I primi 40 anni di Andreas Seppi: come si fa a non essere romantici con il tennis?

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I primi 40 anni di Andreas Seppi: come si fa a non essere romantici con il tennis?

Il quarantesimo compleanno dell’ex numero 18 del mondo. La classe e l’ironia di un giocatore gentile, le imprese con Federer e Nadal, l’ultima partita: elogio incondizionato del secondo miglior tennista altoatesino di sempre

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Negli ultimi minuti di Moneyball (uno dei migliori film sportivi di sempre, 2011) c’è una scena in cui finalmente il cinico Brad Pitt si commuove e, all’improvviso, guardando fisso nel vuoto, rivolge una semplice domanda a Jonah Hill ma simbolicamente a tutti noi: “How can you not be romantic about baseball?”. Come si fa a non essere romantici con il baseball?

Parafrasiamo, togliamo il baseball, mettiamoci quello che ci pare, e io ad esempio ci metto il tennis: Andreas Seppi è stato il mio giocatore preferito ma la sera in cui ha perso la sua ultima partita ero felice perché ad un certo punto lei ha sorriso e io mi sono innamorato. Si trattava del primo turno del challenger di Ortisei, il suo avversario si chiamava Yannick Hanfmann e io non ero lì. Avevo nervosamente nascosto il telefono sotto un tovagliolo e l’idea iniziale – una specie di citazione fantozziana – era quella di sbirciare ogni tanto lo schermo, attendendo notizie dal fronte dell’addio. Ma dopo pochi minuti mi ero dimenticato di tutto: del tovagliolo, di Ortisei e perfino di Hanfmann. 

Del resto come si fa, come si fa a non essere romantici con il tennis, se vinci uno dei match simbolo della tua carriera proprio nel giorno del tuo 24esimo compleannoil 21 Febbraio 2008 – battendo in tre set Rafa Nadal nel secondo turno del torneo di Rotterdam (episodio rimasto impresso nella mente anche del direttore del torneo Richard Krajicek, come ha raccontato recentemente al direttore Scanagatta ma con toni meno entusiastici). Come si fa a non essere romantici con il tennis, se metti a segno il colpo più bello di tutta la carriera proprio nel punto più importante di tutta la carriera, e ovviamente ci riferiamo al passante di dritto con cui Seppi eliminò Roger Federer dall’Australian Open del 2015.

E soprattutto come si fa a non essere romantici con il tennis, quando piove. A Melbourne, nel 2019, un rapido scroscio di pioggia australiana interruppe per qualche minuto il match di Seppi con Tiafoe e nell’epoca dei toilet break, delle pause strategiche, del coaching, degli angoli che sembrano carovane e dei team stipendiati per una faccia spiritata o un “C’mon” inutile e a pagamento, Andreas, sorridendo, chiese semplicemente al raccattapalle di portare un asciugamano a sua moglie– seduta in tribuna- in modo tale da proteggerla dal temporale. Insomma come si fa a non essere romantici, e basta.

Punto di riferimento

Andreas Seppi, in netta contraddizione con la narrazione che l’ha sempre riguardato, è stato un tennista che non si è mai preso sul serio, nella migliore accezione possibile del termine. Nel Maggio del 2008 ad esempio ottenne uno dei risultati più prestigiosi di una carriera durata vent’anni, ovvero la semifinale nel Masters 1000 di Amburgo: nei quarti di finale sconfisse quel meraviglioso diavolo di Nicolas Kiefer al termine di una battaglia infinita, meritandosi la sfida in semifinale con Federer. Nell’altra semi si sarebbero affrontati, ovviamente, Rafa Nadal e Novak Djokovic: “Quella mattina sono arrivato negli spogliatoi, il torneo era quasi finito, non c’era praticamente più nessuno. Mi guardo intorno e vedo solo Federer, Nadal e Djokovic, pronti a prepararsi per l’ultima rifinitura pre-partita. Ho pensato ma io, esattamente, che cosa ci faccio qui?”. 

Andreas è stato un ossimoro: da un lato il prototipo del professionista solido, coi suoi colpi piatti, spesso in cross, che accarezzavano il nastro e a volte lo abbattevano, specialmente (ahimè) nei momenti decisivi, fisico pazzesco, un metronomo con la racchetta, la tipica formichina di lusso del circuito ATP. Dall’altro lato il personaggio, l’ironia, l’auto-ironia e la gentilezza di un uomo che dava il giusto peso al gioco e che, diventato punto di riferimento, ha definitivamente lanciato il tennis italiano in una nuova dimensione, spazzando idealmente via tutta la polvere di un movimento troppo provinciale. Andreas è cresciuto grazie alle sue scelte, alle trasferte e agli aerei più scomodi, ovvero quelli che volavano senza scalo nel purgatorio dei tabelloni di qualificazione dei tornei sul cemento. Andreas ha indicato la strada per le carriere degli altri.

