Era finita sorprendentemente prima del tempo l’avventura americana di Novak Djokovic, con una dura sconfitta al terzo turno dello US Open contro Alexei Popyrin dopo un mese di agosto per lui storico, coronato dalla vittoria olimpica. Si sa, quando gioca rappresentando la Serbia Nole si trasforma, dà il meglio di sé stesso. E non è un caso che questo weekend giocherà a Belgrado, contro la Grecia, per il Group I di Coppa Davis, così da riportare al più presto la sua nazione nel tennis che conta.
“Sento sempre una sorta di pressione ‘generale‘ “, ha rivelato Djokovic all’emittente serba RTS, “sul fatto che debba sempre vincere. Dagli altri, da me stesso essendo un professionista che sacrifica molto per giocare al meglio quando conta di più. Le Olimpiadi erano il mio obiettivo principale, ed ero davvero preoccupato dopo l’infortunio al ginocchio al Roland Garros. Ma quando sono stato capace di raggiungere la finale a Wimbledon ero sollevato sapendo che sarei stato pronto per le Olimpiadi. D’altra parte, c’era quella che io chiamo pressione ‘aggiuntiva’, che dipende dalla forma. Fino alla finale a Parigi non avevo perso un set, avevo battuto Nadal a casa sua. Certo, non era al suo meglio, ma batterlo a Parigi è sempre qualcosa di grande“.
“Sentivo l’energia e il tifo da casa“, approfondisce il serbo, “quindi la ‘pressione aggiuntiva’ era minore del solito. Ad esempio a New York, sentivo di non essere me stesso sul campo, di non essere ben preparato, quindi sentivo più pressione aggiuntiva prima di ogni partita rispetto addirittura alle Olimpiadi. Il tennis è uno sport individuale, e se non hai una soluzione un determinato giorno, perdi. Nel corso degli anni, questo mi ha mantenuto disciplinato“.
Il sogno olimpico diventato realtà ha coronato una serie di successi incredibile, probabilmente impareggiabile, che costituisce l’enorme grandezza della carriera di Nole. Una serie che vide l’alba nel lontano 2008, quando a Melbourne vinse il suo primo Slam: “Lì iniziai a credere che avrei potuto vincere degli Slam nell’era di Federer e Nadal. Fu seguito da un periodo di tre anni in cui perdevo contro di loro nelle fasi finali degli Slam. Quelle sconfitte mi facevano sistematicamente approcciare al mio gioco e al mio corpo, insieme al mio team. Vincere la Coppa Davis 2010 fu un grande impulso e iniziai a batterli più regolarmente dal 2011 in poi. Amo l’estate australiana, (la velocità dei campi, lo stadio), soprattutto in sessione notturna. Ed è tra l’altro all’inizio della stagione, volevo sempre usare Melbourne come trampolino per il resto dell’anno. Come i titoli iniziano ad ammucchiarsi, la confidenza cresceva“.
Di tutti i trofei che ha vinto, di certo i problemi maggiori sono arrivati per vincere il Roland Garros, per la prima volta nel 2016. Secondo Nole, c’è una chiara motivazione: “Probabilmente l’unica spiegazione, per me come per Roger, è la dominanza sulla terra di Nadal. Lui è stato imbattile lì per tanto tempo, ha perso solo un paio di volte sullo Chatrier. Ogni volta che entri con lui su quel campo, è favorito. Anche alle Olimpiadi: lui aveva avuto problemi fisici, io ero in una forma migliore, ma sai che rimane la montagna più alta da scalare. Lui è il più grande, forse la sola ragione per cui non ho vinto più titoli al Roland Garros, ma ogni vittoria contro di lui lì vale doppio“.
Ma non vanno dimenticati, tra gli altri, anche i 7 Wimbledon e i 4 US Open vinti da Djokovic nella sua straordinaria carriera. Spesso negando la gioia a Federer, specie nella prima metà degli anni ’10: “Nel 2011 ho vinto il mio primo titolo a Wimbledon e allo US Open. Il primo titolo è sempre super speciale, ho battuto il mio più grande rivale Nadal nella finale. A New York sceglierei però la finale del 2015 contro Federer. Forse giocò il miglior tennis che avesse mai giocato su un campo in cemento, molto aggressivo e concentrato, il pubblico era tutto dalla sua parte…io riuscii però a rimanere calmo e concentrato e vincere in qualche modo. Probabilmente è il mio trofeo più significativo a New York, insieme al primo“.