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Editoriali del Direttore

Roland Garros – Non sono Vagnozzi né Cahill, ma per battere Alcaraz proverei, da Sinner, a fare così

Ai tanti che chiedono se Sinner con Alcaraz che lo ha battuto le ultime 4 volte ce la può fare, provo a rispondere 

Last updated: 09/06/2025 10:04
By Ubaldo Scanagatta Published 08/06/2025
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15 Min Read

Siamo arrivati al grande giorno, quello più atteso, il n.1 del mondo contro il n.2 in finale a uno Slam. Quello vinto da Nicola Pietrangeli nel 1959 e nel 1960, quello vinto da Adriano Panatta nel 1976, insomma 65 e 49 anni fa.

E c’è di nuovo un italiano, Jannik Sinner che ha buone possibilità – 50%? – di far suonare a fine match “Fratelli d’Italia”.

Io lo ascoltai, commosso, nel ’76, quando Panatta battè 7-6 al quarto l’americano Solomon, un pallettaro fastidiosissimo che ributtava tutto e si attaccava ad ogni punto come una sanguisuga.

Difatti Adriano era sfinito quando affrontò quella dirittura d’arrivo, il tiebreak. Avesse perso quello e avesse dovuto affrontare un quinto set avrebbe quasi certamente perso. Per questo soffrii, al mio primo Roland Garros vissuto da cronista della Nazione – anche se vi parrà esagerato – le pene dell’inferno.  Adriano aveva annullato, con un tuffo a rete quando sembrava superato, un matchpoint al primo turno contro il ceco Pavel Hutka, ma quel tiebreak finale fu perfino più sofferto di quel primo round che lui aveva giocato da “fresco” vincitore degli Internazionali d’Italia (dove i matchpoint annullati al primo turno contro l’australiano Kim Warwick erano stati ben 11,!, e 10 sul servizio del suo avversario). 

Insomma Panatta, che negli spogliatoi del Roland Garros prima di scendere in campo aveva incontrato davanti a un mega specchio il piccolo Solomon (l’americano che Lea Pericoli aveva ribattezzato “Il Sorcio maledetto” ad ogni recupero miracoloso che faceva con quelle gambette che giravano in modo vorticoso) e gli aveva detto, certo per intimorirlo un po’ psicologicamente: “Ma ti vedi accanto a me, piccolo e brutto come sei, ma come pensi di riuscire a battermi proprio oggi?” -roba che oggi verrebbe denunciato subito come puro atto di esecrabile bullismo! – vinse quel torneo e chi scrive non riuscì a trattenere le lacrime perché mi tornò in mente – e l’ho scritto più volte – quello che ci eravamo detti al college durante un raduno della nazionale junior a Formia sotto le cure del Maestro Belardinelli: “Se uno di noi un giorno conquisterà un grande torneo sarà come se avessimo vinto tutti, sarà la vittoria di tutti e dovremo essere felici come quel giocatore che avrà vinto”. Una sorta di patto di sangue come quelli che fecero i “Ragazzi della via Paal”, libro indimenticabile delle mie letture giovanili.

Che deve succedere oggi perché Sinner, dopo 4 sconfitte consecutive, batta Alcaraz, il campione in carica al Roland  Garros, sulla superficie prediletta dal campione spagnolo che può perdere – ogni tanto eh – nei primi turni ma in finale – e non solo nei quattro Slam che ha vinto – è assolutamente refrattario alla sconfitta? Proprio Carlos a perdere le finali fin qui non ci riesce. Cincinnati con Djokovic, ma se vogliamo anche Amburgo con Musetti, fu l’eccezione che conferma la regola. Lui in finale cresce sempre di rendimento rispetto ai round precedenti. Semplicemente perché sta più attento, fa meno lo “sborone”, il re dei colpi brillanti, lo “sciupone”. Nei confronti diretti Alcaraz conduce 8 a 4.

E Sinner? Beh, anche lui quelle tre che ha giocato negli Slam le ha vinte tutte. Anche se ha perso 4 partite con Alcaraz di sicuro non si può dar di perdente a uno a che ha vinto 47 partite delle ultime 49, tutte le ultime 20 degli Slam (come Borg nel ’78-’79 e come McEnroe nell’80-’81) e che dopo quasi quattro mesi di stop si presenta sulla superficie meno adatta alle sue caratteristiche e subito centra due finali, a Roma e a Parigi.