E’ stato uno dei leader di un’epoca molto diversa da quella attuale, un’epoca nella quale l’appassionato italiano, disilluso, si aggrappava di nascosto al divano per la tensione di un terzo turno, sognando la trasgressione di un ottavo di finale: come quando un paio di giorni dopo l’impresa con Roger, Seppi perse il match più crudele della vita, con Kyrgios, sprecando un match point. Andreas non ha infatti mai raggiunto i quarti di finale in un torneo dello Slam, l’unico rimpianto fastidioso di una carriera monumentale.

Adesso abbiamo scoperto un mondo nuovo, e questo plurale abbraccia idealmente gli appassionati storici: un mondo meno faticoso, in cui la sveglia suona per una vittoria con Djokovic e non per un quinto set con Istomin, un mondo in cui il tennis è diventato finalmente la prima pagina. È una sensazione strana e forse non eravamo pronti a godercela, come se non fossimo sicuri di meritarla, come se i brividi della sconfitta epica dell’outsider fossero più potenti di quelli della vittoria del favorito: Jannik Sinner è giustamente di tutti, mentre le piccole/grandi imprese di Starace, Seppi, Fognini e Lorenzi erano solo nostre. Probabilmente – confesso – si tratta solo di una noiosa forma di nostalgia o dei deliri di un tifoso che fa finta di averne viste tante, probabilmente per alcuni di noi la malinconia dell’occasione mancata è più facile da accettare e da gestire della gioia del trionfo, e probabilmente, sì, stiamo solo invecchiando. 

Le fotografie della carriera, da Melbourne 2012 a New York 2021

Ma torniamo da Andreas e al suo (e di conseguenza nostro) album dei ricordi: e partiamo da Melbourne, che nel corso delle stagioni diventò una seconda casa. Quattro volte agli ottavi di finale, un elenco senza fine di battaglie e di quinti set, con le occhiaie del tifoso (eccomi qui) che notte dopo notte trasformavano inesorabilmente il tifoso in uno zombie. Quando andava bene ci si affidava al buco della serratura di uno streaming stropicciato, quando andava male si passava direttamente alla soluzione di emergenza: il livescore del sito ufficiale. Senza il privilegio di una telecamera e di una diretta tv ci si aggrappava allo scorrere meccanico dei punti e soprattutto all’immaginazione, e il tifo (all’epoca adolescenziale e di conseguenza puro e un po’ ingenuo) diventava adrenalina, e poi sofferenza, sfiorando infine la tortura, e il tifo ad un certo punto diventava inevitabilmente sonno, e si passava alle allucinazioni.

Un venerdì sera del 2012 ricordo di essere andato a dormire alle 8 di mattina del sabato, perché durante l’Australian Open non esistono più i classici giorni della settimana ma si perdono i punti di riferimento: avevamo (plurale eccessivo ma necessario) battuto Cilic in rimonta, una notte incredibile. I migliori anni della nostra vita? I migliori anni della nostra vita.

Al Roland Garros del 2012 Andreas spaventò un Djokovic di quelli veri, reduce- in piena epoca Fab Four- da 36 vittorie nelle ultime 37 partite disputate a livello Slam. Seppi scatenò un pressing da fondocampo fuori da ogni tipo di logica, scoprendo improvvisamente l’anticipo e la personalità del rovescio lungolinea: una prestazione allucinante, la migliore che abbia mai visto da parte di un tennista italiano in un torneo del Grande Slam. Ovviamente vinse Djokovic al quinto set, perché alla fine vince sempre lui.

A Wimbledon, nel 2013, quando Seppi perse al quarto turno con Juan Martin del Potro sul campo numero 1, i due rivali interpretarono il pre-partita in maniera diametralmente opposta. L’argentino, la cui carriera è stata caratterizzata e compromessa da una serie drammatica di infortuni, era infatti nel pieno di una di quelle settimane in cui indossava la maschera della preoccupazione, cedendo alla tentazione della pretattica e delle smorfie. “Palito”, destabilizzato e spaventato dalla fragilità del suo motore, nel corso di quel torneo fece un po’ finta di trascinarsi per il campo: sbuffava ma solo nelle pause tra un punto e l’altro, cercava risposte dal suo angolo, mettendo in scena sul palcoscenico più prestigioso del circuito una sofferenza un po’ a comando e soprattutto a favore di telecamere.

