Tanto rumore per nulla, o forse, visto il contesto, dovremmo scriverlo nella sua versione originale, “much ado about nothing”. Sembra profilarsi così questa presunta querelle tra la PTPA e il mondo istituzionale del tennis col passare dei giorni e la diminuzione del clamore che una notizia del genere ha suscitato, non solo tra i diretti destinatari della causa legale, ma anche tra gli appassionati di un mondo, quello del tennis, che ogni giorno prova sempre a rendersi più complicato, con l’aiuto di tutti.
Ultima notizia della serie, è il defilarsi di Jay Clarke, numero 277 del ranking, nonché uno dei primi firmatari dell’azione legale stessa, smarcandosi dalla PTPA come neanche il più romantico dei numero 10 di periferia saprebbe fare, nei confronti di quello che una volta, nel calcio, veniva definito stopper e che adesso, più banalmente, chiamiamo centrale difensivo. Un passo indietro che ha fatto rumore e che solleva interrogativi sul futuro della battaglia portata avanti dall’associazione fondata da Novak Djokovic e Vasek Pospisil, contro ATP, WTA, ITF e ITIA, istituzioni del tennis accusate di pratiche anti-concorrenziali e di non tutelare adeguatamente i giocatori.
Il ruolo di Clarke, il nodo delle sponsorizzazioni e l’effetto domino
La PTPA, nata con l’intento di voler dare maggiore voce ai tennisti professionisti, ha lanciato questa azione legale per contrastare le presunte restrizioni imposte dagli organi di governo del tennis. In particolare, la causa si concentra su limitazioni ai guadagni, diritti d’immagine e restrizioni sui contratti di sponsorizzazione. Tra i querelanti iniziali c’era proprio Jay Clarke, uno dei pochi rappresentanti britannici della battaglia. Il giocatore, attualmente fuori dalla top 200 ATP, aveva sollevato in passato questioni relative al supporto economico per gli atleti dei circuiti Challenger e Futures.
Attraverso una nota ufficiale, Clarke ha spiegato le motivazioni dietro la sua scelta di ritirarsi dalla causa: “Pur condividendo alcune delle preoccupazioni sollevate nella causa, ho deciso di fare un passo indietro. In questo momento della mia carriera voglio concentrarmi solo sul mio tennis e sulle mie prestazioni in campo, senza distrazioni esterne”.
Una dichiarazione che fa emergere come l’impegno in una battaglia legale di questa portata possa risultare un’arma a doppio taglio per chi sta cercando di risalire nel ranking e consolidare la propria posizione nel circuito. Vuoi perché le energie mentali che una battaglia del genere richiede sono tantissime, sia perché la posizione della PTPA, infatti, non è ancora universalmente accettata dai vertici del tennis e la partecipazione attiva a iniziative di questo potrebbe non essere vista di buon occhio a livello amministrativo. Questo è, nella sostanza.
Ma perché Clarke era così importante per la strategia d’attacco della PTPA? Uno degli aspetti più critici della causa era legato alle limitazioni imposte ai giocatori in materia di sponsorizzazioni e Clarke, nello specifico, non ha potuto ottenere un contratto con il marchio di alcolici Grey Goose a causa delle regole vigenti nei tornei professionistici.
Questo tipo di restrizioni è uno dei punti cardine dell’azione legale della PTPA, che sostiene come queste norme impediscano ai giocatori di massimizzare i propri guadagni in un ambiente sempre più competitivo; ecco perché il giocatore britannico era emblematico all’interno di tutta la vicenda.
La decisione di Clarke, poi, potrebbe rappresentare un campanello d’allarme per la PTPA: la decisione di un giocatore di ritirarsi dall’azione legale potrebbe innescare un effetto domino, portando altri atleti a rivalutare la loro posizione nella controversia.
La battaglia della PTPA continua. Con chi?
Nonostante il ritiro di Clarke, la causa prosegue con il supporto di altri tennisti come Taro Daniel, Corentin Moutet, Ingrid Neel, Marco Trungelliti e Alice Tubello. Tuttavia, il caso evidenzia come all’interno della stessa comunità dei giocatori non vi sia unanimità di vedute su quale sia il miglior modo per affrontare le problematiche del circuito.
Anche Djokovic, che della PTPA è il volto principale, ha scelto di non partecipare direttamente alla causa, preferendo mantenere un ruolo più istituzionale nel dialogo con gli organi di governo del tennis. Una strategia che potrebbe indicare la volontà di evitare uno scontro frontale e puntare invece su un approccio più negoziale.
La decisione e le parole di Clarke, insieme a quelle delle scorse settimane di altri giocatori come Alexander Zverev e Carlos Alcaraz, evidenziano come la causa intentata dalla PTPA rischi di trasformarsi in un’occasione sprecata per migliorare il tennis. La gestione di ATP, WTA e ITF è tutt’altro che perfetta, e molte delle questioni sollevate dal sindacato di Djokovic e Pospisil possono essere ritenute condivisibili da chi questo mondo lo frequenta, in primis i giocatori. Tuttavia, l’azione della PTPA ha mostrato delle criticità che potrebbero minarne la credibilità.
Molti sono i punti discutibili inseriti nella causa, così come discutibile è stata anche la modalità d’azione del sindacato, che rischia di ottenere l’effetto opposto a quello sperato: invece di guadagnare consensi e spingere per riforme concrete, potrebbe finire per rafforzare la posizione delle istituzioni che vorrebbe contrastare.
A sollevare ulteriori dubbi sul reale consenso nei confronti della PTPA ci sono anche le recenti rivelazioni del giornalista statunitense Ben Rothenberg. Durante il WTA 500 di Charleston, Rothenberg ha interrogato sei tenniste – Anisimova, Bencic, Keys, Pegula, Zheng e Tomljanovic – chiedendo loro se fossero state contattate dalla PTPA. L’associazione aveva dichiarato di aver ricevuto il sostegno di oltre 300 giocatori, ma le risposte negative ricevute dalle sei atlete fanno emergere interrogativi sulla reale rappresentatività del sindacato.
La decisione di Clarke mette in luce le difficoltà della PTPA nel raccogliere un consenso unanime tra i giocatori, specialmente quelli che non hanno ancora raggiunto una posizione di sicurezza nel circuito. Mentre la causa prosegue, il rischio è che il fronte dei querelanti possa perdere pezzi, riducendo l’impatto dell’azione legale. Resta da vedere se la PTPA riuscirà a mantenere coesa la propria base o se la decisione di Clarke rappresenterà un precedente capace di minarne la credibilità e l’influenza.