Tra i momenti più emozionanti del 2024 c’è senza ombra di dubbio la dedica di Jannik Sinner a Carlos Bernardes dopo il successo in finale alle ATP Finals. Il leggendario giudice di sedia, infatti, al termine della Coppa Davis avrebbe chiuso la propria carriera e l’allora n° 1 del mondo si ricordò di lui in un momento in cui solitamente si ringraziano team, famiglia e tifosi. Oggi il brasiliano vive in provincia di Bergamo, con la moglie Francesca Di Massimo – che lavora per l’ATP come official review – e si è raccontato a 360° in un’intervista esclusiva.
Carlos Bernardes: “Il Sybase Open 1995 fu un grande passo per la mia carriera”
D: Carlos, innanzitutto come sta? È passato poco più di un anno dal suo ritiro. Come ha trascorso quest’anno lontano dal tennis, le è mancato qualcosa?
Carlos Bernardes: “Il tempo è passato troppo velocemente, è impressionante. Stare in casa in questo periodo mi fa bene. Sono andato a 4 o 5 eventi perché mia moglie lavora come review official: è stata quattro settimane in Grecia e io sono andato con lei per due di queste. Il posto era bellissimo. Sono stato anche a Roma, alle ATP Finals di Torino e a Bergamo, qui a casa. Per il resto sono andato in palestra, 2/3 volte sono stato in televisione, qualcuno mi ha contattato per fare il direttore di qualche torneo Challenger”.
D: Più di 8000 match arbitrati in carriera. Non le chiederò quello più importante, lo ha già detto in diverse interviste, ma qual è quello a cui è più legato? Anche per un altro motivo, magari perché ha rappresentato una chiave nella sua carriera?
Carlos Bernardes: “Quando ho iniziato io, che poi era anche l’epoca di Mohamed Lahyani e di Pascal Maria, l’obiettivo degli ufficiali e dei supervisori ATP era andare in America, perché là c’erano tanti tornei grandi ed importanti. La mia prima volta è stata a San José, in California (il Sybase Open 1995, n.d.r.) e per quell’occasione c’erano 4 arbitri designati: due per le semifinali e le finali del sabato e della domenica, uno faceva il supervisore nelle qualificazioni e l’altro faceva il giudice di sedia”.
“In quel caso io arbitrai le due semifinali, perché l’altro aveva più esperienza di me e fece la finale, e come giocatori c’erano Andre Agassi, MaliVai Washington, Michael Chang e Jim Courier – tre top 10 e un top 20. Quello fu un passo grande nella mia carriera, perché ero in America, in un torneo importante a San José e soprattutto con questi giocatori”.
“Ho giocato nello stadio del Barcellona di Guayaquil”
D: Lei ha arbitrato tanti numeri 1, ci può dire qual era il più difficile da arbitrare, anche per il comportamento in campo, e quello che l’ha sorpresa di più in positivo?
Carlos Bernardes: “Uno complicato da arbitrare? Il problema è che anche se i giocatori sono tranquilli, sono le situazioni che diventano complicate, non i tennisti. Ancor di più dipende dal temperamento del giocatore. Oggi è più facile vedere cosa dicono i giocatori e anche gli arbitri, 20 anni fa era più complicato perché c’era meno tecnologia e meno media legati al tennis, per cui se un tennista o un giudice di sedia diceva qualcosa in campo non lo sapeva“.
D: Al di là dell’aneddoto che racconta sempre di quando fece il riscaldamento con un giocatore che avrebbe poi arbitrato, c’è un retroscena che non ha mai rivelato? Magari legato ad una partita importante…
Carlos Bernardes: “Il più divertente è quando ci siamo messi a giocare io e un altro arbitro brasiliano. Eravamo nello stesso albergo dei giocatori e due doppisti brasiliani – Cristiano Testa e Marcelo Rebelo – si sono avvicinati e ci hanno detto ‘Giochiamo un set e voi partite da 40-15 in tutti i game’. Un altro giocatore, Fernando Meligeni, si è seduto sulla sedia del giudice e guardava la partita da lì”.
“Noi abbiamo vinto 7-6 e i due tennisti erano arrabbiatissimi, anche perché nel frattempo Meligeni rideva e scherzava. Abbiamo deciso di giocare un altro set e abbiamo vinto 6-2. Questo è successo in un Challenger a Recife, forse 30 anni fa. È stato molto divertente. Oggi invece fare il riscaldamento con un giocatore prima della partita viene quasi visto come qualcosa di sbagliato. Noi in quel periodo giocavamo partite di calcio, ci invitavano, facevamo le foto con i giocatori dopo i match. Una volta abbiamo giocato nello stadio ufficiale del Barcelona di Guayaquil, con tanto di illuminazione e magliette vere. Queste cose ora non si fanno più”.
“Un giudice di sedia con un grande ego non va avanti”
D: L’ultimo match che ha arbitrato ha visto in campo Jannik Sinner, che poi l’ha ringraziata davanti a tutto il pubblico. Che effetto le ha fatto? E soprattutto ci può dare un suo parere su Sinner e sul suo futuro?
Carlos Bernardes: “Il 2024 è stato molto speciale perché finire con quella partita e quelle parole di Sinner, con l’affetto degli altri giocatori, degli allenatori e delle persone che hanno lavorato per tutti quegli anni con me è stato molto bello. Il commento di Sinner è stato molto bello perché nel momento in cui lui ha appena vinto le ATP Finals si è ricordato di me“.
