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Reading: Damir Dzumhur a cuore aperto: “Tre anni fa ho rischiato di morire, ora faccio quello che amo”
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ATP

Damir Dzumhur a cuore aperto: “Tre anni fa ho rischiato di morire, ora faccio quello che amo”

Nel 2022, a Parigi, la pancreatite acuta che lo ha tenuto in ospedale per quasi due mesi. Ora, il ritorno ai piani alti: “Amo gareggiare, ce l’ho nel sangue”

Last updated: 13/08/2025 11:53
By Andrea Binotto Published 11/08/2025
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12 Min Read
Damir Dzumhur - ATP Banja Luka 2023 (foto: twitter @atptour)


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Damir Dzumhur è per molti uno di quei tennisti che gioca nell’ombra. “Prima non si vedeva un Tomas Berdych perdere in uno Slam contro Damir Dzumhur o un giocatore del genere”, aveva detto Sascha Zverev pochi giorni fa al ‘Nothing Major Podcast’ parlando del livello della seconda fascia di giocatori nel ranking, che negli ultimi anni è nettamente aumentato. Poteva nominare qualsiasi giocatore, ma ha scelto proprio il 33enne bosniaco, che in questo contesto è utilizzato dal tedesco come simbolo di quella fascia di tennisti che si battono senza doversi spellare le mani. Eppure, nell’estate del 2018 Damir ha toccato il suo best ranking di numero 23 al mondo, poche settimane dopo aver perso il terzo turno del Roland Garros proprio contro il tedesco – già sconfitto nell’unico altro precedente nel settembre dell’anno prima sul duro di Shenzen -, che gli aveva pure annullato match point per poi prevalere al quinto set.

Insomma, forse il tedesco ha calibrato un po’ male la scelta del nome da utilizzare in quella determinata frase. Anche perché il nativo di Sarajevo ha più volte dimostrato il suo valore. Non solo tornando dopo numerosi infortuni, oppure vincendo tre titoli ATP, ma anche a seguito di vicissitudini che, come avevamo già raccontato qualche mese fa, avrebbero potuto rivelarsi ben più letali del perdere una partita a tennis. “Il periodo successivo al Roland Garros del 2022 è stato probabilmente il momento peggiore della mia vita”, ha rivelato il bosniaco, raccontando di suo pugno la sua storia a Andrew Eichenholz del sito ATP Tour. “Se non fossi stato giovane e in buona salute, non so se ne sarei uscito vivo. Tutto è iniziato dopo aver perso il primo turno di qualificazione contro Fernando Verdasco a Parigi. Avevo un forte mal di stomaco e, dopo aver contattato un medico, sono andato in ospedale. Mi hanno diagnosticato una pancreatite acuta e mi hanno trasferito rapidamente in terapia intensiva, dove sono rimasto per sei giorni”.

Le ore non passavano mai in quella camera d’ospedale e, tra un dubbio e l’altro su come fosse potuto accadere un malore del genere a un tennista professionista, Damir provava a chiudere occhio per qualche ora durante la notte. Ma con scarsi risultati. “Le giornate erano lunghe, soprattutto all’inizio. Il dolore mi stava uccidendo. Non riuscivo a dormire a meno che non mi dessero degli antidolorifici forti. Le notti erano lunghissime e il tempo non sembrava passare. I medici non hanno mai capito come mi fossi ammalato. Purtroppo, è successo all’improvviso. È possibile, anche se le probabilità sono molto basse per chi è sano e non mangia male o beve molto”.

Persa quasi la cognizione del tempo a causa delle svariate settimane trascorse in ospedale, Dzumhur non ce la faceva più a rimanere lontano dalla sua famiglia e ha quindi fatto una richiesta ai dottori: “Ho trascorso il mio trentesimo giorno in un ospedale francese senza la mia famiglia e il tennis era l’ultima cosa che mi passava per la testa. Mio figlio, Luka, era nato l’ottobre precedente e, invece di godermi la vita con lui, ero in un letto d’ospedale in un altro paese, senza sapere cosa mi riservasse il futuro. Ho chiesto di essere trasferito a Belgrado perché avevamo trovato un medico davvero bravo di cui avevamo sentito parlare molto bene, e volevo anche essere più vicino alla mia famiglia. I medici di Parigi erano contrari perché mi dicevano che non ero in grado di muovermi. Non capivo quanto fosse grave la mia situazione. Quei dottori sono le persone che mi hanno salvato la vita. Ma in quei momenti difficili ti passano per la testa tante cose e ti viene voglia di stare con le persone che ami. La mia sensazione predominante era il bisogno di tornare a casa”.

E così è andata. In Serbia l’opportunità di vedere suo figlio è diventata presto realtà. “Mi hanno trasferito a Belgrado, dove sono rimasto in ospedale per altre due settimane e mezzo. Ma sono comunque riuscito a vivere uno dei momenti più belli della mia vita, ovvero rivedere mio figlio. Mi hanno permesso di ricevere visite quando mi hanno portato fuori dalla terapia intensiva e, se il momento più felice della mia vita è stato quando è nato Luka, il secondo è stato quando l’ho rivisto in quell’ospedale. È stato un periodo difficile, ma sapere di vivere per qualcosa è completamente diverso. I bambini sono speciali e ti danno un’energia che nessun altro può darti. Uno dei motivi per cui continuo a gareggiare è perché ho qualcuno per cui combatto e a cui penso sempre, anche quando non è con me ai tornei. Lo tengo sempre in testa e questa è la cosa migliore che credo si possa ottenere”.