La mattina del “Big Monday” (la giornata dedicata ai 16 ottavi di finale dei tabelloni del singolare) l’argentino aveva convocato i giornalisti amici sul campo di allenamento, sfoderando una vistosa fasciatura al ginocchio. Mancavano un paio d’ore alla sua partita con Seppi: “Forse non giocherà”, twittò preoccupato un argentino, ma nessuno gli aveva creduto. Nel frattempo Andreas- senza fare sul serio- si concedeva, a pochi minuti da una delle partite più importanti della vita, un quarto d’ora di risate e chiacchere con Stefano Meloccaro in diretta su Sky, in collegamento dalla terrazza dedicata ai media affacciata sul campo 18. Del Potro manco a dirlo scese in campo e vinse il match con il punteggio di 6-4 7-6 6-3 per poi oltretutto raggiungere la semifinale di quell’edizione dei Championships, perdendola solamente in volata al quinto set con Djokovic. Seppi, però, per l’ennesima volta, vinse la sfida dello stile.

L’ultima fotografia è targata inevitabilmente Flushing Meadows, 2021: a quasi 38 anni Andreas eliminò nel giro di 48 ore il numero 23 e il numero 9 della Race. Al primo turno vinse una battaglia eroica con Marton Fucsovics, annullando cinque match point prima di imporsi al tie break decisivo con il punteggio di 15 a 13 mentre un paio di giorni dopo, contraddicendo qualsiasi pronostico, sconfisse addirittura uno dei giovani più promettenti del circuito, Hubert Hurkacz. Le ultime due vittorie dell’incredibile carriera slam di Seppi (67 partecipazioni a livello major di cui 66 consecutive, 130 incontri disputati in totale) furono due vittorie memorabili, di pura classe, il guizzo finale del ragazzo che si voleva ribellare alla pensione.

L’addio e la colla

Ma tutte le storie prima o poi finiscono, ed è giusto così, e a volte, se sei fortunato, chiudono anche un cerchio. Ero infatti a bordocampo il giorno in cui Andreas vinse il suo ultimo match ufficiale di tennis, nelle qualificazioni dello US Open, contro Vasek Pospisil, ovviamente in rimonta, ovviamente 7-5 al terzo: “Da quindici anni non mi perdo una tua partita, sono venuto qui direttamente dall’aeroporto”, e al biondo, comprensibilmente, scappò una risata. Mi disse che aveva ancora voglia di lottare, che si sentiva bene: “…Però non ne vinco più una”. E infatti un paio di mesi dopo, nell’Ottobre del 2022, annunciò sottovoce il ritiro. Del resto il tempo non ti concede scampo, nemmeno al quinto set.

La federazione italiana snobbò Seppi, perché la classe non è acqua: il calendario ATP quell’autunno prevedeva un paio di tornei 250 in Italia, a Firenze e Napoli per la precisione, e Andi per la prima volta in carriera chiese qualcosa ai capi, in particolare una wild card per un ultimo saluto, ma dalla federazione risposero picche, perché “una wild card per un giocatore che si sta ritirando sarebbe solo uno spreco”. Ricordo ancora lo scalpore che suscitò all’estero quella vicenda: negli altri Paesi del mondo infatti la memoria è una cosa seria, che merita rispetto, e non una passerella vuota. I capi fecero una brutta figura e invece lui, che non aveva bisogno di cerimonie ma solo di un ultimo ricordo, salutò vicino a casa sua, al torneo challenger di Ortisei, con gli amici di una vita e tutta la famiglia: stessa storia, stesso posto, stesso bar. A conti fatti, meglio così.

Andreas Seppi è stato il mio giocatore preferito ma la sera in cui ha perso la sua ultima partita ero felice perché la sera in cui Andreas Seppi ha perso la sua ultima partita ad un certo punto lei ha sorriso e io mi sono innamorato. La vita, quella vera, fa il suo corso, con le cose importanti della nostra quotidianità, con i trionfi, i disastri e le vittorie imperfette di tutti i giorni. Ci sono però dei personaggi a cui ci affezioniamo senza un vero e proprio motivo e ci sono dei momenti di trascurabile felicità che non rappresentano solamente uno sfondo. Questi personaggi e questi momenti sono infatti molto di più, questi personaggi e questi momenti sono la colla che tiene tutto insieme. La colla che costruisce i ricordi di una vita, la colla che li mantiene vivi, la colla che si infila nelle pieghe delle nostre storie. È la potenza dello sport, è la potenza del “ricordatevi questo istante, dove eravate, con chi eravate”, è la potenza della colla. 

Come si fa a non essere romantici con il tennis? 

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