Il serbo Novak Djokovic è tornato a parlare alla vigilia del suo debutto all’Hellenic Championship, l’ATP 250 di Atene. Un legame sempre più profondo lega il campione serbo e la Grecia, dove ha deciso di trasferirsi con la famiglia da quest’anno, insieme alla moglie Jelena e i due figli Stefan e Tara. Il seme della discordia con il suo paese di origine è stato il suo appoggio alle contestazioni studentesche che da fine 2024 infiammano le strade della Serbia, e denunciano il governo corrotto. Da lì viene la scelta del 24 volte campione slam di trasferire il suo torneo di Belgrado alla capitale greca, sotto la direzione di Djordje Djokovic, fratello di Nole.
ATP Atene, Djokovic: “Il trasferimento in Grecia non era pianificato da molto tempo”
Il rapporto con il paese ellenico è stato al centro di una lunga intervista ai microfoni dell’agenzia ellenica ‘SDNA’, che lo ha intercettato alla viglia del torneo, dove oggi affronterà il cileno Alejandro Tabilo all’esordio. “Il trasferimento in Grecia non era qualcosa che avessi pianificato da molto tempo, ad essere sincero”, ha esordito Novak. “In realtà, negli ultimi due anni sono successe molte cose, sono maturate decisioni nella nostra vita privata e professionale. Ma va bene così, è la vita. Abbiamo due bambini piccoli e cerchiamo di adattarci e di trovare l’ambiente migliore anche per loro. Perché questa è la priorità: come cresceranno i bambini nel contesto più adatto per la loro salute psicologica, fisica ed emotiva. Vogliamo essere in un ambiente in cui sentiamo di avere più tempo come famiglia, in modo più privato”.
A proposito di questi primi mesi in Grecia il serbo si è detto soddisfatto dell’accoglienza ricevuta: “Negli ultimi due mesi stiamo sperimentando la vita in Grecia e le cose sono molto positive. Sentiamo di essere i benvenuti, le persone sono molto gentili, generose e amichevoli con noi. Allo stesso tempo, però, sentiamo come famiglia di avere più tempo per fare cose che ci uniscono di più”.
ATP Atene, Djokovic: “Non gioco soltanto per i risultati”
Infine qualche riflessione sugli ultimi anni di carriera, e su quello che è successo alle Olimpiadi di Parigi con la vittoria dell’agognato oro. “Molti pensavano che dopo le Olimpiadi, dopo la vittoria della medaglia d’oro, avrei concluso la mia carriera. Tuttavia, non gioco a tennis solo per i risultati. Ovviamente i risultati costituiscono una parte importante della mia motivazione, ma gioco anche perché mi piace davvero la competizione. Mi piace il processo, e ciò che il tennis porta a me personalmente, alla mia famiglia, ma anche ciò che io porto al tennis finché resto un giocatore professionista attivo”.
L’amore per lo sport e per la competizione sono ciò che ancora lo alimentano; lui, che del tennis è come un ambasciatore nel mondo. “So che finché gioco ci sarà attenzione da parte del mondo del tennis. Lo so e ne ho la responsabilità, ma non mi dispiace, anzi mi piace. Mi piace contribuire al benessere, alla popolarità e allo sviluppo del nostro sport. Ci sono anche altri motivi che sono privati e delicati per me, ma anche motivi di tipo imprenditoriale”.
“Ci sono, dunque, diversi motivi che mi spingono a continuare a competere. Non è solo per i successi. Quando riesci a completare i tuoi traguardi con una medaglia d’oro olimpica, sì, è un po’ strano tornare ai tornei e ricominciare tutto da capo. Allo stesso tempo, però, è anche una fonte di ispirazione, perché senti di avere ancora la motivazione e la fame di ottenere di più“.
