Proclami, proclami e proclami ancora. Da un lato la voglia di stoppare il disco che alcuni fanno girare sul suo de profundis, dall’altro il disperato desiderio di rincorrere le vette raggiunte dai colleghi, quelli giovani e rampanti. Musica e parole di Stefanos Tsitsipas, l’esponente di quella Lost Generarion che fatica ad emergere dalle lamiere in cui sono incastrati, con i Big Three prima e i figli del nuovo millennio poi. Proprio con i venuti al mondo dopo il 2000, l’ellenico sembra aver più di qualche problema, dei cubi di Rubik con le fattezze di Alcaraz e Rune ai quali Stefanos si presenta sempre con la stessa faccia, quella della sconfitta.
Il nativo di Atene si ritrova 1998 come anno di nascita sulla carta di identità, il 12 agosto spegnerà 27 candeline e sembra proprio arrivato il momento di scegliere cosa fare da grande. Ammesso che si possa scegliere, e quanto margine di libero arbitrio possano lasciare gli altri. Sì, perché gli altri stanno dimostrando di averne di più, di correre di più senza troppi fronzoli, quelli che spesso extra-campo hanno rappresentato il punto debole di Tsitsipas.
La dimensione dell’ellenico, attualmente, è quella di un giocatore battezzato alla fonte del talento ma che è colpevolmente venuto meno alle promessa di spaccare il mondo del tennis. Poco importa se quel giocatore, con tutti gli alti e bassi, sia riuscito a conquistare 12 titoli ATP tra cui 3 Master 1000: d’altronde fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce. L’uscita di scena al primo turno dell’Australian Open non aveva sorpreso del tutto gli addetti ai lavori, bolla papale su quanto le aspettative su Stefanos fossero pericolosamente in calo. Un’ancora di salvataggio per risollevarsi l’aveva fornita l’ATP di Dubai, con il trionfo arabo a spezzare la maledizione “500” che aleggiava sull’ateniese dopo 11 epiloghi finiti male.
Sembrava l’ennesimo nuovo inizio da cui ripartire per scrollarsi di dosso le fastidiose etichette. E invece no, come nel gioco del Monopoli ecco l’imprevisto. L’imprevisto, in questo caso, è “carta conosciuta” con Holger Rune che cala il poker nei confronti diretti con Tsitsipas. Sia chiaro, una rondine non fa primavera anche in senso negativo perchè la sconfitta agli ottavi di Indian Wells è il verdetto maturato più per meriti del danese che per demeriti dell’ellenico, che appare comunque in ripresa. Ovviamente più che per il ritiro alle ATP Finals del 2023, sfida durata solo tre games, i simboli dell’attuale superiorità dello scandinavo sono i due match del 2022.
“Conosco benissimo Stefanos, soprattutto come colpisce la palla”. Firmato Holger Rune, dopo l’ultimo scontro nel primo 1000 dell’anno. Una dichiarazione precisa, diretta, senza appello che ha il suono dell’epitaffio sportivo a cui Tsitsipas fa fatica a ribellarsi. Come detto, il tabù prende forma tre anni or sono. Il primo testa a testa è un altro ottavo di finale, quello del Roland Garros su una superficie congeniale all’ellenico. Niente affatto, dopo 3 ore di lotta è lo scandinavo a trionfare, con Stefanos ad avere la meglio solo nel secondo set. Va pure peggio quasi cinque mesi dopo, nell’epilogo di Stoccolma finisce con un doppio 6-4 che fa il paio con lo score verificatosi, in tempi odierni, nel deserto californiano.
“Gioca un gran tennis, ma tatticamente so quello che devo fare in partita”. Se la tre sconfitte abbastanza nette con Rune sembrano essere un’avvisaglia di quella che potrebbe essere una rivalità a senso unico, il virgolettato di Carlos Alcaraz, a voler essere maliziosi, rimanda al ritornello di un professore che rivolgendosi ai genitori di un alunno un po’ discolo si approccia con il classico: “è bravo ma non si applica”.
La dichiarazione del murciano arrivò poco prima del sesto episodio della personalissima saga con Tsitsipas, i quarti di finale del Roland Garros 2024, remake di quello andato in scena esattamente un anno prima. Se Alcaraz tronfiamente gonfiava il petto, con il senno del poi a buone ragioni visto il risultato finale, l’ellenico era fiducioso sul trovare la prima vittoria contro lo spagnolo. La speranza risultò essere vana, l’ennesima scoppola subita fece vacillare non poco il greco che ammise di non avere la più pallida idea di cosa fare per mettere in difficoltà quello che poi sarà il vincitore a Parigi.
La chiave tattica a cui sembrano affidarsi sia lo spagnolo che il danese è quella di colpire e martoriare il tratto distintivo di Stefanos, quel rovescio a una mano che da delizia si sta trasformando via via nella sua croce. La profondità e pesantezza dei colpi, maggiormente quella di Alcaraz, lo fa rintuzzare e mette parecchio in difficoltà questo fondamentale del greco che a lungo andare, come da lui dichiarato, si spazientisce e finisce per andare fuori giri, pregiudicandone qualsiasi piano tattico magari diligentemente preparato.
Il triste sunto per Tsitsipas non è tanto l’essersi imbattuto in due autentiche bestie nere, ovviamente Carlos più di Holger, ma il fatto è che con l’andare del tempo sembra che i due giovanotti lo affrontino con sempre meno timore reverenziale, consci e certi sull’ormai tattica rodata da applicargli contro. Un vero smacco per chi ha più anni di esperienza nel circuito e che vede rubarsi la scena da anni a questa parte, la stessa che sognava nei tempi di promesse gloriose, che ormai sembrano appartenere ad altri.