Ma può battere Alcaraz? E se sì come può farlo?

Non sono un coach, non lego neppure le scarpe a professionisti come Vagnozzi, come Cahill poi…ma un po’ di tennis agonistico l’ho giocato, sia pure come un “seconda” categoria forte (o un “Prima” certo più debole in singolare che in doppio). Il tennis non l’ho solo visto e raccontato. Mi sono sempre piccato un po’ anche di capirlo. E una passione per la tattica l’ho sempre avuta. Cosa che non basta per essere un buon coach, sia chiaro.

Alla prima domanda rispondo deciso: sì, Jannik può battere Carlos, certo che sì. Eccome. E se non lo batterà oggi a Parigi lo batterà certamente da qualche altra parte. Statene certi.  Per la seconda domanda la risposta è più complessa e non è una sola, nel senso che sono diverse le cose che devono funzionare bene per Jannik e, al contempo, meno bene per Carlos.

Dobbiamo dare per scontato che le accelerazioni più nette, più impressionanti, verranno fuori dalla Babolat di Alcaraz. Mentre le progressioni più accentuate e demolitrici, con crescendo rossiniani (non è la Volpe Rossa a metterli in atto?)  verranno fuori dalla Head di Sinner, lo schiacciasassi dell’Alto Adige.

Sugli scambi più lunghi mi aspetto che faccia più punti Sinner, sugli uno-due invece più Alcaraz.

Per sottrarsi a quei terribili uno-due Sinner dovrà riuscire ad avere il pallino in mano. E come si fa? Intanto servendo una buona percentuale di prime palle. Non solo il 50% come contro Djokovic, ma qualcosa fra il 65% e il 70%. Arrivasse al 73%-75% sarebbe a metà dell’opera. Questo significherebbe dare non più del 25%-30% di seconde palle alle risposte anticipate, aggressive, violente di Alcaraz.

E in fase di risposta? Jannik, che ha cambiato posizione di attesa sulla prima palla per essere più rapido e più immediatamente aggressivo nell’incontrare i servizi altrui quando gli battono sul dritto, dovrà anche in questo caso rispondere subito il più profondo possibile o direttamente sul rovescio – colpo sul quale dovrà insistere di più anche nel corso dei palleggi da fondo sempre tenendo alto il ritmo per evitare che Alcaraz avendo tempo giri attorno alla palla e colpisca di dritto – oppure arrischiandosi direttamente sul dritto per aprirsi il campo, ma conscio del fatto che Carlos si muove benissimo e che dal lato del dritto può giocare con grande agio sia il dritto lungolinea, sia il cross stretto con una frustata di polso che rende quella traiettoria quasi invisibile che non quando è troppo tardi.

Il rischio è rappresentato poi anche dalla possibilità sempre presente della smorzata che Carlos fa bene soprattutto con il dritto e che è spesso mortifera se il suo avversario, chiunque esso sia, gioca troppo indietro rispetto alla riga di fondo.

Insomma Jannik deve evitare quanto più possibile i dritti esplosivi di Alcaraz, e già non è facile considerando l’estrema mobilità del murciano. Deve quindi cercare di accumulare più punti possibili nella diagonale dei rovesci. Insistendoci con la continuità di cui è capace.

Mentre contro Djokovic era fondamentale spostare il più possibile il serbo da un lato all’altro del campo, per farlo giocare in apnea un gran numero di scambi, invece contro Alcaraz è più importante puntare sulla pesantezza e la profondità dei colpi, indirizzandogliene una gran parte sul rovescio.

Non è che il rovescio di Alcaraz sia mediocre, tutt’altro, forse è perfino più regolare del dritto con il quale “strappa” di più e può fare anche più errori (a volte proprio gratuiti), ma con il dritto fa anche molti più vincenti. E i bei dritti vincenti sono anche pura adrenalina per Carlos che si esalta (giovanilmente) quando gli riescono bene e conquistano applausi e standing ovation.

Metterlo sotto pressione sul rovescio può invece innervosirlo se le cose non si mettessero bene per lui. Anche se il rovescio di Alcaraz non è quello di Tsitsipas, non fraintendetemi.