“L’Italia sta passando un momento del tennis molto speciale, io non ricordo un periodo così in un altro Paese e non solo a livello maschile. È bellissimo vedere che il tennis italiano sta camminando in questa direzione, anche se penso che non ci sia solo Jannik. Cobolli, Musetti, Paolini e i doppi stanno dimostrando in campo quanto sono forti e si stimolano l’uno con l’altro. Spero che questo duri per tanti anni per lo sport italiano“.
D: Immagino che non ci siano amicizie nel tennis, nemmeno tra i giudici di sedia. Ma vi date consigli tra di voi, magari su come approcciare i vari giocatori, o ognuno tifa per sé stesso?
Carlos Bernardes: “Credo che noi della vecchia guardia avessimo un tipo di rapporto sano e rispettoso. Questo ci ha sempre aiutato a crescere insieme. Il nostro lavoro è molto individuale, ma non puoi credere che sei il miglior arbitro del mondo. Quando un nostro collega andava a fare la finale era una felicità per tutti e questo ci ha aiutato tanto a crescere. Se sei una persona che ha un ego più grande non vai avanti, perché non puoi restare solo in questo tipo di lavoro anche perché fai parte di un gruppo che sta insieme per la maggior parte del tempo, come se fosse una seconda famiglia”.
“L’infarto? Penso che mi sia stata data una seconda chance”
D: Nel 2021 ha avuto un attacco cardiaco. Come ha vissuto quei momenti? E ha mai pensato di ritirarsi già lì?
Carlos Bernardes: “La prima cosa che mi viene in mente è che io ho sempre visto queste cose in televisione, magari nelle fiction e pensavo ‘Sarà davvero così?’. Quando succede a te, all’inizio è uno shock. Mi ricordo che ero nella camera dell’appartamento ed era il periodo dei 14 giorni di quarantena in Australia. Avevo preso una bicicletta ergometrica per allenarmi così in quei giorni. Quando ho sentito quei dolori al petto e ho notato che sudavo tantissimo ho pensato che non fosse normale, perché non stavo facendo tanto sforzo fisico”.
“Ho chiamato la reception dell’hotel, anche perché non potevamo uscire dalla camera, pena una multa da 20.000 dollari e il carcere: era proibito. Per fortuna ho chiamato velocemente l’ospedale, che era di fronte all’hotel, e lì il medico mi ha detto ‘Guarda, hai avuto un infarto, per fortuna hai chiamato perché c’è tanta gente che non chiama e muore’. All’ospedale mi hanno fatto la pulizia della vena e dell’arteria e mi hanno detto che sarei dovuto rimanere a dormire lì la notte. Alle 18/19, il medico è venuto a visitarmi e poi si è messo a parlare con gli altri medici e con le infermiere appena fuori. Mentre stavo parlando con una di loro, che mi stava per far prendere una medicina, tutto d’un tratto non ho più visto niente“.
“Quando ho riaperto gli occhi, i dottori che erano fuori erano entrati, sembravano stanchi per aver fatto qualcosa di pesante. Il capo dipartimento del reparto di cardiologia mi ha detto che il mio cuore si era fermato, ma io non me ne ero accorto, non avevo sentito niente, neanche un dolore. Questo ti fa pensare a quanto è veloce la vita. Da un momento all’altro puoi andare via e non te ne accorgi, il che ti fa pensare tanto. Tante altre cose che tu pensi che siano un problema, in realtà non sono nulla. L‘arresto cardiaco ti cambia molto. Io sono stato 10 giorni all’ospedale dopo quello che mi è successo e ho conosciuto tanti dottori, tanti infermieri”.
“Loro vivono questo tutti i giorni, il primo cardiologo con cui ho parlato mi ha detto che la stessa cosa è successa a suo fratello. Tanti giocatori mi hanno raccontato della mamma o del papà, il fisioterapista di Djokovic mi ha detto che ha faticato a dormire per 3 mesi perché aveva paura di chiudere gli occhi. A quel punto pensi che ti sia stata data una seconda chance e quindi ti godi la vita. Io ho perso due miei amici in questi anni – uno è Massimo Morelli, il giudice di sedia italiano – e mi ricordo che lui faceva tante cose, programmava tutto. A volte ci dimentichiamo di vivere il momento senza fare troppi piani. Questo ti fa pensare perché è un’esperienza difficile, perché potresti non esserci più senza un preavviso”.
D: C’è una regola di quelle attuali che toglierebbe, per rendere più spettacolare ed arbitrabile il tennis o una che aggiungerebbe?
Carlos Bernardes: “Difficile pensare ad una regola che possa cambiare il tennis radicalmente. Uno dei principali problemi del tennis è il tempo. Se tu guardi una partita può durare 40/50′ come 4/5 ore e questo problema di non sapere quando comincia e quando finisce, cosa si può fare nel frattempo, è la parte complessa di questo sport. Trovare una soluzione al tempo renderebbe il tennis più attrattivo per le generazioni future. Ci sono dei tornei che stanno provando a sperimentare qualcosa in questa direzione, ma si tratta comunque di esibizioni e non mi piacciono tanto. Tutte le organizzazioni devono sedersi insieme per trovare una soluzione a questo, senza cambiare troppo lo sport, ma renderlo più attrattivo per la gente”.
