Matteo Berrettini è pronto a fare il suo ritorno in campo. L’appuntamento è per lunedì pomeriggio, per l’esordio sull’erba di Wimbledon contro il polacco Majchrzak. Il tennista romano, finalista ai Championships nel 2021, è assente dalle competizioni dagli Internazionali d’Italia, quando è stato costretto al ritiro durante il match contro Casper Ruud. I forfait a Stoccarda e Queen’s avevano sollevato qualche dubbio circa la presenza di Matteo a Londra, invece è imminente l’ennesimo rientro da uno stop forzato causato da quel fisico che spesso lo ha tradito.
D: Come stai? Fisicamente e mentalmente
BERRETTINI: “Questa scena l’abbiamo già vista… Adesso sto molto meglio. Ci sono stati momenti non bellissimi, perché la verità è che mi sono stancato anche di fermarmi e ripartire ogni volta. È stata dura, però il mio team e ovviamente la mia famiglia sono stati un supporto incredibile. Tutti hanno avuto la sensibilità giusta nello scegliere le parole adeguate in determinati momenti e nel farmi stare da solo quanto ce n’era bisogno. Ripensando alle emozioni che questo torneo mi avrebbe potuto dare, ho deciso di provarci, di rimettermi in carreggiata e di cercare di arrivare il più in forma possibile qui a Londra. Saltare Stoccarda e il Queen’s è stato comunque motivo di tristezza”
D: Matteo, l’ultima volta, un paio di anni fa, che ti sei presentato qua con tanti dubbi, perché venivi da un brutto momento, hai messo in riga Lorenzo (Sonego), De Minaur, Zverev e sei arrivato agli ottavi con Alcaraz. Le sensazioni sono belle? Hai già giocato un po’ su questi campi in questi giorni, che sensazioni hai a rimettere i piedi sull’erba? Come ti ha fatto sentire?
BERRETTINI: “Il guaio è che mi ha fatto sentire bene (ride). E mi dispiace ancora di più perché so quanto possa essere alto il mio potenziale su questa superficie e quanto io abbia lavorato duro per arrivare con un ranking importante in questi tornei. Però, detto questo, due anni fa c’è stata una bellissima cavalcata quasi insperata, probabilmente adesso sono più allenato rispetto a allora. L’anno scorso ho fatto secondo me due partite di alto livello e ho perso contro Jannik in una partita molto bella. Quindi le sensazioni sono quelle di sempre a Wimbledon. È un posto speciale, c’è tantissima energia e voglia di fare bene. So anche però che l’ultima partita l’ho giocata a Roma e sarà complesso trovare il ritmo di gara. Ma non è quello che mi spaventa, sono pronto a gestirlo”
D: Che obiettivo ti poni? O per meglio dire che risultato ti soddisfarebbe?
BERRETTINI: “Non c’è un risultato in realtà, perché poi lo scorso anno è stato un secondo turno di uno Slam perso in quattro set con tre tie-break. E quella partita mi ha dato tantissimo per andare poi a vincere Kitzbuhel. Secondo me bisogna sempre analizzare i turni, contro chi giochi e che partita perdi. Io reputo già una vittoria essere qua oggi e stare in forma per giocare, perché non è stato semplicissimo. Sono nato competitivo e probabilmente morirò competitivo, quindi non mi accontenterò mai, però devo pensare una partita alla volta. Non vedo l’ora lunedì di scendere in campo e di mettermi lì concentrato, con la mia routine perché è quello che mi manca, il ritmo partita e vivere quelle emozioni. Ovviamente se mi dicono vai più avanti possibile lo prendo, però so bene che devo stare concentrato”
D: Uno dei tuoi tatuaggi è un’ancora, se non sbaglio. Qual è la tua ancora? Quel qualcosa che non ti fa mandare tutto al diavolo
BERRETTINI: “Sai che non saprei. Forse, come ho detto prima, è stato il fatto di circondarmi, per bravura o fortuna, di persone che hanno una sensibilità importante, essendo io uno fondamentalmente sensibile, che sente tanto le persone e le cose. Ho sempre visto serenità e tranquillità rispetto alle scelte che stavo prendendo e questo mi ha dato tantissima forza per essere libero di fare quello che volevo. A un certo punto abbiamo optato, ad esempio, per due mesi di stacco e loro sono stati pronti ad accettarlo, in altri casi per altre scelte sono stati pronti a dire di farlo in maniera tale che io potessi stare bene, senza che fosse un massacro. Secondo me è quella la cosa fondamentale che ho capito andando avanti nella mia vita e carriera. Ci deve essere quella spinta giusta, che magari è sbagliata per un altro. Quando le cose sono ben oleate poi posso rinascere dai momenti difficili. Non è semplice se penso, e oggi è anche il compleanno di mia madre, alla mia famiglia che mi vede in difficoltà e la prima cosa da parte loro è cercare di fare qualcosa, ma spesso non si può. Anche la loro sensibilità nel fare un passo indietro e lasciarmi spazio è stato fondamentale, non sentire quel pressing che può farti sentire incastrato”
D: Hai interrotto la collaborazione con Ferrara e anche Jannik ha interrotto con Panichi. È così difficile trovare la persona giusta con cui lavorare, proprio dal punto di vista fisico?