E non c’è niente di meglio che, appunto, fargli perdere calma e fiducia. Fin dall’inizio. Se Alcaraz perde un set con Marozsan o Dzumhur, non si preoccupa. Se lo perde con Sinner si preoccupa eccome!

Jannik è in grado di vincere una partita anche  senza che tutti fili per il verso giusto, senza essere in grande giornata. Alcaraz invece non ha mezze misure. O bene bene o male male.

Per questo si parla dei suoi alti e bassi. Quando sono bassi Carlos perde la trebisonda per pochi minuti, quanto basta per perdere una volta il servizio e magari pure un set. In questo torneo gli è successo almeno 4 volte e quelle quattro volte, contro Marozsan, Dzumhur, Shelton e Musetti ha perso un set. Sinner non ha sempre giocato benissimo, ma un set non lo ha perso mai. C’è andato vicino a perderlo contro il tennista più forte fra gli sconfitti – Novak Djokovic – ma alla fin fine lo ha pur sempre battuto in 3 set senza nemmeno giocare la sua miglior partita.

Questo ribadisce che Sinner è una garanzia quanto a  solidità, mentre Alcaraz si esprimerà a lampi, a suon di prodezze. Ma quelle prodezze Sinner e il suo team le hanno messe in conto. Niente di quello che farà Alcaraz potrà stupirlo. Mentre da parte di Sinner un ritmo incessante, profondo, costantemente indirizzato sul rovescio per poi magari affondare sul dritto una volta apertosi il campo – non che sia facile adottare una tattica del genere, ma Sinner se è in giornata è in grado di attuarla – potrà destabilizzare Alcaraz.

Chiaro che sul cemento questo tipo di gioco sarebbe più facilmente praticabile, ma questa terra rossa è abbastanza veloce, le palle Wilson sono forse più adatte al tennis di Sinner rispetto alle Dunlop e le condizioni del campo del Philippe Chatrier sono decisamente migliori di quelle del centrale del Foro Italico che (per motivi per me inspiegabili) da anni non sono buone, tant’è che i cattivi rimbalzi si sprecano. E i giocatori si lamentano da anni, ma nulla cambia.

Il meteo ieri sera prevedeva per stamani pioggia fra le dieci e mezzogiorno e quindi, se fosse così, la finale di doppio femminile fra Errani e Paolini contro Danilina e Krunic verrà probabilmente giocata sotto il tetto.

La finale maschile, in programma a partire dalle 15, probabilmente no. Si dovrebbe giocare a cielo aperto. Se così fosse, peccato perché penso che per Sinner sarebbe meglio giocare indoor, con il tetto chiuso. Ci sarebbe meno vento, la partita sarebbe più regolare. Ma è vero che il Roland Garros è uno Slam che per regola si gioca, come tutti gli altri, all’aperto. Con il tetto si gioca per circostanze di forza maggiore. La finale fra Sabalenka (70 errori gratuiti) e Coco Gauff (30 errori non forzati ma lei ha sempre mantenuto la calma, la bielorussa proprio no) è stata incerta fino all’ultimo ma brutta anche perché il vento l’ha fatta da padrone.

Per tornare a tattiche e strategie, queste non bastano quando uno sia in cattiva  giornata e l’altro in buona. Oppure possono bastare per un set e due ma non per cinque. Chi sarebbe avvantaggiato da un match che andasse per le lunghe? La storia dice che Alcaraz ha vinto i due match al quinto set, US Open 2022 e Roland Garros 2024, recuperando da sotto 2 set a uno. Insomma se la distanza non fosse stata quella dei tre set su cinque avrebbe perso e invece ha vinto.

Sul primo match (US Open) Sinner ha avuto il matchpoint, ma al quarto set però e non al quinto.  Sul secondo è arrivato a giocare il Roland Garros 2024 all’ultimo tuffo e meno allenato di Alcaraz…situazione che sembra essersi riprodotta anche quest’anno per i noti motivi legati alla squalifica. Insomma i due, 12 mesi dopo, ancora una volta non giocano ad armi pari. Per più motivi ora enunciati penso che Sinner abbia più probabilità di vincere – se dovesse vincere – in tre o in quattro set piuttosto che in cinque.

Se mi smentisse e vincesse in cinque, e mi facesse riascoltare 49 anni dopo Fratelli d’Italia, vi assicuro che sarei ugualmente contento. Forza Jannik!


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