti fino a restringere sensibilmente le sponde dell’Atlantico. E nel periodo della grande affermazione del cinema gli spunti per una trama di successo c’erano tutti. Due grandi campionesse, l’energia della giovane America contro la raffinatezza della gloriosa Europa ma soprattutto il sapore ferroso del sangue, l’odore selvaggio di due vere tigri, la sabbia rossa di un’arena. Suzanne Lenglen e Helen Wills, la Dea e la giovane Regina, incrociarono le loro vite a forma di racchetta una e una sola volta ma fu sufficiente perché il loro incontro varcasse le soglie del mito.

A cornice del “Match of the century”, come lo battezzò la stampa, un decennio decisivo, ricco di contraddizioni, di balzi nella modernità e repentini passi indietro. Gli oltre quindici milioni di morti della Prima guerra Mondiale avevano spazzato via, cancellato, intere generazioni dalla faccia della terra e inevitabilmente dissolto, soprattutto nella vecchia Europa, i tradizionali legami civili e sociali. “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti… codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” scrisse nel 1923 Eugenio Montale. Erano i roaring twenties, l’alba del Secolo Breve come battezzò il ‘900 lo storico britannico Eric J. Hobsbawm. Gli anni venti gridavano la loro novità a pieni polmoni. Si afferma il concetto di “massa”, la radio e il cinema, poi la televisione, saranno i mezzi di comunicazione atti a raggiungerla e indottrinarla. Nelle nazioni più indebolite dalla devastazione bellica mettono radici i Totalitarismi, dottrine politiche di vario colore con in comune il folle scopo di controllare ogni aspetto della vita di un cittadino. Fascismo, Stalinismo e Nazismo mostreranno in fretta il loro vero volto. Ma nel decennio ruggente ci fu anche e soprattutto il tempo di illudersi che il peggio fosse alle spalle, che l’uomo non avrebbe mai potuto ripetere un simile errore. Esplose la creatività della Bauhaus, nacque il cinema sonoro e Charles Lindbergh volò in solitario e senza scalo da New York a Parigi a bordo dello Spirit of Saint Louis. Tutto questo a ritmo di jazz mentre le signore accorciavano sia le gonne che i capelli e fumavano in pubblico rimanendo nonostante questo socialmente accettabili.

Colei che dominò quel periodo giungeva però dal secolo precedente. Suzanne Rachel Flore Lenglen nasce da Charles e Anais il 24 maggio 1899 a Compiégne, piccola cittadina francese del nord nella regione della Piccardia. Piccola per geografia ma grande per storia, sarà sede di due armistizi celebri. Quello del 1918 pose fine alla Prima Guerra Mondiale su un vagone ferroviario nella radura di Rethondes, quello inscenato da Hitler il 22 giugno 1940 nello stesso identico luogo sancì la capitolazione della Francia contro i nazisti. Il padre eredita, fa prosperare e vende l’attività di famiglia, trasferendosi in una residenza rustica fuori città. I Lenglen dividono l’anno fra quel luogo e una piccola villa a Nizza, dove la figlia trova giovamento dall’asma ricorrente che l’affligge. È proprio in Riviera che papa Charles vede per la prima volta alcuni dei migliori tennisti del mondo accolti come re e principi nei circoli più esclusivi e ristretti. E li invidia. È certo troppo tardi per lui ma per sua figlia… Chissà. Suzanne è ignara, a otto anni ha tempo solo per il divertimento e si appassiona al Diabolo, un passatempo di abilità e coordinazione che impazzò ad inizio secolo. Il gioco consisteva nel far roteare e volare un oggetto a forma di clessidra tramite un filo legato fra due bacchette. Divenne istantaneamente così brava da attrarre piccole folle ammirate sulla Promenade des Anglais. Si inventò il Diabolo Tennis, scambiando da lunga distanza la clessidra con un avversario e prendendola al volo. La capacità innata di intuire prima l’esatto punto dove sarebbe caduto un oggetto fulminarono papà Lenglen e diedero obiettivo alla sua voglia di riscatto. Sarebbe stato tennis. 