BERRETTINI: “Non so le cause della separazione, ovviamente ho letto, ma non ho parlato con Jannik, nemmeno della mia separazione con Umberto. Posso dire che è molto difficile perché alla fine siamo dei ragazzi che vengono scaraventati in un mondo molto complesso e sono chiamati a prendere decisioni complesse a un’età in cui probabilmente non si è pronti. Quindi hai veramente tanto addosso e ognuno la gestisce come la gestisce. Io di Umberto ho grandissima stima come professionista e come persona, solo che non ci siamo incastrati in alcune cose e quindi abbiamo deciso di separarci. Per rispondere alla tua domanda, sì è complesso perché, come per gli allenatori, non è solo una cosa tecnica, ma anche come uno vede e si approccia alle cose, come l’atleta risponde a quello che tu proponi. Quindi è veramente un incastro, soprattutto per me che ho avuto una storia particolare, perché per quindici anni ho avuto lo stesso team quindi ero abituato a delle cose. Detto questo, crescendo, sono andato nella direzione di capire che sono scelte professionali, non c’è per forza qualcosa di personale, antipatia, ma è qualcosa che devo fare per la mia professione e se vedo che non mi porta qualcosa di positivo è giusto interrompere piuttosto che trascinare. Questa è una cosa che ho imparato, forse un po’ tardi, ma per fortuna l’ho imparata”
D: Scrivendo il libro con Tathiana ho capito quanto è importante il rapporto di un tennista con il proprio corpo. Al di là degli infortuni, tu che rapporto hai con il tuo corpo? Ti maledici qualche volta o ti sei sentito tradito?
BERRETTINI: “È molto complesso. Se dovessero dirmi oggi che ho finito la mia carriera, sarei super orgoglioso di tutto quello che mi ha portato a essere quello che sono e quindi anche del mio corpo. Poi però ci sono stati tanti momenti, e per fortuna la mia carriera non finirà oggi, tristi in cui ho saltato cose a cui tenevo e non sono riuscito a godermele e quasi sempre è stato legato al corpo. La cosa più brutta è quando inizi a dubitare e inizi a pensare che forse non ce la fa, ti chiedi perché sempre a te. Questo è peggio forse dell’infortunio stesso perché inizi a non dare il 100% e avere paura di sentire qualcosa. Ho fatto un grandissimo lavoro e secondo me questo è estremizzato nello sport che facciamo, perché non abbiamo un sostituto o un cambio e abbiamo anche un calendario che non ho mai visto sulla faccia della Terra in nessun altro sport. È tutto così estremizzato che alla fine forse ha ragione il mio corpo”
D: Prima hai parlato dei giocatori molto giovani che vengono proiettati in un mondo in cui arriva loro tanta roba addosso. Soprattutto nel tuo caso è stato scritto e detto una quantità di letame che non è neppure da ricordare e ho sempre sperato tu non leggessi nulla. Come sei riuscito a fartelo scivolare addosso e fare in modo che non influenzasse le tue scelte e la tua vita, se ci sei riuscito?
BERRETTINI: “Se ti dicessi che non mi ha mai toccato, ti direi una bugia. Da chiunque provenga, leggere qualcosa di negativo su di te non fa mai piacere, soprattutto se pensi che possa leggerlo anche tua mamma o tua nonna o chi ti vuole bene. Mi sono sempre chiesto cosa ti spinge a scrivere qualcosa senza fondamenta, che è solo cattiveria gratuita. Poi sono passato a pensare che da persone che non conosci da cui non riceveresti neppure un consiglio, non ha peso la critica. Dopo ancora, sono arrivato a guardarmi allo specchio e estrapolarmi dal mondo in cui vivo e dalla sua velocità e mi dico che alla fine faccio tante cose belle. Uno dei primi sentimenti delle persone è l’invidia. Ho una bella carriera, una bella famiglia, all’epoca ero fidanzato, tutto era al proprio posto. Quindi ho pensato che se c’è un po’ di invidia significa che ci sono un sacco di cose belle intorno a me. Il tempo mi ha aiutato a capire che dovevo dare la giusta importanza a queste cose”