Uscito dalle stanze bianche dell’ospedale, Damir si è presto reso conto che la sua condizione fisica da atleta era andata in frantumi. Da lì lo stimolo per provare a tornare più forte di prima. “Dopo più di 20 giorni, sono stato dimesso dall’ospedale e da quel momento è iniziata la convalescenza. Per i medici, sono riuscito a migliorare abbastanza velocemente. Ma per me è stato molto lento. Avevo perso 11 chili e quando sono uscito ne pesavo appena 55. In quel momento non pensavo al tennis e non sapevo come sarei tornato. Non sapevo nemmeno se sarei tornato. I tennisti sono così abituati a concentrarsi sul loro gioco e sui risultati. Ma io ero semplicemente felice di essere vivo. Una volta che ho iniziato a sentirmi meglio e ho ripreso un po’ di peso, mi è venuto in mente che sarebbe stato bello ricominciare ad allenarmi e a gareggiare. Ce l’ho nel sangue: amo gareggiare e fare tutto il possibile per vincere”.

Il percorso di risalita non è stato affatto semplice. Ma Dzumhur, se si mette una cosa in testa, la realizza. Anche superando le sue stesse aspettative. “Nell’agosto di quell’anno, scesi al numero 243 della classifica ATP, però ero di nuovo in campo. Da lì iniziò un percorso che considero come il mio ritorno, in cui ho fatto di tutto per tornare al punto in cui ero già. Nel 2018 ho raggiunto il numero 23 del mondo. Tornare semplicemente tra i primi 100 mi sembrava impossibile e non riuscivo proprio a immaginare di tornare ai vertici di questo sport. Ma un anno fa sono tornato tra i primi 100 e ora mi sto avvicinando ai primi 50, il che è fantastico”.

Nonostante l’età che avanza, Damir si sta guardando bene attorno e ciò che vede lo sprona a provarci ogni giorno di più. “Sto giocando un buon tennis, mi sento bene e sono molto in forma fisicamente in campo. Vent’anni fa, se qualcuno avesse avuto i problemi che avevo io quando avevo 30 anni, probabilmente avrebbe smesso di giocare a tennis immediatamente. All’epoca, i giocatori si ritiravano a 31 o 32 anni, anche se erano in buona salute. Ma il tennis è cambiato molto, con stelle che ora competono a 38, 39, persino 40 anni. È pazzesco vedere campioni come Novak Djokovic, Gael Monfils e Stan Wawrinka giocare ancora a questo livello. Questo mi motiva a 33 anni e mi dà la speranza di poter continuare a giocare. Non mi considero ancora vecchio in termini di anni tennistici”.

E il campo lo conferma. Tre anni dopo quel 2022 parigino da incubo, sempre nella capitale francese è arrivata la prova di valere ancora ciò che era stato anni addietro. “In questa stagione ho raggiunto il terzo turno al Roland Garros e ho vinto un set contro il futuro campione Carlos Alcaraz in una partita in sessione serale. È un ricordo incredibile per me, uno dei miei preferiti. Il Philippe Chatrier aveva una delle atmosfere migliori che abbia mai vissuto e, quando ho vinto il terzo set, il pubblico è impazzito. Ho perso la partita, ma ho provato emozioni speciali nel competere su un palcoscenico così memorabile contro uno dei migliori giocatori al mondo, che probabilmente diventerà uno dei migliori della storia. Ha un piano A, B, C e D, e probabilmente l’intero alfabeto dei piani che può mettere in pratica. È uno dei più veloci e ha così tante varianti nel suo gioco che può realizzarle ai massimi livelli”.

Come detto, nel 2018 quella partita contro Sascha Zverev, sempre a Parigi, gli aveva dato molta fiducia. Pochi mesi dopo, però, ecco un infortunio. Sette stagioni sono passate da quegli episodi. E Damir è ancora qui. Niente è riuscito a frenarlo dalla ferrea volontà di realizzare il suo sogno: giocare a tennis. “Nel 2018 ho perso contro Alexander Zverev al Roland Garros avendo match point. L’anno dopo sono caduto e mi sono rotto una spalla. Nel 2022, sapete cosa è successo. È stato bello creare di nuovo un bel ricordo a Parigi. La cosa più importante è che io sia qui. Quando soffrivo a causa del pancreas, non pensavo al tennis. Ora sono in grado di giocare di nuovo nei tornei più importanti contro i migliori avversari. Tre anni fa ho rischiato di morire. Adesso posso fare ciò che amo”.

Dzumhur è attualmente numero 56 ATP, 49 nella Race e già inizio anno si intuivano le sue intenzioni: tornare quello di un tempo. Vittoria la prima settimana della stagione nel Challenger di Maia; poi, quarti di finale nel 250 di Santiago e verso fine inverno altri buoni risultati nel circuito minore. In seguito, la terra rossa europea e la svolta che aspettava: semifinale nel 250 di Bucarest, terzo turno al 1000 di Madrid, come anche al Roland Garros, e quarti di finale nei 250 di Bastad e Umago. Quindi Cincinnati e l’ennesimo set strappato a Carlos Alcaraz prima di cedere alla distanza. Il messaggio è chiaro: Damir è tornato. Ma questa volta è qui per restare.


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