Charles non sa molto del gioco ma mostra un’intelligenza pratica eccezionale. Comincia a frequentare assiduamente i circoli della Riviera che nel periodo fra Natale e Pasqua ospitano i tornei preparatori alla stagione vera e propria. Ma che noia! Il gioco al femminile consisteva principalmente in lunghi e lenti scambi dal fondo, totalmente inadatto ad una figliola di tale esuberanza atletica e temperamentale. Così ecco l’illuminazione, Suzanne avrebbe giocato come un uomo. Charles Lenglen si munisce solo di un taccuino perché la faccia tosta non gli manca e prende ad osservare, annotare e domandare. Registra schemi, tecniche di colpi e tutto quanto riesce a spremere ai cortesi giocatori che osserva da bordo campo. Dopodiché passa alla costruzione dello stile inimitabile di Suzanne. La futura Divina riceve la sua prima racchetta in dono all’età di undici anni, papa Charles disegna un campo nel giardino di casa e tutto comincia. Gioca all’infinito, ha mostrato presto abilità atletiche fuori dal comune, corre veloce, salta molto alto ed è una nuotatrice provetta. Rapidità, acrobazia e resistenza saranno firme indelebili del suo tennis. È sempre il padre a ideare e costruire un muro d’allenamento speciale. Alcune zone sono evidenziate da bersagli quadrati che vanno colpiti ripetutamente o in una determinata serie. Il tutto giocando con il massimo della sicurezza, la palla deve passare almeno ad un metro dal nastro perché “esiste sempre la possibilità che l’avversario sbagli, mentre un colpo in rete è un punto perso e basta”. La leggendaria regolarità di Suzanne Lenglen comincia qui.

La grazia in movimento della Divina

La grazia in movimento della Divina

Nel 1924, durante la stagione in Riviera quando già era una Dea, il giornalista Al Laney si disse stupefatto dei soli tre colpi spediti in rete nell’arco di quattro incontri. “But of course my little one” rispose lei “i have been careless this week, n’est-ce pas?” . Monsieur Lenglen diventa segretario del tennis club di Nizza e in quella veste ottiene che straordinariamente che la figlia diventi socia. L’accesso ai campi era limitato ad alcune ore della giornata ma di quel tempo non venne perso un singolo secondo. Quando anni dopo la figlia regnava incontrastata e distante sul tennis mondiale papà Charles, per asseverare la tesi del talento naturale di Suzanne, raccontava nelle interviste che gli allenamenti occupavano solo poche ore la settimana ma la realtà era ben diversa. Cronache e voci dell’epoca riportano che un pubblico sempre più numeroso, ammirato ed entusiasta assisteva giornalmente ai massacranti allenamenti della ragazza prodigio. Il padre utilizza dei fazzoletti di batista per segnare i punti del campo da colpire a ripetizione. Poi li ritaglia progressivamente fino a ridurli della metà. Infine piazza delle monetine come bersaglio e premio allo stesso tempo. Un giorno Suzanne riuscì a colpire quattro volte di fila un pezzo da un franco. Il giovane fenomeno diviene presto in grado di completare serie di trecento e più colpi negli ultimi palmi di campo senza mai sbagliare. Anche perché ogni singolo errore, racconta Ted Tinling che era presente ai fatti e sarà poi uno dei pochi veri amici della Divina, era aspramente sottolineato non solo dal sergente di ferro Charles ma anche dalla madre Anais con dei sibilanti  “…tieni gli occhi sulla palla, stupida ragazza”. La costruzione di un gioco privo di punti deboli proseguiva indefessa giorno dopo giorno, senza concessioni alcune. Il cortese “Voulez-vous jouer avec ma fille?” col quale il padre recluta i migliori tennisti presenti per scambiare due colpi con lei diventa ben presto un vero leit-motiv della Costa Azzurra. Occhio e coordinazione erano innati e non ci volle molto per insegnarle il segreto dell’anticipo, del colpire la palla una frazione di secondo prima che raggiunga il suo acme. In questo modo, senza bisogno di eccessiva potenza, al terzo scambio l’avversaria era  già ad un metro dalla palla, spacciata. Ci fu un momento nel quale Suzanne ebbe difficoltà con il rovescio lungolinea, uno fra i colpi più complessi da padroneggiare ma segno di grandezza vera, e cominciò istintivamente a girarci intorno con il suo formidabile gioco di gambe per colpire di dritto. Un ruggito del padre interruppe subito lo scambio, seguito da un torrente di contumelie che ridussero la figlia alle lacrime. Il colpo maledetto diventerà il suo favorito, con quello vincerà il suo primo Wimbledon. Ma un tale feroce indottrinamento, se da un lato fece di lei una tennista invincibile, dall’altro gettò il seme della sua più grande debolezza. I delicati nervi di adolescente erano messi a dura prova dai continui e spietati stimoli paterni e anche nei momenti d’oro dietro alla lucente corazza della Diana del Tennis covava sempre la serpe dell’incertezza, il terrore di sbagliare e incrociare poi lo sguardo di riprovazione del padre. Certo, la creazione della tennista perfetta non poteva essere indolore e per contro la Divina mostrò sempre un coraggio da leonessa nei momenti chiave dei suoi match per sconfiggere, prima dell’avversaria, le sue profonde insicurezze. Un tennis splendente faceva il resto. Fu sempre lei a prendersi il punto che contava. “Rappelle ma petite, c’est le courage qui gagne, pas les coups”. Papa Charles non sbagliava. Nel tennis è il coraggio che vince le partite, non i singoli colpi.

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